“Interlude”: l’opera di Bader per la Galleria Franco Noero

Una mostra dalle tante aspettative ma dalle difficili conclusioni, il creativo newyorchese pone le basi per il proprio lavoro ma l’esposizione stenta e il pubblico deve metterci del suo.

_ di Alessio Moitre

È una  sorta di liberatoria, sotto forma di comunicato scarno,  quella che ottiene l’artista dal pubblico, chiedendone la partecipazione e la dovuta inventiva per interpretare la collocazione e, talune volte l’accostamento, dei più disparati oggetti nelle sale della galleria.

A muro o attaccati, manufatti d’uso comune o di risulta, tanti o pochi, ogni ambiente lo stesso, uniformatato concetto. Quale? Domanda logica a cui faccio seguire una risposta da fesso: boh! L’artista newyorchese pare chiederci coinvolgimento ma temo ne otterrà in forma pulviscolare.

La mostra stenta, saltella tra accoppiamenti anche accattivanti – si veda la saletta cinese – e un marasma organizzato o tenuto insieme da un filamento davvero sottile riassumibile con la premessa apparsa su alcuni portali specialistici: “Bader interroga in modo indistinto, talvolta semplicisticamente il significato/contesto degli oggetti utilizzati sperando che il pubblico ne rielabori un senso strettamente estetico, discutibilmente letterario e inevitabilmente filosofico”.

Insomma, una persona fiduciosa il nostro, che confida nell’umana premessa della fantasia aperta a tutti e da tutti, teoricamente, utilizzata anche per interpretare il mondo. Mi domando, mentre passeggio tra una scatoletta di tonno, una scimmia di ceramica rotta, delle usb ben impilate e un quadro ancora imballato posto sul palchetto, se questa versione di esposizione che ci offre Darren, non sia ormai non solo esausta ma consunta e frusta causa marcato utilizzo terminologico e di pretesa.

Se questo ammasso gagliardamente disordinato e anche cromaticamente allegro, quando serve, non sia l’ultimo vagito di quell’arte relazionale che nella Biennale di Venezia di un paio d’anni fa veniva spesso utilizzata per scuotere il pubblico da un torpore che sapeva più di sfinimento. Soprattutto mi attardo davanti ad alcune immagini di Harley Quinn e penso se il senso filosofico, che viene tirato in ballo qui, e con una certa frequenza in mostre simili o dal taglio estetico parallelo, sia ormai una necessità di scrittura e non più un mirare ideologico dell’artista.

Dopo aver riflettuto negli anni passati sul cascame, sulla mundezza, sul senso degli oggetti decontestualizzati, sugli avvicinamenti arditi di opere e oggetti comuni, è venuto a mio avviso il momento di chiudere la porta, ricavandoci magari una feritoia per controllare se qualcosa si potesse ancora salvare. Le mostre, come quella che sarà presente nella galleria Noero sino ai primi giorni d’ottobre, nella sede di Piazza Carignano, sono una presenza costante ma ormai, in fondo, un ricordo. Ammassi regimentati o sparpagliati di cose, nel vero senso volgare del termine, sono una presenza reale ma che fanno capo ad un periodo visto, subito e ormai assimilato.

Bader ci fornisce pochi appigli, qualche costruzione più strutturata si trova verso il fondo, con interventi sonori nella stanza denominata “Molecules” (intrigante, debbo dire, d’approfondire) e scultorei, in una sala che si affaccia su Via Cesare Battisti, dalle tende serrate nelle case e dai balconi con radi oggetti stagionali, come malvive piante in vasetti graziosi. Per concludere: che dire, rivedibile, forse ripensabile, ma Bader (classe 1978) è un buon nome del firmamento dell’arte attuale, dunque avrà modo di rifarsi.

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