Fru Fru di Edda: wafer e viscere

Ironico, sensuale, a tratti dissacrante nella sua leggerezza, “Fru Fru” è il quinto album di Edda (alias Stefano Rampoldi) pubblicato lo scorso 22 febbraio dalla Woodworm Label. A nostro parere, uno dei dischi italiani più interessanti dell’anno. 


_di Martina Lolli

“Fru Fru” non è solo un bel disco che gode degli arrangiamenti e della direzione artistica di Luca Bossi – attualmente in tour con Edda – ma diverge per un attimo dalla profondità a cui Edda ci ha abituati, quella che scava nelle pieghe dolenti di un uomo e di una donna, di un ragazzo e di una ragazza allo stesso tempo; è quindi una novità per i fan poiché mette in pausa il clima di introspezione e struggimento iniziato con “Semper Biot” e che già con “Graziosa Utopia” iniziava ad alleggerirsi.

Lo si può pensare come un omaggio alla canzone italiana, dagli Anni Quaranta degli evergreen di Umberto Bertini, fino ai Settanta/Ottanta della Rettore e di Alberto Camerini poiché è intarsiato di citazioni che prendono nuova vita con versi in cui il senso delle parole si allenta. L’importante è essere leggeri, come indica il wafer sulla copertina del disco – un dolce senza uova, il preferito di Edda. L’elettronica ha una parte importante in questo album mentre la voce si arricchisce di effetti che ci fanno prendere fiato dalla sua dirompente emotività che negli album precedenti ci ha portati a sollecitare il significato sotteso dei brani. Ma se può essere difficile a volte ricamare il senso delle liriche, è vero che i testi sciorinano immagini, si fanno visivi, profumano di un’autenticità da scoprire. Ad ogni modo non perdono la visceralità che contraddistingue lo stile di Edda che tanto amiamo.

Già dal primo singolo, E se – che ci riporta subito alla chitarra degli Chic – capiamo dove si vuole andare a parare: è un album tutto da ballare, sul funky spinto delle chitarre di Francesco Killa Capasso e sull’elettronica del synth di Luca Bossi, che si alterna al basso, proponendo ritmi che costruiscono e mantengono la narrazione della linea vocale. Alla batteria Nick Lamberti crea una solidità ineccepibile entro cui ci si può scatenare.

E se è un po’ la chiave di volta dell’album: giocosa, dissacrante, leggera nell’ebbrezza delle possibilità; androgina e incestuosa.

Perché con Fru Fru Edda architetta pur sempre un mondo, lascia aperte delle domande e lascia fluttuare un occhio ironico per scompaginare il punto di vista. Poi ci sbatacchia con la torbida storia di Italia Gay dove un riff decadente di chitarra fa eco al ritornello che diviene una confessione fatta a cuor leggero, quasi urlata, introdotta dal verso “un’ora sola ti vorrei”.

Mentre balliamo, versi densi di verità scomode viaggiano sulla voce chiara di Edda, tanto maschile quanto femminile, una voce che rimane pur sempre sul bordo di indecisione dei due generi. Sul giro di chitarra quasi carnale di The Soldati, secondo brano dell’album, Edda insegue rime semplici e genuine, talvolta forti, che viaggiano sul filo rosso di una passione in cerca soddisfazione.

Passione, amore e sesso, con la musica di Edda oscilliamo nell’ambiguità di questi desideri che creano richieste altrettanto ambigue e Fru Fru non fa eccezione: è di amore che si canta nella ballata onirica Edda che gira sulla triste dolcezza di una perdita imminente e irreversibile. Il falsetto dell’intro ci riporta all’indimenticabile Lugano Addio di Ivan Graziani, ma la nostalgia della voce dell’autore lascia trapelare l’anima tormentata dei lavori precedenti, mentre la frase di apertura si allaccia con candore all’attacco di “Ma l’amore no” di Alida Valli.

I “sogni senza bisogni” di Vanità, sono rivolti a un amore che sfida le convenzioni e la morale, cavalca la dolcezza di un’infatuazione dichiarando una profondità che demistifica il titolo.

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La più energica Vela Bianca propone strofe che lasciano emergere la voce con una linea che striscia sinuosa nei versi fino al ritornello dove il tono diviene un lamento per la sconfitta di una cotta che stenta a essere corrisposta.

Dall’amore si passa alla sensualità dell’intro in minore di Samsara che si spezza su parole crude e su una ritmica sincopata frapposta all’arpeggio della chitarra. Il ritornello rimane indissolubile in testa, talmente estraneo dal resto del brano da risultare casto e sensuale allo stesso tempo.
Perché nei suoi brani Edda è se stesso, ma è contemporaneamente un’altra persona: è sua madre, è la donna che ha dentro e che si nasconde in ognuno di noi: a volte una prostituta, altre una santa, ma pur sempre una signora.
Edda è l’una e l’altra cosa, si trasforma, oscilla fra i poli in cerca di equilibrio, ma nella sua ricerca è anche la nostra stabilità che riesce a minare.

Ovidio e Orazio, ultimo brano di Fru Fru, chiude il cerchio dell’ambiguità che è stato il filo rosso dell’album. Di cosa parliamo? Forse non è importante chiederselo, ma lasciarsi permeare dai versi del ritornello:  tu che non hai più bisogno di me / sono quella che sono non un’emozione / e che non sai cosa fare di me / sono quella che sono non un’erezione. 

Edda si diverte a scompaginare i generi, a prenderci in giro, a trovare la verità nella latenza di senso di rime semplici, a dare una svolta a un sound che lo ha fatto amare da tanti e a disegnare una personalità che, seppur ambigua, ha un carattere inconfondibile.

A proposito di equivocità Abat-jour è un brano inafferrabile che ci lancia un appiglio, un sound già presente nella nostra memoria che ci riporta al carattere familiare di una storia strampalata. Ancora una volta non riusciremo ad afferrare tutte le sfaccettature di una personalità sopra le righe, ancora una volta ci staremo chiedendo se ciò che canta Edda ha un senso o meno, scrutando la propria vita da una prospettiva più ampia. E allora non ci resta che ballare sulle debolezze, sulle indecisioni e sulle nostre imperfezioni; sul disincanto di vivere una vita imperfetta, sullo sconcerto di qualcosa che non si può fare, anche se bella, guidati dalla limpidezza di una voce che sfiora l’estasi e che sa narrare verità scomode attraverso il godimento del corpo.

Se “Graziosa Utopia” – penultimo album di Edda – era una preghiera verso la catarsi, “Fru Fru” è il disappunto ironico di una vita sbagliata o a cui dobbiamo, forse, solo correggere il tiro. Cosa c’è di più vero di questo?