[REPORT + PHOTO] Afterhours: qualcosa per cui valga la pena | Castello di Donnafugata (Rg)

Non c’è dubbio che una band come gli Afterhours brilli di luce propria, ma è pur vero che alcune location hanno il potere di rappresentare un valore aggiunto di godimento visivo laddove quello sonoro è già garantito. Quest’anno le trasferte sicule estive per Manuel Agnelli & co. approdano su alcuni dei luoghi più suggestivi dell’isola, il Teatro Greco di Tindari, e il Castello di Donnafugata nel ragusano.

“Folfiri o Folfox” è stato un cambio pagina nella storia Afterhours, una zaffata esistenziale che sotto l’effetto dell’epifania dell’Assenza, ha scombinato i caratteri – già in subbuglio per la rinnovata line up – e dato vita a nuove forme. Questo tour è quindi un momento topico e inevitabile per il patto, non scritto ma sentito, che lega i musicisti al loro pubblico; un atteso incontro chiarificatore, tra quello che vuol dire, oggi, essere “Afterhours”, e coloro che li seguono, da vent’anni o da qualche mese.

Abbandonata l’ANSIA sul cappellino indossato durante il soundcheck pomeridiano, Manuel sale sul palco, da solo, con il pezzo che è il cuore dell’album,  un concentrato delle coordinate emotive che lo sottendono, una trenodia strazziante, un commiato che disvela nel ritrovarsi soli, l’essenza dell’adultità. Grande. Nel momento di maggiore pathos fanno il loro ingresso gli altri componenti della band, a riempire di suoni quest’urlo di dolore. Seguono pezzi che sono l’altra faccia di “Folfiri o Folfox”, quella più agguerrita ed elettrica, come Ti cambia il sapore o Il mio popolo si fa.
Le prime parole di Agnelli vengono spese per introdurre Non voglio ritrovare il tuo nome, “le cose non finiscono se non finiscono prima di tutto dentro di noi”, chiudere un cerchio per poi aprirne un altro, mica facile, ma a sentirlo cantare per un attimo ci crediamo anche noi.
La scaletta – identica per tutte le tappe del tour – dosa con equilibrio passato e presente, e così arrivano, accolte con entusiasmo, Ballata per la mia piccola iena, Varanasy baby, La vedova bianca, Padania. Al termine di quest’ultima Manuel fa un passo in avanti verso il pubblico, lo osserva e invita al silenzio, con uno sguardo che parla da sé, quasi a dire “siamo ancora qui, nonostante tutto, non è questo, forse, che conta?” e per un secondo sembra quasi sul punto di commuoversi, quando con il suo humor inglese introduce una ballata strappalacrime, per poi andarci giù, impetuoso, sulle corde della chitarra con Male di Miele.
L’uscita in scena di Agnelli lascia il resto della combriccola sul palco a dimenarsi con Cetuximab, una danza epilettica di gruppo, dove Xabier Iriondo, Roberto Dell’Era, Fabio Rondanini e Stefano Pilia si liberano e si sfogano diventando protagonisti indiscussi.
Dopo il caos arriva l’intimità del momento a due di un Agnelli messo a nudo e il pianoforte come sua unica veste con L’odore della giacca di mio padre.
Il primo dei due encore, La verità che ricordavo, è uno dei momenti più caldi del live, per un pubblico per il resto del tempo pacato e riflessivo, e per Manuel, che si scalda giocando con il microfono.
Se entusiasma ma non sorprende la presenza di Strategie, Pop (una canzone pop) è la vera perla di questo tour, di rado suonata live nel corso degli anni; un brano su come “il pop abbiamo ucciso la mia anima, anche se detto adesso fa un po’ ridere” (un riferimento alla partecipazione ad X factor?), accompagnato dall’insolita richiesta di non fumare per tutta la sua durata. Memorabile chiusa del primo bis il fischiettìo finale di Non è per sempre di Manuel e Dell’Era.
I saluti veri però sono con quello che forse può essere considerato un manifesto della poetica Afterhours, Quello che non c’è e la sorella Bye Bye Bombay.

Se il patto è non scritto, anche il responso non ha bisogno di parole. Era nel silenzio invocato e ascoltato dai presenti, nell’attenta e partecipata accoglienza dei nuovi pezzi, nella complicità palpabile tra tutti i musicisti, nel sold out del concerto. Qualunque cosa sia oggi Afterhours, per molti ne vale ancora la pena.

Galleria fotografica a cura di Maddalena Migliore.