Il giro del mondo con C2C

c2c festival torino

Tema dell’edizione di C2C 2023 è stato Il Mondo, a ribadire il suo posizionamento internazionale acquisito grazie ad una credibilità e una reputazione costruite nel corso degli anni. La ventunesima edizione che si è appena conclusa lo ha confermato ancora una volta. A cura di Edoardo D’Amato.

C2C ha brillantemente superato i suoi 20 anni. Dopo aver ospitato nell’arco di due decenni artisti del calibro di Thom Yorke, Aphex Twin, Kraftwerk e moltissimi altri act di caratura mondiale, il Festival si è guadagnato una credibilità e una fiducia incondizionata. Lo testimoniano i numeri: anche quest’anno oltre 35mila persone da 40 nazioni in tutto il mondo. Un festival internazionale a tutti gli effetti, che continua nel suo percorso “avant” rispetto alla media di ciò che succede nel nostro Paese. Basta dare un’occhiata alla lineup dell’edizione che si è appena conclusa. Ormai C2C è da tempo una creatura senza un genere definito: l’avant pop che diventa naturalmente pop, che a sua volta sconfina nel rock, nel jazz, nel post-punk e ovviamente nella musica elettronica, che parte dalla techno e dalla house e approda ad un clubbing totalmente decostruito.

Insomma, tanta roba e quest’anno non sono mancate alcune novità: Combo quartier generale del Festival e venue d’eccezione per alcuni set pomeridiani, i talk per addetti ai lavori e non al Teatro Regio e la (stupenda) galleria di passaggio tra main stage e Stone Island, che ha evitato il solito ingorgo di persone infreddolite tra un cambio palco e l’altro.

c2c festival 2023
Noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre” – Franco Battiato

Certo, alcuni aspetti che fanno storcere il naso rimangono. Al netto di una proposta food&drink più assortita rispetto agli scorsi anni (grazie alla partnership con Baladin e Agribiscotto), una bottiglia di acqua al costo di 2 euro non dovrebbe esistere. Rivedibile anche la gestione dei token, dal costo di attivazione del braccialetto di 2 token/euro a fondo perduto alle ricariche solo in multipli di dieci (e nessuna somma fra consumazioni che fa un multiplo di dieci…). Ricariche che in certi momenti particolarmente congestionati (specialmente sabato a Lingotto c’erano decine di migliaia di persone e la connessione degli smartphone andava a singhiozzo) erano parecchio difficoltose. Insomma, da questo punto di vista si può fare di più.

Tornando a parlare di musica, il tema dell’edizione di quest’anno è stato Il Mondo. In effetti i 36 artisti che si sono esibiti provenivano da 20 nazionalità diverse. E a OGR e Lingotto spesso tra il pubblico si sentiva parlare in lingue straniere: una cosa inusuale per un Festival italiano. Perciò si può dire che con C2C 2023 abbiamo fatto un giro del Mondo in 4 giorni. Ma quali sono le cartoline e i ricordi che ci portiamo dietro da questo viaggio?

I Model/Actriz ci hanno spettinato per benino

Nel day 1 di C2C alle OGR hanno fatto il loro debutto italiano i Model/Actriz, che confermano live quanto c’è di buono nel loro esordio “Dogsbody”.  La formula della band di Brooklyn è tutto sommato semplice, ma funziona bene: un post punk cupo e diretto (sconfinante a volte in un industrial ancora più oscuro) che incontra momenti dance-punk più danzerecci. Il tutto condito dai testi e dalla verve del leader Cole Haden, che ha passato metà del live a gironzolare in mezzo al pubblico. Un novello Tim Harrington (chi c’era allo scorso TOdays Festival sa), meno satiro e con un’attitudine decisamente più dark.

Caroline Polachek mette “Ti sento” dei Matia Bazar in console

Caroline Polachek ha conquistato (quasi) all’unanimità il pubblico di C2C che ha assistito al suo doppio show: il set alle OGR e il live al Lingotto del giorno dopo. Andiamo con ordine, partendo dal dj set del Day 1, che è stato un piccolo bignami delle cose che l’artista americana ama. Si va da Hudson Mohawke a Tove Lo, da Moonchild Sanelly ai Bicep. Un’ora abbondante di set simpatico e divertente, impreziosito da tre perle che hanno fatto scendere una lacrimuccia: Teardrop dei Massive Attack, Ti Sento dei Matia Bazar (Antonella Ruggiero è diventata per lei un punto di riferimento per la stesura del suo ultimo disco) e Pazzeska di Myss Keta (chissà se ora il fondatore e direttore artistico Sergio Ricciardone sarà venuto a conoscenza dell’esistenza di Guè, LOL).

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La verità su Caroline Polachek sta nel mezzo: le canzoni ci sono, la presenza scenica pure, ma gridare al miracolo sembra esagerato

Il concerto del Day 2 è stato un continuo di applausi, con gente che sapeva le canzoni a memoria (una cosa che a C2C non succede quasi mai). Insieme alla sua band, Polachek ha suonato tutti i brani di “Desire, I Want to Turn Into You”. Magnetica, tecnicamente perfetta in ogni vocalizzo e in ogni movimento sul palco. L’attitudine un po’ in stile Flashdance, con tanto di tutina nera, non dispiace ma alla lunga può risultare stucchevole. Sui visual meglio passare oltre.

C’è chi la osanna tessendone lodi sperticate e chi non la sopporta (o meglio, questi ultimi non sopportano in primis chi la esalta), ma anche in questo caso forse la verità sta nel mezzo: le canzoni ci sono (ad esempio “Welcome to My Island” e “Butterfly Net” escono fuori benissimo anche nella loro resa live) e la presenza scenica pure,  ma gridare al miracolo sembra francamente esagerato.

I Two Shell, padroni/predoni del dancefloor

A proposito di visual: quelli dei Two Shell invece erano incredibili. Sullo schermo dietro di loro comparivano dei portali/finestre, in stile rosoni delle Chiese, in cui venivano proiettati svarioni visivi vari e sequenze di video. Ad esempio quelle di Like I Love You di Justin Timberlake e Complicated di Avril Lavigne, quest’ultima in un mashup improbabile quanto adorabile con Avril 14th di Aphex Twin. Loro due, incappucciati e misteriosi come sempre, sembravano dei predoni del dancefloor, capaci di ipnotizzare con il loro cocktail di techno, dubstep e pc music. “Mum is Calling” ha ribaltato il main stage.

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Gli Space Afrika sono perfetti per l’oscurità di Lingotto

La luce al buio della galleria di passaggio tra main e Stone Island Stage (quest’anno strutturato circolarmente a richiamare boiler room, con colonne di casse che nascondono i dj dallo sguardo dei presenti) è il preludio perfetto per il set degli Space Afrika. Il duo di Manchester ha prima costruito un muro sonoro fatto di droni e beat decostruiti, per poi salire in cattedra con mine rap, trap e grime. Un esaltante vortice oscuro.

Le metamorfosi di Yves Tumor

Il day 3 è stato davvero ricchissimo. Il primo protagonista è Yves Tumor. Da enfant prodige della PAN, con cui aveva pubblicato il folle e visionario disco d’esordio “Serpent Music”, Sean Bowie ha continuato in Warp il suo percorso di musica da club decostruita, per poi pubblicare due album (gli ultimi) molto più rock-oriented. Una metamorfosi compiuta anche live.

I brani di “Praise A Lord Who Chews But Which Does Not Consume; (Or Simply, Hot Between Worlds)” dal vivo hanno un suono ancora più avvolgente, con una presenza massiccia di basso e chitarra, cori e falsetti. E poi c’è lui, che si dimena sopra e sotto il palco, con cresta colorata, giacca di pelle di cui si è sbarazzato molto presto rimanendo a petto nudo e quella voce intrigante, che raccoglie ispirazioni dagli insegnamenti del Dio Prince e del primo Lenny Kravitz. Yves Tumor in una manciata di anni è diventato una rockstar.

King Krule ha la cazzimma giusta, ma…

Pur non avendo ancora compiuto 30 anni, è già passato un po’ di tempo da quando King Krule faceva la sua comparsa come nuovo golden boy della scena UK. Nel frattempo, il suono jazz-punk che si è costruito da “The Oz” in poi ha per fortuna preso finalmente il sopravvento sui rigurgiti nostalgici Arctic Monkeys. Sia su disco ma soprattutto anche nella dimensione live. Merito anche di una band (composta da chitarra, basso, batteria, synth e sax) che pesta duro e che accompagna bene le liriche stralunate del cantautore britannico. L’attitudine è quella giusta, anche se alla lunga il suo songwriting potrebbe risultare un po’ troppo ripetitivo.

Il compleanno della PAN

Privilegiando la programmazione del main stage, il tempo per godersi la festa per il 15esimo compleanno della PAN (che la settimana prima aveva festeggiato al Berghain di Berlino) non è stato molto. Ma tra un cambio palco e l’altro ci siamo fatti ammaliare prima dal reggaeton non convenzionale di Sangre Nueva (ovvero il trio di dj e producer composto da Dj Python, Florentino e Kelman Duran) e poi gasare dalla cassa dritta di Bambii. Auguri PAN!

La Plenitude Room, per chillare un po’

Dietro lo Stone Island Stage, un po’ nascosta e non troppo segnalata (probabilmente per non correre il rischio di lunghe code), la Plenitude Room ha rappresentato una piacevolissima oasi sonora in cui rifugiarsi per prendersi un momento di relax. Ci si poteva sdraiare e sonnecchiare, facendosi cullare dall’installazione curata da Anonima Luci e dai suoni di Bienoise, Mana, Sara Berts e molti altri. Una chicca.

Lo show audiovisivo di Flying Lotus

Ma che gli vuoi dire a Flying Lotus? Ha fatto un altro show audiovisivo pazzesco, dopo quello del 2012, spaziando tra tracce della sua discografia (specialmente dall’ultimo “Flamagra”) e omaggi nei confronti di illustri suoi colleghi. In particolare del fratello acquisito Thundercat, presente nel suo set con “Dragonball Durag”, “Wesley’s Theory” (il pezzone di Kendrick Lamar) e la conclusiva “Them Changes”. Imprevedibile, il loto volante ha cambiato registro un milione di volte in un’ora abbondante di set. Ad un certo punto si è anche messo a rappare sulla voce di Earl Sweatshirt in “Between Friends”. Un viaggio in tutte le declinazioni del dancefloor black per uno degli highlights più potenti di questo C2C.

Moodymann che inizia il suo set con Cruci-fiction In Space di Marilyn Manson

Un’altra leggenda vivente che non ha bisogno di molte presentazioni è Moodymann, a cui è spettato il compito di calare il sipario del main stage di C2C 2023. Lo ha fatto a modo suo, iniziando la sua performance con “Cruci-fiction In Space” di Marilyn Manson. Da lì in poi Kenny Dixon ci ha preso per mano e portato nel suo mondo sonoro inconfondibile, piazzando nel suo set icone della black music come Lamont Dozier (grazie Shazam!) e produttori più in orbita C2C (si sono gasati tutti appena dall’impianto poderoso è fuoriuscita “Bad Kingdom” dei Moderat). Sontuoso.

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Tirando le somme…

Non esiste un Festival come C2C in Italia. Per capienza delle location, contesto indoor autunnale, act provenienti da praticamente ovunque e soprattutto una fortissima identità costruita negli anni, rappresenta un unicum nel nostro Paese. E si tiene a Torino, città che nel mese di novembre vive una specie di sbornia di eventi, tra Art Week, ATP Finals, Cioccolatò e quest’anno anche una maratona che forse era meglio evitare. La sensazione è che ora C2C viaggi con il pilota automatico, ma ogni anno riesce a stupirci con qualcosa di nuovo. Appuntamento al 2024.