[REPORT] Einstürzende Neubauten al Colosseo: sempre un gran bell’incubo

L’alieno Blixa Bargeld atterra sul palco del Teatro Colosseo di Torino con la sua armata di fabbri del rumore per presentare l’ultimo disco intitolato “Alles in Allem” e raccontarci – ancora una volta in maniera sublime – l’incubo post-industriale tedesco.

_di Francesco La Greca


È la sera di un caldo giovedì torinese e il teatro Colosseo è preso d’assalto da un’adunata di gente che a giudicare dall’outfit non parrebbe formata da coloro che stanno andando a vedere una commedia all’italiana. Sul palco davanti
alle poltroncine rosse si erge una discarica di ferraglie tale da far gola ad un rigattiere, un carrello della
spesa troneggia davanti ad una fresa e tutto intorno tubi di metallo e lamiere: stanno per esibirsi gli
Einstürzende Neubauten.
Gli alfieri dell’industrial berlinese ritornano dopo una lunga assenza dai palchi per promuovere il loro
nuovo album “Alles in Allem”. L’Italia assieme alla madrepatria Germania è l’unico paese europeo a
vantare quattro trappe del tour e Torino fa da apripista. L’amore di Blixa per l’italia dopotutto non è un
mistero, ormai è già di culto la collaborazione al fianco del nostro Theo Teardo ed il verso “Mi scusi
come parlo, il mio italiano non ha fatto molta strada”.


Alle 21:00 gli Einstürzende salgono sul palco puntuali come un orologio tedesco con un incedere lento e
pesante. Un giro di basso ipnotico apre le danze e sorregge gli scheletrici arrangiamenti del brano di
apertura tra i leggeri colpi di Einheit (percussioni) su di una lastra metallica installata al centro della
batteria e la parola “wedding” (in italiano “nozze”) ripetuta ad libitum da Blixa che a brano terminato ci
tiene a precisare come la canzone non parli di un matrimonio bensì del distretto di Berlino dove questa è
stata registrata.

Immediatamente cambiano gli assetti sul palco (e sarà così per tutto il concerto): Einheit
abbandona la sua postazione da operaio metalmeccanico e si posiziona davanti alla fresa rotante
brandendo due spazzole che a contatto con questa generano i sibili di una lontana segheria. La
scenografia è scarna e fatta soltanto di luci monocromatiche su un telo bianchissimo, non c’è spazio per
le distrazioni, ogni attenzione è volta a studiare gli anelli di questa improbabile e catartica catena di
montaggio.

Le prospettive si ribaltano drammaticamente con “Die Befindlichkeit des Landes”, il pubblico
non è più passivo osservatore e si trova ora dentro la catena di montaggio stessa tra i torni e gli ingranaggi in
un elettrizzante incubo industriale da cui ci si risveglia solo tra le tiepide luci giallastre che accompagnano la
successiva “Sonnenbarke”. Qui l’E-bow (un particolare strumento che rende la chitarra elettrica una sorta di
violino tormentato) di Jochen Arbeit la fa da padrone conferendo all’esecuzione toni dal registro quasi drone.

A mezz’ora dall’inizio del concerto Blixa annuncia un grande ritorno nella formazione: il
carrello della spesa che mancava tra le fila del gruppo dal 1987. Invecchiato decisamente bene, il carrello
viene percosso come fosse un vero e proprio xilofono con le sue note precise e taglienti ad
accompagnare la salmodiante “Grazer Damm”, canzone dedicata al quartiere dove Blixa è cresciuto.
A seguire gli Einstürzende danno dimostrazione del loro speciale metodo compositivo soprannominato
“Dave”: Blixa lo definisce un sistema di navigazione composto da 600 carte contenenti ciascuna un
concetto. Le carte vengono estratte e le parole vengono messe assieme a formare le suggestioni che poi
ispireranno la musica. Sempre Blixa elenca le undici carte che hanno ispirato il brano in procinto di
essere suonato (“Zivilisatorisches Missgeschick”) invitando poi il pubblico ad individuare ciascuna di esse
dentro la musica, il tenore delle frasi è “turbocapitalismo” e “radiazioni spaziali”: l’effetto dell’esperimento
è dissacrante.


Il concerto durerà in tutto un’ora e mezza e comprenderà due graditissimi bis. Gli oggetti quotidiani
adoperati come strumenti musicali saranno tra i più improbabili: sacchi della spesa, pompe ad aria
compressa, chiodi, una vecchia radio e tutti saranno suonati con una dignità tale da renderli
indispensabili alla struttura delle musiche al pari degli strumenti convenzionali. Proprio questa è la
grande forza degli Einstürzende Neubauten ai quali non è mai mancato il coraggio né la voglia di uscire
dagli schemi e sperimentare. Insomma – realmente – degli alieni atterrati per puro caso ad Alexanderplatz
nel 1980 e che da allora continuano a stupire ed emozionare con una formula difficilmente replicabile e
riconoscibilissima. Non a caso Finardi cantava “Blixa portami via, voglio una stella che sia tutta mia” o mi
ricordo male?

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