Nove C: la scalata interiore di Dario Ricci

Il primo romanzo di Dario Ricci esce per le edizioni Il Seme Bianco per la collana Magnolia. A prima vista, può sembrare un romanzo sull’alpinismo ma non è proprio così, o almeno lo è solo parzialmente… 

Dario Ricci, al suo esordio nella narrativa, è certamente stato folgorato dal brivido dell’alpinismo. Questa sua passione coltivata da poco tempo ma in maniera molto intensa, ha ovviamente regalato lo scenario – direi fisico e mentale – nel quale è ambientato “Nove C”. È l’autore stesso a specificare che non si tratta di un volume didascalico sull’alpinismo, sebbene le montagne si ritaglino una parte da protagoniste tra le pagine. Lo capiamo abbastanza in fretta quando facciamo la conoscenza di Diego Capecchi – quasi certamente, almeno in parte, un po’ un alter ego dell’autore – protagonista del romanzo. Diego ha un lavoro fisso, ben pagato e mediamente “accattivante”, nel settore marketing.

Tuttavia non si sente particolarmente appagato, ingabbiato in una routine in cui qualcosa gli sfugge. Diego ha la sensazione che qualcosa oscuri la sua visione di vita. Ha certamente bisogno di un nuovo punto di vista, di qualcosa che lo elevi dal piano terra del grigiume quotidiano. Come è facile intuire lo troverà lassù, tra i monti. O meglio, lungo il percorso che lì lo porterà. Altrettanto intuibile è che questo senso di incompiutezza e sfasamento sia dettato non solo da ragioni “professionali” ma anche da questioni di cuore. Diego infatti deve affrontare anche l’improvvisa rottura con Giulia, colei che pareva destinata ad essere la donna della sua vita. Ma la vita, si sa, può riservare valanghe inaspettate. E scappare serve quasi sempre a poco: sono troppo rapide, occorre piuttosto affrontarle.

Ecco allora che la sfida all’implacabile verticalità della roccia, diventa per il nostro protagonista una sfida ai propri limiti. Dario Ricci porta avanti una tradizione di pensiero ormai ampiamente storicizzata per la quale la montagna non è solo un luogo fisico, ma anche uno stato mentale e successivamente spirituale. Se da un lato la vetta dal coefficiente di difficoltà importante diventa lo specchio della chimera del raggiungimento della vita perfetta, dall’altro rappresenta anche l’amore irraggiungibile. Tra le parole di questa scalata si inseriscono le riflessioni esistenziali che almeno una volta hanno attanagliato tutti noi: il silenzio assordante dei nostri pensieri quando ci troviamo da soli con noi stessi, la presa coscienza dello scorrere del tempo, il limbo nel quale ci si interroga in merito ad una decisione importante.

Interessanti gli interpunti “musicali”, tra i quali spiccano le note di Ben Harper, atipico cantautore californiano dall’appeal molto “spiritual”, che in effetti mi immagino impegnato in simili scalate e riflessioni tra le montagne rocciose degli States. Consigliatissimo in cuffia, qualora decidiate di intraprendere un percorso simile a quello del protagonista del romanzo. Lui sogna di attraversare il ghiacciaio Vatnajökull in Islanda… e voi?