Il racconto del concerto dei Calexico a Bologna

Un racconto che si svolge laggiù, tra i confini desertici, dove lo spagnolo si fonde con l’inglese, dove il country si miscela con il latin rock, dove la California fa crasi con il Mexico.


_di Raffaello Rossini

Il 12 Luglio il pubblico del Botanique di Bologna si è ritrovato in un angolo di Arizona, stregati dai ritmi dei Calexico, lente gocce di sudore sul viso, a ritmo di Cumbia e Tex – Mex. E’ stato facile entrare in questa bolla spazio temporale, accompagnati dal caldo e dall’intro di “Frontiera” e “Frigger”, direttamente da Tuxon, direttamente dal 1998.

Il palco è una selva di strumenti, i sette membri della band sono tutti valenti polistrumentisti, suonano muovendosi con disinvoltura lungo un filo di collegamento tra indie, jazz e rock latino, fiati, chitarre e percussioni. Joey Burns è un ragazzo d’oro, e ringrazia tutti i presenti di essere lì, nonostante non sia un periodo felice, ma che forse la soluzione è proprio continuare ad ascoltare musica e condividere emozioni, insieme.

Burns è un cantastorie, lo è anche quando racconta aneddoti legati alle canzoni, piccole lezioni di vita o grandi omaggi. Come Frank’s Tavern, struggente dal vivo, pezzo uscito all’interno della raccolta Somebody’s Dream, un tributo al grande padre di tutto il SouthWest della musica: Chris Gaffney.

Oltre ai grandi classici del repertorio, c’è spazio anche per tracce dell’ultimo album “Edge of The Sun”, album poco “raccontato”, con tracce senza voce, ma comunque pregno di quelle atmosfere care ai personaggi che vivono negli universi meticci dei Calexico, e dei propri spettatori. I ragazzi sono contenti di suonare in Italia, non perdono l’occasione per ribadirlo, e una volta tanto non sembrano frasi di circostanza, raccontano di ricordi indelebili legati all’Italia, sembra quasi che si conoscano di persona, al di qua e al di là del palco.

La luna, nel frattempo, crescente, appare e scompare, sopra la musica tra le poche nuvole notturne, quasi richiamata dall’ululato di un coyote o dalle corde di una chitarra. La strada tra i confini desertici è ancora lunga, per tutt*, ma per percorrerla guideremo certamente una Cadillac impolverata, raccontando di storie perse tra la sabbia del tempo.

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