[Didie Caria: tra gospel e teatro

Da Emilia, il 9 marzo, il cantautore torinese Didie Caria coinvolge il pubblico e anima la serata, ma prima, mentre tenta di mangiare una tigella, risponde alle nostre domande.

di Giorgia Bollati  –  Note soul, orizzonti blues, un sintetizzatore, un ukulele e qualche giocattolo (come li chiama lui): questo l’habitat di Didie Caria, cantautore torinese che ama muoversi tra musica, teatro e feste sparse per l’Italia e anche oltre. Con tre album all’attivo, Cerchi sulla sabbia, Ladro di storie e Primo tempo, Didie non smette di sperimentare e, con alle spalle anni di tournée gospel con il reverendo Lee Brown che l’ha portato fino in Giappone, si lancia in jam session e concertini tra locali e feste private creando performance interattive con il pubblico; al momento si trova in tour con l’attrice Anita Caprioli per una rivisitazione dell’Antigone.

Il 9 marzo ha suonato e cantato Da Emilia, in corso San Maurizio 47, proponendo le canzoni dell’ultimo album e cantando vecchi classici insieme alle voci del pubblico; ma prima del concerto gli abbiamo rivolto qualche domanda, tra una tigella e un bicchiere di vino.

Sono passati quasi tre anni dal tuo ultimo album, Primo tempo, e in tutto questo tempo, con lui hai fatto tanta strada: puoi raccontarci com’è nato e, soprattutto, a cosa ti ha portato?

“L’album è stato realizzato grazie a una campagna di raccolta fondi molto ben riuscita che ha disatteso ogni pronostico perché l’obiettivo era molto ambizioso e mancava una parte importante per un progetto del genere, vista la mia natura di solista, contro al motore dei crowdfounding che è la “cerchia di amici”. È stata un’esperienza molto bella che mi ha dato tanto, ho sentito il sostegno della gente che quando trova qualcosa che le appartiene, qualcosa di valore, non si tira indietro e dà il proprio contributo. Insieme a questo, è stata molto importante la tournée spontanea nelle case, autofinanziata e senza nessuna aspettativa, che, tuttavia, mi ha mostrato il lato umano delle persone, l’affetto di legami del passato mai dissoltisi.
Dopo un po’ di serate ufficiali, la maggior parte delle esibizioni con quest’album sono state in case di tutta Italia, chiedendo online chi volesse ospitare un concerto nel proprio salotto, un po’ per andare contro il mercato degli addetti ai lavori, un po’ perché mi sento sempre molto in sintonia con il pubblico: io davo un casino di fiducia e dall’altra parte mi è arrivata una cosa bellissima.”

E dopo il Primo tempo viene il Secondo?

“Forse io ci vedo più un intervallo e nessuno sa cosa succeda nell’intervallo!”

Cosa significa per te scrivere una canzone? Quando l’hai fatto per la prima volta?

“Per me scrivere una canzone è trovare la sintonia tra una nota e una parola, è esprimere una nota che già racchiude in sé il concetto che si vuole esprimere: questo è il principio con cui nasce la musica gospel che sempre si richiama a Dio e che, proprio per la sua sonorità, innalza. La prima canzone si chiama “I”, che casualmente coincide con il simbolo ruotato di Primo tempo, e l’ho scritta a 16/17 anni in Inglese. All’italiano sono arrivato dopo, ho sempre lavorato nel gospel su una base musicale in inglese.”

Quali sono le influenze rintracciabili nella tua arte?

“Prima mi ispiravo agli artisti gospel e RnB, poi sono arrivati Paolo Nutini, James Blake, Lianne La Havas, Jamie Cullum, Sia, Flight of the conchords, Kimbra. Mentre a livello di componente teatrale, provengo da studi di musical e di una danza a forte componente espressiva che è la forma giapponese del Butō, per poi passare a Teatrodanza e infine alla scrittura per il teatro.”

La canzone che hai bisogno di sentire quando non ti senti bene?

High and Dry dei Radiohead.”