Alberto Boatto e la Pop Art americana: New York 1964 New York

La casa editrice Gaffi Italo Svevo ha pubblicato New York 1964 New York, a cura di Carlotta Sylos Calò, nella collana intitolata «Piccola biblioteca di letteratura inutile». Il racconto di un viaggio nel cuore della Pop Art americana e delle personalità artistiche più influenti negli anni delle neoavanguardie. 

_ di Beatrice Brentani

La “Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile” ha sempre qualche gioiellino da regalarci: ideata e curata da Giovanni Nucci, su impianto grafico di Maurizio Ceccato, la collana della casa editrice Gaffi Italo Svevo è lontanissima dal contenere prodotti mainstream già dalle copertine: in carta ruvida color bianco sporco, tutte sembrano essere illustrate a mano con una stilografica a punta fine. Lo stile vintage si accentua ancora di più aprendo i piccoli volumi e scoprendo che le pagine sono ancora da tagliare. Libri da vivere, quindi, non solo da leggere: dobbiamo improvvisarci artigiani e creare la nostra personale copia: come staccare la pagine l’una dall’altra? Possiamo scegliere di utilizzare le forbici se vogliamo ottenere un effetto pulito e preciso. Noi abbiamo preferito staccarle delicatamente con le mani. Il risultato? Il nostro libro sembra un pezzo di antiquariato.

Stiamo parlando di New York 1964 New York di Alberto Boatto, pubblicato questo aprile. Alberto Boatto, classe 1929, è stato una delle personalità più originali della critica d’arte in Italia dell’ultimo mezzo secolo. L’autore ha infatti pubblicato studi importanti sull’arte del XX e XXI secolo, dai saggi sulle avanguardie del primo Novecento a saggi militanti sulle tendenze più recenti delle arti visive (new dada, pop art, arte povera, arte concettuale). Tra i suoi libri, il più famoso è senza dubbio Pop art (1967, nuova edizione Laterza 2015) in cui racconta la storia delle origini, delle opere e della fortuna della Pop Art.

New York 1964 New York è sempre un racconto sulla Pop Art, ma in forma diversa: quello che lo differenzia è l’autobiografismo, il racconto del viaggio che l’autore ha compiuto, insieme alla moglie Gemma, nel 1964 a New York durante il quale ha incontrato alcune tra le personalità artistiche più influenti di quegli anni. A ognuna è dedicato un capitolo del libro – Jim Dine, Andy Warhol, James Rosenquist, Jasper Johns, Roy Lichtenstein, ecc.

Sono tutti presenti in quell’immenso “combine painting” che è la città di New York, come la definisce Carlotta Sylos Calò. Un ambiente e una cultura che, nel 1964, non erano visti di buon occhio da molti artisti della scena italiana. L’esposizione del 1964 alla Biennale di Venezia di opere di alcuni artisti americani – e la rappresentazione di alcuni loro spettacoli – aveva infatti destato numerose critiche, accompagnate però anche da una certa dose di fascinazione insita nelle coscienze: 

“Lo shock dello spettacolo dove entravano in parti uguali radicalismo, impudenza e freschezza, provocava scandalo ed entusiasmo nel pubblico, seminava aggressività e sconcertata sorpresa, secondo i temperamenti, le disponibilità culturali e i pregiudizi di ognuno.” – A. Boatto.

Boatto si fa testimone di questa nuova arte e di questa nuova epoca – ed è sempre attento ad evitare l’utilizzo della parola “postmoderno”, ormai così tanto inflazionato, divenuto grande contenitore, dagli anni Sessanta in avanti, di tutte quelle esperienze artistiche, cinematografiche e culturali che presentano caratteri che le rendono difficili da catalogare.

Ma soprattutto, il libro non è tanto il racconto delle forme d’arte emergenti nell’America degli anni Sessanta ma è la narrazione di un viaggio e delle persone che l’autore incontra durante i giorni di permanenza in America. Sembrano essere molto più importanti le descrizioni delle gallerie, degli studi e, più in generale, degli ambienti in cui lavorano gli artisti che le opere realizzate. L’aspetto, il portamento e la freddezza di Warhol prevalgono sui suoi lavori. Anzi, spesso, in questo libro, luoghi e prodotti artistici vengono descritti per spiegare i loro stessi autori.

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Un’Odissea nelle menti di queste personalità d’eccezione, uno sguardo dall’interno del loro modo di pensare e di concepire l’arte e il mondo. Che sono poi, per la maggior parte di loro, un po’ la stessa cosa.

“E’ l’ambiente, le cose che circondano l’uomo ciò che mi interessa, l’environment che serra l’individuo e che lo investe continuamente con stimoli e segnali che hanno la forza di scariche elettriche e di uppercut” – James Ronsenquist in dialogo con Boatto, p. 55.

Il milieu è divenuto il vero nuovo soggetto dell’arte. Ed è proprio questo che affascina Boatto, così tanto da indurlo non solo a pubblicare un’opera come Pop art ma anche la narrazione di come Pop art è andata creandosi grazie al potere dell’incontro con chi l’arte la produce e grazie a una grande metropoli, New York, rivale di Parigi, capitale dell’arte Europea degli anni Sessanta. Ecco spiegata la nascita di New York 1964 New York. Anche Andrea Cortellessa, nella sua recensione pubblicata su doppiozero, ne parla:

C’è nelle opere-vite dei Pop qualcosa che ne fa gli eredi dei grandi modernisti europei: […] per il contatto diretto perseguito con la metropoli dei volti nella folla, dello sfrecciare sulla superficie brulicante del mondo.
[…]Quello di Boatto è uno sguardo conquistato, arreso. E la seduzione che confessa è tanto più ammaliata quanto più squisitamente europeo è lo spirito di chi vi si assoggetta. Non è un caso che in coda al reportage inserisca immagini lampeggianti, dell’America, di due europei suoi felici prigionieri, l’Hitchcock degli Uccelli e il Nabokov di Lolita: gli aligeri alieni di Bodega Bay sono gli stessi che contornano minacciosi l’icona di JFK nei silk screens di Rauschenberg, ma è soprattutto Humbert Humbert, homo europæus dalla cima dei capelli alla punta delle scarpe, che nel suo «itinerario tra i luoghi comuni reclamizzati dalle guide turistiche», in «una terra vuota e appiattita», anticipa «un viaggio pop». In un viaggio simile s’imbarca Alberto, in compagnia della fedele «G.» (Gemma Vincenzini, cioè, che oggi si prodiga per diffonderne la memoria), nell’autunno del ’64.

Al centro del quadro, prima dell’arte, ci sono sempre le persone.

A questo link potete trovare tutte le pubblicazioni della collana «Piccola biblioteca di letteratura inutile» della casa editrice Gaffi Italo Svevo.

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