“Memorie di una donna medico”: il modello di Nawal Al-Sa’Dawi

L’autrice, attivista, scrittrice e psichiatra egiziana di fama mondiale, affida i ricordi di un passato tormentato e scisso tra osservanza e anelito di libertà a un mémoire ricco di suggestioni, interrogativi essenziali e testimonianze di ribellione e forza interiore. 

_ di Roberta Scalise

«Mio fratello giocava, saltava, faceva le capriole. Quanto a me, ogni volta che mi sedevo e il vestito si alzava un poco, andando a scoprire anche solo un centimetro di coscia, mia madre mi lanciava un’occhiata feroce con la quale mi ordinava di nascondere le mie vergogne. Le mie vergogne! Ero tutta una vergogna, ed ero solo una bambina di nove anni! […] Ho pianto per la mia femminilità prima ancora di conoscerla. Fu così che aprii gli occhi sulla vita, e tra me e la mia natura nacque una forte ostilità».

È necessaria un’estrema dose di coraggio e determinazione per fronteggiare un sistema di valori che, in base a false credenze e convinzioni religiose, piega la donna a uno stato di inferiorità e indifferenza e la relega al mero ruolo di incubatrice di vita e custode del nucleo familiare. È, poi, necessaria una profonda dose di ribellione e acuta sofferenza interiore per fuggire e svestirsi di tali schemi, tentando di immergere nell’oblio un passato di impotenza e avversione perpetuata verso se stessa e verso la tormentata simbologia incarnata dalla femminilità.

E, ancora, è necessaria una forza prepotente, che solo una donna come Nawal Al-Sa’Dawi – femminista, scrittrice e psichiatra egiziana di fama internazionale – poteva riecheggiare con cura e appassionata sincerità, raccomandando i suoi ricordi e la delineazione del suo percorso di crescita a un mémoire autentico e viscerale come “Memorie di una donna medico”, edito recentemente da Fandango Libri.

Con uno stile lucido, immediato e catartico, l’autrice conduce, infatti, il lettore alla scoperta delle stanze della sua esistenza, nelle quali lo introduce dipingendo vividi affreschi di scene quotidiane e abitudinarie. A partire dall’infanzia, nel cui corso Nawal, dotata di un carattere subitaneamente determinato e combattivo, inizia ad avvertire le ombre di una discriminazione ancora senza nome, ma già vischiosa e disturbante, costituita di ordini, limitazioni scevre di logica e un forte «odore di aglio e cipolla» – sinonimo del vincolo del matrimonio e di un destino tracciato, dominato da un dovere di cura rivolto alla casa e al marito.

 

Discrepanze di genere e mutilazioni di libertà al cospetto delle quali, dunque, la giovane Nawal discosta con fermezza e irriverenza il proprio corpo e la propria anima, attingendo a un’audacia e a una spiccata intelligenza che le consentiranno, in età matura, di affidarsi al rigore e all’imparzialità della medicina: l’unico ambito in cui le differenze tra l’uomo, perennemente osannato, e la donna, perennemente annichilita, risultano appianate e svuotate di senso, a causa di un medesimo tracciato organico che sotterra giudizi e fatue superstizioni.

Conducendo, così, l’autrice a una vita ricolma di dedizione, sacrifici e dissidi interiori e votata a una fervida fede nei confronti della scienza che, tuttavia, non cela i suoi momenti di cedimento, nella quale si insinua, silenzioso e persistente, il desiderio di scoprire se stesse, di elidere l’odio nei confronti del comparto maschile e di abbandonare l’ancoraggio a un’esistenza talvolta incolore e restia a esprimersi, per schiudersi, così, a un orizzonte di serenità ed equilibrio interiore – tra volontà e praticità – ed esteriore – tra aspettative sociali e libertà personale.

Un equilibrio cui, quindi, Nawal agogna con costanza nel corso dei suoi primi 30 anni di vita, e che trova, finalmente, manifestazione nel concedersi a un amore tanto sincero e potente da rivelarsi in grado di medicare le ferite di un passato oppresso ma necessario: proprio come il coraggio che risulta opportuno per liberarsene.

Ed è necessario che tutte le donne siano come Nawal Al-Sa’Dawi: per la chiarezza di visione; per la resilienza che le ha concesso di lottare e di realizzare se stessa, in un mondo cui spesso il potere femminile è inviso; per la caratura universale degli interrogativi che sapientemente dissemina, conducendo, così, i lettori a porsi quesiti crudeli ma purificatori; e, infine, per la forza interiore che, germogliando nel corso dell’infanzia e maturando, poi, in età adulta, non le ha permesso di sottostare a un reticolato di tradizioni e imperativi imposti, bensì di accogliere una “diversità” che, anziché essere odiata, merita di essere totalmente nutrita.

 

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