Una narrazione di fantasia intrecciata a un documentario realistico. Claudio Sopranzetti, Sara Fabbri e Chiara Natalucci firmano l’ultimo graphic novel pubblicato da add editore, che ci porta dritti nel cuore di un Paese forse troppo conosciuto per le sue attrazioni turistiche e troppo poco per la sua storia politica, sociale e culturale.
_ di Beatrice Brentani
Claudio Sopranzetti lo ha scritto, Sara Fabbri lo ha disegnato, Chiara Natalucci ne è stata l’operatrice editoriale. Un lavoro a sei mani basato su più di dieci anni di ricerca antropologica sul campo: quella descritta nel graphic novel non è la solita Thailandia che siamo abituati a vedere sulle guide turistiche. È una mappa storica – ma anche psicologica (e psichedelica) – degli ultimi trentacinque anni del Paese, un teletrasporto che ci conduce indietro nel tempo e ci mostra i “perché” della Thailandia di oggi.
“Il Re di Bangkok racconta la storia della Thailandia contemporanea attraverso la vita di Nok, un vecchio ambulante cieco che vuole andarsene dalla città. Seguendolo per le vie della megalopoli thailandese e lungo i sentieri della sua memoria, questo graphic novel ricostruisce un viaggio tra le baraccopoli dei lavoratori migranti, i campi di riso dell’Isaan, i villaggi turistici di Kho Phangan, e le rivolte popolari tra i grattacieli della capitale.
Basato su più di dieci anni di ricerca antropologica, Il Re di Bangkok parla di migrazioni e famiglie lontane, del progresso che consuma il Paese e di come le onde della storia sollevano, travolgono, o inghiottono le persone comuni.” – Sinossi, dal sito ufficiale di add editore.
Nok vende biglietti della lotteria. Nok è cieco, proprio come Bangkok, dove vive.
Ogni capitolo segna un nuovo attraversamento, un nuovo ponte che separa gli anni passati da quelli che ancora devono venire. Il lettore li attraversa tutti, insieme al protagonista, ogni volta immergendosi in colori diversi. Il Re di Bangkok ci chiede di cambiare ogni volta la nostra abitudine, di uscire dalla comfort zone, e il suo divenire si trasforma con i personaggi: i disegni sono colorati in maniera diversa in base al momento storico e alla posizione geografica in cui avvengono i fatti narrati. A Udon, paese natale di Nok, un ambiente rurale, ancorato a vecchie tradizioni familiari e rituali religiosi, prevalgono il verde chiaro, quasi acido, e il marrone caldo, simbolo dello stretto legame che lega il posto alla terra, alle coltivazioni, e simbolo anche della lontananza, geografica e ideologica, con Bangkok, metropoli delle illusioni e della perdizione, mitologia così tanto attraente da rinchiuderti nei suoi vizi senza che tu te ne accorga. Bangkok è rosa acceso, è azzurro ghiaccio, ma è anche di tutti i toni più oscuri. I disegni ci punzecchiano, ci provocano, ci comunicano: isolamento, smarrimento, sfiducia, caoticità, delirio e follia, quanto siamo a Bangkok; al contrario, serenità, lentezza, pienezza, calore, quando siamo a Udon.
Affascinante sotto moltissimi aspetti, questo modo di pensare le forme e i colori all’interno del graphic novel: i momenti in cui Nok, ormai cieco e nel suo presente, ci parla proprio della sua cecità e delle conseguenze che ne derivano, sono colorati con sfumature più distese, meno rigide nella scelta dei colori, ma sempre geometriche, dalle forme ovali, oppure a cerchio o a rettangolo, quasi come se volessero farci “vedere” i sensi di Nok, quegli altri quattro che può ancora usare e di cui si serve per sopravvivere nella città che più volte ha tentato di inghiottirlo. Lo spazio viene percepito in sezioni precise e isolate l’una dall’altra, un po’ come i capitoli del libro: sono sì parte di un intero lavoro che scorre in maniera continua e fluida, ma pare che ognuno faccia anche una storia a sé stante e che ogni piccolo particolare sia, in realtà, emblema dell’intero, ma anche autonomo rispetto a quest’ultimo.
Forse perché i fatti storici sono, qui, narrati in maniera soggettiva. Gli eventi di cui si parla ne “Il Re di Bangkok” – il boom economico e la successiva crisi delle borse asiatiche, le illusioni politiche e le rivolte, le migrazioni, gli sfruttamenti, lo scarto sociale tra l’élite e il popolo, i full moon party di Kho Phangan, i ritiri dei monaci della foresta, la ya baa e il misticismo – sono filtrati attraverso la coscienza di Nok, che li ricorda come feticci già parte del suo passato e, dunque, facilmente interpretabili alla stregua delle consapevolezze di cui è in possesso nel momento in cui diviene narratore della sua storia e di quella del suo Paese.
Nok non è che la tradizionale figura del popolano pieno di sogni, aspettative e aspirazioni (che siano di tipo politico, sociale o economico non è importante: lo scacco, almeno parziale, è sempre inevitabile per queste figure letterarie), proveniente dalla campagna e deciso a dare una svolta alla propria vita grazie alle infinite possibilità di arricchimento che tutte le grandi capitali hanno da offrire. Ma Nok è anche un ingenuo, una vittima di quella macchina sociale che ti fa credere di non avere mai abbastanza e ti spinge in avanti senza che tu te ne accorga. Quell’avanti, però, quando ha da offrire qualche minimo beneficio, lo fa privandoti sempre di qualcosa di molto più grande: gli affetti, i valori, la moralità. I ricordi e le speranze.
Quella città che sembrava così edenica finisce per schiacciarlo sotto il peso delle sue ingiustizie e disuguaglianze. Ma Bangkok non smetterà mai di attrarlo – così come l’inferno che, per quanto sia dimora del peccato e delle anime non redente, mantiene sempre la sua enorme quantità di fascino e di seduzione.
Add editore ci racconta una storia inedita, dedicata alle vittime della violenza politica. E lo fa tramite uno strumento narrativo e grafico che sta, fortunatamente, prendendo sempre più piede nelle librerie. Il graphic novel è un compromesso artistico sapiente e creativo con cui confrontarci, cambiare la nostra prospettiva e le nostre idee di saggio, documentario, romanzo e, anche, letteratura.
«Tuo padre sta morendo e tu stai qui a drogarti con il suo amuleto al collo…»«Non dormivo più. Ogni mattina all’alba tornavo nella mia baracca e collassavo…Mio padre, l’uomo che si è sempre preso cura di me, non c’è più. Vedo la sofferenza di Gai, ma è come se fosse sott’acqua, attutita e distante. Non sento niente. Provo a ripetermi che ho fatto esattamente quello che dovevo: lavorare e mandare soldi. Ma ogni centesimo mi ha reso più distante, mi ha fatto cadere più a fondo. Il monaco aveva detto che tutto cambia, che niente rimane uguale per sempre, ma questa gabbia che mi sono costruito attorno sembra estendersi all’infinito. Gai continua a chiamarmi, vuole che torni da lei e da nostro figlio. Io vorrei soltanto scomparire, sciogliermi nel cemento che gettavo ogni giorno credendo di dare loro una vita migliore mentre costruivo solo muri più alti.» – Il Re di Bangkok.