Abbiamo fatto una chiacchierata a tutto tondo con Mario Ferrero – chef di professione e centauro per passione – andando ad approfondire la ricetta del Ristorante In Famiglia e della sua “appendice creativa” Custom Food: un’idea di cucina a 360° e un progetto multidisciplinare, che parte dal cibo in senso tradizionale e arriva a servizi di ristorazione più atipici ed innovativi, con la costante prerogativa di provare ad esplorare nuove strade.
–
_di Lorenzo Giannetti
La formazione, la gavetta, le soddisfazioni e le prospettive, il rapporto con la famiglia e la brigata di lavoro, i momenti difficili e i sogni del cassetto: Mario Ferrero ci apre le porte della sua cucina e della sua vita, raccontandoci – in maniera intima e accorata – come si fa a far sentire il cliente “In Famiglia” e come uno chef possa applicare la sua creatività non solo nei piatti da servire ma anche nel modo in cui questi ultimi vengono serviti. Facciamo un passo indietro, al 1979…
Partiamo dalla location: cosa vi ha portato a Rivoli? La vostra idea di cucina e ristorazione nasce con/a Rivoli o ha trovato residenza lì in un secondo momento? In tal senso potremmo partire da una suggestione: la dicitura messa in evidenza accanto al vostro brand, ovvero, “Mario Ferrero since 1979”.
L’avventura “In Famiglia” inizia nel 2013 con un piccolo locale nel centro storico più precisamente in via Piol, o meglio, per i veri rivolesi, in via Maestra. Rivoli è stata una scelta dettata dal cuore e dalla famiglia. Una cittadina vicino a Torino e a casa con una storia e un’ubicazione congeniali al nostro modo di pensare e vivere. Ma la mia vera avventura culinaria inizia nel 1979 e associare questa data al brand è un modo per dire che anche se il locale è giovane chi ci lavora all’interno ha una lunga esperienza.
Come avete mosso i primi passi in cucina, a livello professionale? Parafrasando: come descrivereste la vostra “gavetta”?
La mia vita lavorativa nonché la mia vita indipendente inizia, come detto prima, nel ‘78 ma a libretto del lavoro nel giugno ‘79. I primi approcci nel mondo dell’occupazione risalgono quindi a 14 anni, nell’angolino della cucina di un grande ristorante della collina torinese o meglio nell’angolino sporco e bisunto della postazione del lavapiatti. Ed è proprio lì che ho cominciato a costruire la mia esperienza; in un ambito sessista, maschilista e prevaricatore, dove il nonnismo, nel vero senso della parola era palpabile, muovevo i miei primi passi. Dove, per meglio comprendere o in qualche modo immaginare il lavoro che si svolgeva all‘interno di quella cucina. Le materie prime arrivavano direttamente, o almeno in buona parte, dai produttori, compresi gli animali vivi e la macellazione era fatta direttamente in loco. Per la mia giovane età e per il mio carattere sempre un po’ sopra le righe un’impresa titanica ma che mi ha aiutato a non aver mai paura di affrontare i giorni di lì a venire e che a dir la verità proprio di lì in poi sarebbero stati in buona parte anche più pesanti, anche se ricchi di soddisfazioni compresa una bella “stella” nel 1992 per il Ristorante “Bontan” a San Mauro.
Il ristorante si chiama “In Famiglia”: il riferimento/significato è abbastanza palese, ma viaggiando con la fantasia mi viene da chiedervi… Come funziona “la tavola” quando siete davvero “in famiglia”, a casa? Ci sono dinamiche molto simili alla cucina del vostro ristorante o cambia tutto nella vostra “quotidianità/intimità”?
Il nome è la sintesi del nostro staff, ovvero la nostra famiglia per lo meno all’inizio dell’avventura era composto solo da me, la mia compagna e i miei due figli ancora in cerca di una collocazione nel mondo del lavoro anche perchè c’erano ancora le scuole da portare a termine. Ora invece si è leggermente trasformato con l’aggiunta di uno staff più completo, nuovi soci con cui condividere questa filosofia e per meglio rispondere alle maggiori esigenze lavorative che la nuova veste richiede. A casa invece le dinamiche cambiano perchè lo scettro della cucina lo passo volentieri a mia moglie che mi delizia con la sua personale interpretazione di cucina casalinga senza fronzoli ma di sicuro gusto. In più dall’alto della sua professionalità come sommelier, riesce sempre ad abbinare vini fantastici.
«Il nostro lavoro di Cooking Explorer sta piuttosto nel cercare nuove forme di stimolo per il cliente, forme alternative di servizio e di impiattamento»
Il vostro progetto è accompagnato da una dicitura decisamente ambiziosa: “Il progetto culinario più originale d’ Italia”. Ci raccontate meglio cosa – dal vostro punto di vista – vi contraddistingue da molti colleghi?
Premesso che non abbiamo mai avuto e neanche abbiamo la pretesa di essere i più bravi, abbiamo però in essere un progetto in concomitanza con la cucina classica ovvero Custom Food: questo sì, è un progetto assolutamente originale e unico. Un’appendice alla quale abbiamo dato il compito di agire in assoluta libertà e fantasia, con proposte di catering e servizi sui generis con cene spettacolo, servizi al tavolo non conformi ai soliti canoni e una parte multimediale con un canale Youtube dedicato a tutto ciò, nella fattispecie appunto “CustomFood”.
Un’altra definizione ricorrente è quella di “cooking explorer”: secondo voi, quali sono le prossime “frontiere del cibo” da esplorare, nel futuro prossimo?
Anche qui mi ripeto, non inventiamo niente sul cibo anzi il più delle volte, come abili artigiani, trasformiamo la materia prima utilizzando approcci che si conoscono da tempi lontani e che ad oggi vengono riportati alla ribalta con gran clangore e grande finta innovazione ma che di “nuovo” hanno ben poco e nella fattispecie parlo delle cotture a bassa temperatura e in ultimo le lievitazioni e fermentazioni naturali. Il nostro lavoro di Cooking Explorer sta piuttosto nel cercare nuove forme di stimolo per il cliente, forme alternative di servizio e di impiattamento: un fattore questo che con l’avvento del servizio all’italiana ha relegato il cameriere a semplice portapiatti, noi vogliamo restituirgli invece il giusto ruolo arricchendolo di una posizione più incisiva creando una nuova figura che faccia incontrare e spesso fondere questa figura con quella della brigata di cucina, tutti insieme in sala sullo stesso piano con lo scopo di emozionare le persone con piccole pillole di stupore, quando e se ce lo permettono, usando attrezzi inusuali e piatti presentati in maniera che si crei un’interazione giocosa e unica tra il cliente ed il cibo.
A proposito di esplorazioni, mi viene in mente uno scenario on the road, che si ricollega bene al vostro immaginario che oltre ad essere ovviamente culinario si lega a quello dei “motori”. Ci raccontate meglio la vostra “vita da biker” e come quest’ultima va ad intersecare/unire con quella per i fornelli?
Il giorno dopo i 14 anni e il primo stipendio (450 mila lire) arrivò bello bello il mio primo mezzo a due ruote: un bellissimo Gilera CBA. Una necessità all’inizio la mia, per recarmi al lavoro. Abitavo in periferia e il ristorante si trovava sulla collina torinese, praticamente 18 km ad andare e altrettanti a tornare. Il viaggio che intraprendevo era fatto di salite, a scalciare sui pedali perchè la potenza non era sufficiente a superare gli avvallamenti, sudore, fatica. Poi le discese a perdifiato del ritorno o meglio ancora, a rotta di collo, dove gareggiare con i vari utenti della strada erano un contraltare degno delle fatiche prima passate, una vera scossa adrenalinica, uno spasso insomma. Brividi, incoscienza e un filo lieve che ti sorreggeva sull’orlo della vita. Ma ancora non sapevo che questo viaggiare avrebbe per sempre cambiato il mio modo di vivere e così la vita. Basti pensare che oltre a cucinare mi diverto a scrivere su un magazine di motori “Bikers Life” nel quale, con un doppio salto mortale, cerco di far convivere la passione per la moto con la passione per il buon cibo.
Senza fare un normale “elenco”, mi piacerebbe che ci raccontaste lo “spirito” del vostro menù attuale. In breve, cosa possiamo trovare sul piatto e cosa vi piacerebbe che venisse percepito della vostra cucina dal cliente?
Penso sia la domanda più difficile. Difficile perché non amo etichettare niente e meno che meno la nostra cucina. Diciamo che le stagioni sono la nostra linea guida. Il ritmo ci viene dato da loro. Usiamo prodotti di territorio, più a km utile che a km zero. Diciamo che ci piacerebbe che i clienti percepissero la nostra voglia di lavorare per soddisfarli.
Chef, qual è il piatto che – ancora – si diverte in particolar modo a cucinare?
Ahi ahai ahai. Sono quarant’anni che faccio questo lavoro e nonostante abbia preparato dei piatti che anni fa giudicavo benissimo, ora mi devo ricredere e penso che il mio miglior piatto sarà quello che metterò nella prossima carta ogni volta che ne preparo una.
Ho una curiosità: cosa ne pensate di Tripadvisor e affini? Avete avuto belle/brutte/bizzarre esperienza al riguardo? E voi, in veste di clienti, lo utilizzate?
Potrei dire il tutto e il contrario di tutto. Credo che lo strumento di per sé possa essere positivo e utile ma se devo approfondire potrei ragionevolmente affermare: se un locale ha meno di 30 recensioni difficilmente le stesse possono essere prese in considerazione e questo perchè molti amici e familiari aiutano o meglio falsano il punteggio. Se si sale troppo e si va nei piani alti può succedere che invidie e cattiverie scappino a qualcuno e anche qui un minimo di attenzione bisogna farla. Se si guarda nello specifico le varie tipologie presenti si capisce subito che i ristoranti difficilmente, almeno per quello che riguarda la graduatoria, possono competere con bar e paninoteche o anche solo pizzerie e questo soprattutto nei grandi agglomerati urbani. In ogni caso passando a noi ovvero alle nostre recensioni, devo dire che a volte sono stati molto benevoli e in altre troppo “tranciant”. Per scherzo, ai nostri clienti che hanno intenzione di farci una bella recensione e di scriverla, dico – paradossalmente – di mettere una stella: ho notato che le pessime recensioni sono quasi le uniche lette!
Un aspetto che emerge con chiarezza è certamente anche l’idea/voglia di abbracciare diversi “settori” nell’orbita della cucina: come portate avanti questo intento?
Giustamente avere più “settori” a cui ci rivolgersi comporta un surplus di attenzione ma anche di tempo. La struttura qui a Rivoli, avendo molti spazi a disposizione, ci permette di diversificare il lavoro senza incorrere in cadute anche se a dirla tutta i progetti a cui stiamo dedicando tutte le nostre energie si alimentano da soli, da canto nostro noi stiamo solo, passo dopo passo, creando una bella squadra di professionisti.
Ho trovato particolarmente interessante il vostro servizio “Food Cost” che fondamentalmente aiuta i ristoratori ad analizzare/affrontare il mercato per approcciarsi al meglio ai costi di gestione. Dal vostro punto di vista, quali sono gli errori più tipici della ristorazione italiana in questo senso? E quali, invece, le grandi-piccole differenze con delle realtà estere?
Il Food Cost è la linea di demarcazione tra tra un locale che può avere qualche chance di sopravvivenza e uno che prima o poi inevitabilmente soccomberà. In più bisogna tener presente che da trent’anni fa a oggi le cose sono davvero cambiate molto. Per semplificazione allora il food cost si divideva in : 30 materie prime, 30 utenze, 30 personale e il 10% circa di utile. Oggi purtroppo bisogna abbassare il costo delle materie prime almeno a 25-27 % e le voci di utenze e personale aumentarle del 4/5 per cento va da sé che il profitto scende inesorabilmente. All’estero, e mi rincresce dirlo, la situazione è decisamente più favorevole e l’investimento , almeno sul comparto ristorativo, è un po’ più sicuro e remunerativo.
La sezione “Cucina Officina”, invece, si occupa di videomaking legato al settore food&drink: non posso non chiedervi qual è il vostro programma di cucina preferito!
Cucina Officina è una parte di self videomaking ma non è sola è in buona compagnia di “Custom Food”; e stiamo lavorando per portarlo a essere decisamente più visibile. Sui programmi di cucina devo dire che finché lavoravo all’estero mi divertivo a seguirli un po’ tutti, da Hell’s Kitchen a Master Chef Ora e sono ormai 8 anni che non ho più neanche la televisione non potrei essere obiettivo al riguardo la scelta e di conseguenza la preferenza.
Permettetemi una digressione, informale: che mi dite di Rivoli come città? Siete qui da tanti anni. Come vivete la cintura torinese in generale e la città di Rivoli nello specifico. Penso che – trainata dal Castello/Museo, oltre che da un centro storico interessante – abbia grandi potenzialità.
Rivoli è diventata la nostra città e come dicevo prima una cittadina a cui siamo legati profondamente. Ha una potenzialità incredibile che purtroppo per una scarsa viabilità viene pesantemente penalizzata. Diciamo che se finalmente la Metro arriverà alla sua logica conclusione ovvero il fondo di Corso Francia, immagino che tutto il comparto turistico ne beneficerà enormemente. In fin dei conti il Castello/Museo, il centro storico e anche, e con una punta d’orgoglio aggiungo, Il ristorante In Famiglia e Il Circolo della Musica valgono bene una gita fuori porta.
Nella deliziosa corte interna che ospita il vostro ristorante, trova spazio anche una realtà culturale interessante come il Circolo della Musica. Concluderei l’intervista con un “giochino”, chiedendovi qual è la vostra colonna sonora preferita in cucina. Potete rispondermi con artisti, album, canzoni: quello che volete!
Il mio giochino è un piccolo rewind della mia infanzia. La musica dei concerti che a profusione a Torino, al Ruffini per l’esattezza, si svolgevano sistematicamente è nelle mie orecchie e nel mio cuore, mi segue “a tutto volume”in ogni posto di lavoro come a casa. l mercoledì soprattutto era un’apoteosi di gioia, di conoscenze e di vita vissuta. Basta scorrere i giornali dell’epoca e si scopre che Torino era il centro musicale del mondo. Tutti ma proprio tutti i cantautori italiani facevano a gara per venire a suonare da noi e gli stranieri non erano da meno. Ramones, Deep Purple, Black Sabbath, Police, Madness (credo a proposito di aver pogato per la prima volta proprioa quel concerto!) ma anche Rockets, Iron Maiden, Bob Marley, etc etc Non ce n’è uno che non abbia toccato il suolo delle Mole e io come una spugna ho assorbito tutto. Io adoro la musica, sono dipendente dalla musica. Potrei essere nel luogo più lontano del mondo ma la musica mi deve seguire tant’è che poi da quando sono a Rivoli è tutto lo stesso luogo… e io ne sono immensamente felice. Felice di dare da mangiare agli artisti, poter parlare con loro, interagire con loro e condividere con loro un pezzo del nostro e del loro cammino.
–
–
Il Ristorante “In Famiglia” si trova in Via Rosta, 23, 10098 Rivoli (TO), nella “corte” dell’attuale Circolo della Musica.