Siamo finalmente andati a sentire Ron Gallo dal vivo a sPAZIO211: una serata a base di garage-punk, fuzz come Dio comanda e la giusta dose di weirdness che piace a noi di OUTsiders. Ve lo raccontiamo qui sotto.
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_di Alessia Giazzi
“Ma che sfigato era?” mi ha chiesto incredulo un amico, qualche ora dopo il live di Ron Gallo.
“Psicopatico”, “sfigato”, “strambo” sono i termini che ho sentito utilizzare più volte per descrivere il rocker americano (non esattamente lusinghieri), ma personalmente l’aggettivo che preferisco in assoluto è weirdo. Secondo gli amici di Cambridge, “Weirdo is a person who you think is strange and who makes you uncomfortable.” Non so se vi è mai capitato di sentirvi la proverbiale pecora nera: magari non socializzavate molto con i vostri coetanei, eravate fuori dai giri cool, non eravate mai vestiti secondo le ultime tendenze, magari portavate l’apparecchio. Insomma, ad un certo punto della vostra vita qualcuno ha deciso per voi che eravate degli sfigati.
Ho conosciuto Ron Gallo quasi un anno fa, quando mi affidarono un’intervista lampo via mail, tre domande, one-shot. Risultato: una perculata cosmica in sole tre risposte (constatate voi stessi) che mi portò a farmi delle domande sull’effettiva sanità mentale del ragazzo in questione.
Facciamo un passo indietro: da Philly con furore, Ron potrebbe essere quel compagno di scuola che tutti abbiamo avuto in classe, silenzioso e un po’ asociale che passava i pomeriggi a suonare la chitarra in cameretta, preferendo la compagnia della musica a quella dei propri coetanei (come biasimarlo, in fondo). Allampanato, allucinato, una cofana di capelli ricci a corredare il tutto, Ron Gallo cammina su questa Terra insieme a noi rifuggendo ogni tipo di schema legato al mondo musicale, prendendosi amabilmente gioco di tutta la grande macchina dell’industria musicale di cui lui stesso è parte.
2018: il buon Gallo torna con un nuovo album e, come il music business comanda, porta le sue lunghissime gambe sui palchi internazionali per farci ascoltare Stardust Birthday Party live. Inutile raccontarvi la mia felicità quando scoprì che durante la tranche italiana del tour avrebbe fatto tappa a Torino, nientemeno che a sPAZIO211: l’occasione perfetta per vedere il ragazzo all’opera o eventualmente per tirargli un pugno e rendergli il favore per l’intervista.
Salopette di jeans, maglia a righe, la massa voluminosa di capelli contenuta da un cappellino con visiera e Vans color senape ai piedi: Ron Gallo attira subito l’attenzione su sé stesso prima del live, mentre chiacchiera con i fan che lo circondano.
Con lui sul palco stasera ci sono i fedelissimi compagni di viaggio: Joe al basso e Dylan alla batteria a completare il power-trio che fa, rubando le parole ai BSBE, “un casino di Dio”. Quello che si apre sul palco dello sPAZIO, fin dalle prime note di Youtubular, è un delirio di distorsioni e riverberi, una marmellata fuzz che ci spettina i capelli e ci fa esplodere i timpani. Il sound di Gallo e band richiama i pilastri del garage-punk contemporaneo come Ty Segall e OhSees con una strizzata d’occhio nostalgica al grunge denso degli anni Novanta.
Prima della potenza della chitarra, prima della batteria che pesta e del basso che incalza, ciò che colpisce di più è ancora una volta la singolarità di Ron Gallo: schivo e di poche parole, lontano dall’atteggiamento estremo e esagitato dei frontman che militano tra le fila di punk e affini, Gallo è estremamente pacato e concentrato sugli accordi rapidissimi che le sue dita lunghe e sottili eseguono diligentemente volando sul manico della chitarra. I pezzi di Stardust Birthday Party si alternano senza sosta con chicche del primo, amatissimo Heavy Meta e all’ironico Really Nice Guys: non c’è un momento di pausa e la setlist scivola velocissima intervallata da interventi strumentali al limite della psichedelia. A chiudere la scaletta un epilogo agrodolce d’effetto: le luci si abbassano, gli strumenti si quietano e le frasi “It’s just another day / Where all of the punks are domesticated / All of the freaks have gone to bed” risuonano nel parterre non troppo gremito.
Non ho mai avuto il coraggio di tirare un pugno a Ron Gallo, ovviamente: sotto i capelli ricci e lo sguardo perso “Always Elsewhere” c’è il weirdo che è in tutti noi. Ci ho visto tutti i momenti in cui mi sono sentita fuori luogo e in cui ho vestito i panni della pecora nera di turno. Nella volontà di provare a estraniarsi dagli schemi c’è la realizzazione liberatoria che in fondo, niente è così importante: i social, l’immagine, quello che il mondo ci chiede di essere. Non importa se indossi una salopette che ti scopre le caviglie quando i palchi di tutta Europa pendono dalla tua chitarra.
Cari amici di Cambridge, forse a questo punto scambierei la definizione di Weirdo con quella del più spontaneo Urban Dictionary: “Someone who is different from everybody else, but that’s okay because they’re being themselves and they aren’t like the fake bitches you see these days.”. Portare sé stessi sul palco, senza maschere e senza filtri, è uno degli atteggiamenti più punk che possa esistere.
Long live the weirdo.