Un romanzo autobiografico sull’amore, sulla memoria radicata nella storia della famiglia e che celebra con riconoscenza gli antenati e i morti. Vi raccontiamo l’incontro con l’autore al Circolo dei Lettori.
_ di Federica Bassignana
Lo scorso lunedì 18 marzo, la Sala Grande del Circolo dei Lettori si è riempita di persone in attesa dell’incontro con il nuovo caso editoriale spagnolo, Manuel Vilas, autore di Ordesa, romanzo tradotto in Italia con il titolo In tutto c’è stata bellezza e pubblicato dalla casa editrice Guanda.
Come dicevamo, l’intera Sala è stata occupata dal pubblico; moltisismi altri, impazienti di ascoltare le parole dello scrittore (accompagnato, in sala, da Paolo Giordano, che lo ha intervistato, e Vittoria Martinetto, che ha svolto il ruolo di mediatrice linguistica tra Vilas e gli ascoltatori), hanno deciso di seguirlo, in diretta live, in una Sala del Circolo in cui è stato installato uno schermo tramite cui è stato possibile seguire l’intero incontro.
L’intuizione letteraria dello scrittore spagnolo è radicata nell’ossessione verso il passato: l’autore, nel proprio libro, cerca di ritrovare tracce dei ricordi della sua famiglia nel proprio presente e di cogliere le manifestazioni di quel passato da recuperare e far rivivere, per quanto possibile. La sua scrittura scava in questi ricordi, indaga la morte e plasma la storia di un paradiso perduto, passato, che l’autore vuole trattenere e conversare con la forza della memoria e l’immortalità della narrazione. Un passato impresso con l’inchiostro e una memoria che diventa materia letteraria.
“Il mio è un libro scritto a partire dall’amore e dalla riconoscenza”
Vilas inizia a scrivere il libro dopo la morte della madre, partendo da un potente quanto tragico sentimento di nostalgia; grazie al perdono – come unica predisposizione d’animo a scrivere – racconta la storia della sua famiglia, celebrando chi non c’è più e i loro ricordi.
Le domande di Paolo Giordano sono state quanto più varie: da richieste di approfondimento di alcuni temi toccati nel libro, a tentativi di estrapolare, da un autore che già tanto ha inserito di se stesso nel suo libro, ulteriori dettagli, indizi, riferimenti inediti del suo passato: si sa, si vuole sempre sapere di più quando si entra in contatto con la vita di un’altra persona. Sembra quasi che quei suoi numerosissimi racconti siano, in realtà, i nostri. La loro esistenza diventa parte della nostra, e ci aiuta a comprenderci meglio.
E così, tra un discorso e l’altro, Vilas ha raccontato di quando, sulla strada verso la montagna, la gomma della Seat 850 di suo padre si è bucata durante il tragitto. Ha descritto il suo sguardo verso la montagna di fronte a lui: eccolo lì, il suo primo ricordo di quando era bambino. Così, tutti gli spettatori nella Sala Grande del Circolo dei Lettori sono stati – inevitabilmente – trasportati con un sussulto verso la loro prima reminiscenza. Quell’attimo che tutti conserviamo nella mente, quel momento in cui, per la prima volta, un evento si fissa nella memoria e diventa il primo, vero, ricordo che non sfumerà mai nell’usura dell’oblio.
È proprio la riconoscenza verso quei ricordi che pervade il racconto: un passato che si fa presente scavando nell’imminenza sotterranea di chi non è più, se non nella memoria. La materia, i gesti, le azioni, gli oggetti quotidiani, le parole, vengono rievocati per scoprire, e ricordare sempre che in tutto c’è stata bellezza.
“Magari si potesse misurare il dolore umano con numeri chiari e non con incerte parole. Magari ci fosse un modo di sapere quanto abbiamo sofferto, e il dolore avesse materia e misura” – Manuel Vilas