Quest’anno l’Indiegeno Fest, giunto alla sua terza edizione, ha allargato la sua proposta, estendendosi alle località del Golfo di Patti per concludersi nelle due consuete giornate nell’atmosfera inimitabile del Teatro Greco di Tindari.
di Simone Picchi – Nella giornata del 9 agosto c’è spazio per il passato, il presente e il futuro del cantautorato nostrano, nei nomi di Eugenio Finardi, Dente e Motta.
Quest’ultimo fa la sua comparsa sul palco quando il sole è già sparito da un pezzo.
Le luci si spengono e incomincia lo spettacolo. L’apertura è affidata all’incedere ossessivo di Prenditi quello che vuoi, che in un crescendo elettrico sfocia nell’energica Se continuiamo a correre, sulla quale si stagliano i colpi delle percussioni suonate dallo stesso Motta.
La presenza scenica del giovane livornese è strettamente legata al suo rapporto con gli strumenti che lo vedono imbracciare la chitarra e il basso, piegarsi sulle tastiere e battere i tamburi. Il pubblico sugli spalti incomincia a farsi rumoroso a partire dal folk elettrico del pezzo Del tempo che passa la felicità, per sbloccarsi definitivamente con la successiva La fine dei vent’anni. Le dolci parole della semi-acustica Sei bella davvero coinvolgono definitivamente la platea grazie ad un testo che nella sua semplicità raccoglie le sfumature dell’incontro con la diversità e la vergogna della discriminazione.
L’esibizione si conclude con la combo Roma stasera e Abbiamo vinto un’altra guerra che mostrano il lato nervoso della musica di Motta, dove – accompagnato da una band sempre sul pezzo – c’è spazio per l’elettronica, i ritmi tribali, caratterizzazioni funky e una durezza sonora che dal blues arriva al limite del metal.
Gli ultimi minuti rappresentano alla perfezione la cifra stilistica del cantautore: un’apparente rassegnazione in sede di scrittura lungo la quale la fiamma della speranza sembra spezzarsi con una musica che si fa sempre più dura.
Accompagnato dalla sua chitarra acustica Dente sale sul palco accolto con entusiasmo da una grossa fetta di pubblico. Ciò che segue è uno spettacolo nello spettacolo grazie alla verve ironica del cantautore che dà ritmo alla sua esibizione acustica. Riuscire ad esprimere le sensazioni sorte lungo tutto il concerto è un’impresa ardua a causa dei continui fuori programma.
Le note di Beato me e Canzone di non amore ci aprono le porte al magico mondo di Dente, fatto di testi pregni di giochi di parole sussurrati teneramente. Il tempo scorre piacevolmente fra le melodie degli ultimi lavori nei singoli Invece tu e Saldati, prima di immergersi lungo le parole dei primi dischi. Il Teatro greco di Tindari si stringe in un unico abbraccio scaturito dal trittico Coniugati passeggiare, Finalmente e Buon appetito, pezzi annunciati dal cantautore emiliano rispettivamente come il suo migliore pezzo, nonostante abbia detto lo stesso di ogni altra canzone presente in scaletta.
La figura di Dente occupa tutto il palco nonostante la solitudine di una chitarra acustica, grazie ad un carisma e una personalità che ben si sposano con l’atmosfera intima del Teatro, rendendo unici anche i pezzi registrati in sede elettrica. Dopo una finta minaccia di abbandonare il palco Dente conclude la sua apparizione con le ballate d’amore A me piace lei e Vieni a vivere, in un karaoke sussurrato di un fluire malinconico, spezzato solamente dallo scroscio di applausi che accompagna l’uscita di scena di uno dei migliori esponenti del nuovo cantautorato.
Un cielo limpido e stellato accoglie l’atto finale della prima giornata dell’Indiegeno Fest che vede protagonista un pezzo della storia della musica italiana nonché uno degli ultimi baluardi di un’arte che si fa sociale. La limpidezza delle tastiere de La ragazza di Osaka apre l’esibizione di Eugenio Finardi, la cui figura basta a riscaldare anche quegli strati di platea rimasti sino a quel momento indifferenti. C’è subito spazio per un pezzo del nuovo repertorio, quel Come Savonarola che in sede live si fa più carico e anthemico, seguito dalle danze fusion di Diesel e dall’emozionante Un uomo.
La band accompagna Finardi con la consueta energia, rimanendo fedele agli arrangiamenti originali e restituendo una forza musicale che ben si adatta ai tempi. Le lacrime tinte di sociale di Cadere sognare chiudono la prima parte dello show che lascia spazio da questo momento in poi alla riproposizione integrale di “Sugo”, album epocale che quest’anno festeggia i suoi quarant’anni. I ricordi di una stagione della musica italiana che non c’è più accompagnano l’intera scaletta del disco, scorrendo con la sognante La paura del domani, per percorrere la progressiva Voglio e scatenarsi nel blues di stampo Stones di Soldi. Il revival non manca il suo appuntamento con l’inno alle libere idee de La radio e Musica ribelle che fanno breccia in un pubblico che ha ormai lasciato i propri posti a sedere.
Uno spettacolo che ha percorso più di quarant’anni di storia non poteva che terminare con Extraterrestre, pezzo simbolo del cantautore milanese, in un crescendo sonoro che si perde in un limbo di vibrazioni elettriche e melodia.
Gli applausi del Teatro che si protraggono per diversi minuti rendono il giusto tributo ad un pezzo di storia italiana, simbolo di lotta sociale coerente e di una cultura musicale che va piano piano perdendosi.
L’atmosfera del Teatro ha avvolto con la sua magia artisti e pubblico regalando per la prima serata di Indiegeno 2016 esibizioni che, ognuna a proprio modo e per proprie ragioni, lascia un fotogramma sentito nella mente di tutti i presenti.
Galleria fotografica a cura di Maria Giulia Mancuso Prizzitano.