In pochi mesi gli Sleaford Mods hanno mandato a stendere tutti i loro compatrioti, da David Cameron a Noel Gallagher e Kasabian, accusando senza giri di parole la società di oggi e il mondo del music business. Al loro arrivo in Italia, abbiamo spolverato gli anfibi comprati a Londra nel ’77 e siamo andati di corsa al Biko di Milano.
di Davide Agazzi – Il giorno dopo le elezioni in Gran Bretagna, il profilo twitter degli Sleaford Mods è un manuale di galateo 2.0. Non l’hanno presa bene e c’era da aspettarselo: secondo il duo inglese, il premier uscente Cameron è solo un politico pieno di tanta ipocrisia, Nigel Farage è poco più di un comico, mentre Ed Miliband, dei laburisti, è come…”un personaggio uscito da Wallace e Gromit, la gente non può prenderlo seriamente”. Purtroppo (o per fortuna) il loro concerto al Biko di Milano (con l’apertura affidata ai Belize) è in programma proprio pochi giorni prima delle elezioni: sarebbe stato senz’altro interessante conoscere il loro punto di vista a caldo, anche se possiamo immaginarcelo. Ma agli Sleaford Mods, il gruppo inglese che torna a far parlare di working class nel 2015, non serve nessun pretesto per incendiare il palco. Il loro mix di insulti, protesta sociale, hip-hop e post-punk vanta un’adrenalinica autocombustione.
Fiumi di sudore, fiumi di birra, sputi, rutti e tic nervosi. Il tutto condito dalla cornice più scarna che ci si possa aspettare. Da un lato Andrew Fearn, spilungone allampanato dal volto simpatico e un po’ svampito, preme solamente il tasto “play” del suo computer, sorseggiando Moretti e seguendo con gli occhi lucidi le movenze del suo compagno. Jason Williamson, voce rabbiosa del duo, è un concentrato di nitroglicerina e sostanze di vario genere, che lo rendono un mitragliatore di slang britannico. Vorrebbe prendere a schiaffi il microfono, ma si limita ad urlarci dentro le canzoni dei suoi dischi, dall’acclamato “Divide and Exit” fino all’ultimo singolo “No Ones Bothered”, primo estratto del prossimo album in uscita a giugno. Il risultato è superlativo o meglio, esattamente come ci si poteva aspettare, senza la minima sbavatura: la formula funziona alla grande in presa live e – nonostante 99 persone su 100 non capiscano una parola degli Sleaford, ad eccezione di “fuckin’-fuckin’-fuckin’” – il concentrato pubblico del Biko si esalta rispondendo con applausi a scena aperta e qualche accenno di nostalgico pogo. Il basso pulsante dei Prinzhorn Dance School, la cattiveria dei Prodigy: un’ora scarsa di concerto, ma diritta al fegato, che conferma il duo di Nottingham come una delle più sincere realtà musicali che la Terra d’Albione abbia prodotto negli ultimi anni. Fanculo a Noel Gallagher.