Ha tremmat Torino

Il passaggio de La Niña alle Cascine Falchera ha fatto tremare Torino a colpi di tammorra e nacchere. Il racconto del concerto per Heroes Festival, aperto dalla loop station in salsa português di Ana Lua Caiano. Di Edoardo D’Amato.

Il 6 aprile scorso, all’età di 91 anni, si è spento Roberto De Simone. Il Maestro per eccellenza, un gigante della cultura del ‘900 che mezzo secolo fa – con la sua Nuova Compagnia di Canto Popolare – realizzava una pietra miliare della musica e del teatro italiano: “La Gatta Cenerentola“. Si tratta però solo dell’opera più conosciuta di questo straordinario artista: la sua ricerca etnomusicologica si è spinta ben oltre. De Simone ha documentato e reinterpretato per anni la musica originariamente presente nelle campagne campane, quella della Campania Felix, che solo in un secondo momento si è “urbanizzata” quando è arrivata a Napoli. Di tutta quella tradizione ha lasciato i segni nelle sue opere, che hanno influenzato generazioni su generazioni. Poco prima che il Maestro salutasse questo mondo, proprio in quei giorni, La Niña pubblicava “Furesta”. Ci piace pensare che De Simone le abbia regalato ancora un po’ della sua anima. Perché nel disco si sente. E il popolo, che tanto lo ha amato, sta iniziando ad apprezzare anche Carolina Moccia: il sold out alla Cascina Falchera di Torino dello scorso 17 maggio, prima data ufficiale di questo nuovo progetto (se escludiamo il Primo Maggio a Taranto), lo dimostra.

Prima però un passo indietro. La terza e ultima serata di Heroes Festival ha avuto anche un’altra protagonista: Ana Lua Caiano. Sola sul palco con la sua loop station, una melodica che si inserisce qua e là, una grancassa e qualche tamburello, l’artista portoghese ha suonato magnificamente il suo “Vou Ficar Neste Quadrado“, un lavoro complesso di soli 27 minuti, dove il teatro lusitano viene mischiato con la musica elettronica, con il trip hop. La tradizione che incontra la modernità: un’operazione che se fatta bene, ad ogni latitudine, non può che essere un successo. Applausi meritati.

La Niña, come detto, non ha un’esperienza di anni di palchi in giro per l’Italia. Accompagnata dalla sua squadra di “Avengers di bellezza” (cit.), ovvero Alfredo Maddaluno, Francesca Del Duca, Lydia Palumbo e Denise Di Maria, fuga ogni possibile dubbio appena attacca a suonare. Qualche (legittimo) interrogativo c’era: in questi mesi si era accumulato tantissimo hype intorno a lei. E non sempre questo giochino funziona alla prova live. Tutto spazzato via alla prima nota: La Niña è una bomba. Lo è sia quando si cimenta con i pezzi più eterei (“Respira”, dal suo disco precedente, o “Ahi” dall’ultimo) che con quelli più “terreni” (l’esecuzione di “Tremm” dal vivo arriva dritta nelle viscere).

Poi ci sono canzoni che l’hanno già inquadrata come una hitmaker: “Guapparìa” è una traccia potentissima, un canto popolare in autotune dove la sua voce diventa un coltello che squarcia il velo di Maya dell’ipocrisia dei giorni nostri. Soprattutto quella di Napoli, ma il significato della canzone può benissimo essere esteso. Un manifesto del suo disco, un già instant classic della musica italiana. La cosa che impressiona vedendola sul palco è quanto sia consapevole e credibile: non è mai banale, nè nelle grida di denuncia di “Figlia d’a tempesta” e “Fortuna” nè nelle dolcissime “Pica Pica” e “Chiena ‘e scippe”.

C’è anche un momento dedicato alla “Posteggia“, un’espressione autentica della cultura popolare napoletana, dalle origini antichissime. Consiste in un’esibizione itinerante da parte di uno o più musicisti, che si fermano (da qui il termine) in piazze, strade e cortili per eseguire un repertorio di canzoni popolari e ballate . Nel corso dei secoli la pratica è stata declinata in diversi modi: uno di questi è la “posteggia” ai matrimoni, in cui lo sposo fa la serenata alla sua sposa. Stavolta è lei, insieme al mandolino di Alfredo Maddaluno, a regalarci una splendida versione di “Era de maggio“.

C’è tempo ancora per un encore. “Manolonga”, bonus track della versione vinile di “Furesta”, racconta la leggenda popolare della mano longa, in questo caso di una strega caduta in fondo ad un pozzo che con il suo braccio lunghissimo cattura i malcapitati. Per sentirsi meno sola e combattere la solitudine, trascina a fondo con sè gli altri. E poi, a chiudere il concerto “Tu”, il brano con Franco Ricciardi che l’ha fatta scoprire anche al grande pubblico.

Alla fine sta tutto in questo: dischi e concerti suonati magistralmente, ricchi di tematiche complesse, non certo “facili” ma in grado di emozionare il popolo. Proprio come faceva il Maestro di cui sopra. Believe the hype: Carolina Moccia e i suoi “Avengers” dalla Campania Felix sono bravi sul serio.