Intervista a Gambo: 4 artisti che vi sorprenderanno a Jazz is Dead 2025

L’ottava edizione di Jazz is Dead è alle porte ma potrebbe essere l’ultima? Non proprio. L’ultima “come la conosciamo” viene specificato nel comunica stampa. Ma che vuol dire? Il festival è uno dei fiori all’occhiello della città per qualità e attitudine, anche quest’anno forte di un cartellone di sostanza e spessore. Abbiamo fatto una chiacchierata col direttore artistico Alessandro Gambo per capire meglio in che direzione sta andando il corvo simbolo del festival e per farci consigliare qualche chicca da non perdere all’interno della line up 2025. Articolo a cura di Lorenzo Giannetti. 

Il corvo non se ne va, anzi punta all’infinito. Ad un modello di festival sostenibile, virtuoso, umano.

Alessandro Gambo ci racconta di come il festival punti a mantenere la sua indipendenza, le sue prerogative iniziali ed il suo spirito. Poi ci addentriamo anche nell’analisi di una line up come sempre ricca ed eclettica, andando a raccontare soprattutto quelle che sono le “scommesse” di quest’anno, gli outsiders degli outsiders,  quei nomi poco noti (e magari poco notati in cartellone) che rischiano di essere le sorprese di quest’anno e non sai ancora di non volerti assolutamente perdere.

«Jazz is Dead nasce come festa di compleanno di ARCI: abbiamo sempre lavorato con questo spirito, volendo trascinare le persone ad una festa per scoprire un universo musicale e non a sentire questo o quell’altro singolo concerto» Alessandro Gambo

Lorenzo Giannetti Outsiders: L’anno scorso abbiamo avuto la sensazione che il festival fosse cresciuto a vista d’occhio, quest’anno hai dichiarato che sarà l’ultima edizione di JID, aggiungendo poi un “così come la conosciamo” un po’ misterioso. Cosa è cambiato e soprattutto cosa sta succedendo? Raccontaci meglio. 

Alessandro Gambo: Diciamo che l’edizione di quest’anno sarà uno spartiacque. L’anno scorso ci siamo resi conto che in questi 8 anni il festival ha intrapreso un percorso di crescita continua che lo ha portano fino ad un punto che potrebbe essere il punto di non ritorno. I numeri dell’ultima edizione sono stati importanti da ogni punto di vista, sia per la produzione sia per la risposta di pubblico. Tutto ciò ha innescato una riflessione in noi: i risultati dell’anno scorso sono stati in qualche modo “drogati” dalla presenza di un paio di nomi “grossi” e con molto appeal/hype… Penso a pesi massimi come Basinski e Godflesh ma anche e soprattutto a local heroes italiani come I Hate My Village (spinti anche dall’onda lunga del ritorno dei Verdena, senza ovviamente nulla togliere alla bontà di un progetto clamoroso) e Daniela Pes (che portava con sé uno dei dischi dell’anno: avercene!). A livello di cachet, questi artisti da soli valgono come l’intero cartellone di quest’anno. Ma non ti dico questo solo per una questione di soldi. Te lo dico perché abbiamo ripensato alle premesse con cui è nato il festival e alla direzione che abbiamo sempre avuto in mente: JID nasce come “festa di compleanno” di e con ARCI. Abbiamo sempre voluto costruire un festival con questo spirito: volevamo che la gente venisse ad una festa e non che andasse a sentire il concerto singolo di Tizio e Caio.
Tornando alla domanda iniziale: quest’anno vogliamo capire se JID può stare in piedi anche senza “grandi star”. Così come lo abbiamo sempre pensato. Spero che si capisca il senso più ampio del mio discorso: da un lato non intendo togliere valore agli ospiti che ho avuto l’onore di ospitare (ci mancherebbe), dall’altro non intendo dire che quest’anno non ci sono “big” (ci sono eccome). Dico piuttosto che è nel nostro DNA non puntare sulle singole stelle ma sull’esplorazione di universi musicali.

Lo spirito continua, per fortuna. Il discorso fila ed è sempre più raro oggi sentire discorsi che fondamentalmente vadano un po’ controcorrente rispetto alla crescita infinita ed esponenziale a tutti i costi, o meglio, al costo di sacrificare l’idea stessa alla base di un progetto. 

Ogni tanto è importante capire quando rallentare o addirittura fermarsi. Sarà che quest’anno ho iniziato a fare meditazione! In generale, onestamente, ho rischiato di entrare sempre più in quel “gioco” commerciale fatto di cachet al rialzo, nomi bloccati per accordi di esclusiva con altri festival, pianificazioni a lunghissimo termine per accaparrarci nomi e quant’altro. Non dico che non si possa lavorare in questo modo eh ma semplicemente non è una strada che noi possiamo permetterci di percorrere e, ti dirò, nemmeno lo vogliamo!

Amen. Che poi, al di là di quello che sarà il futuro del festival, il cartellone di quest’anno è a dir poco clamoroso. Non è affatto una resa incondizionata insomma, tutt’altro! Entriamo un attimo nel merito. 

Esattamente quello che (sotto)intendevo prima! Il festival quest’anno è ancora più grosso nel suo complesso! C’è un giorno in più, perché abbiamo aggiunto anche il 2 giugno agganciandoci al ponte festivo. Sono state di più le preview e saranno di più gli epiloghi. Sono aumentate le collaborazioni con partner-amici di spessore e prestigio. E comunque in line up ci sono dei pesi massimi (seppur) in ambito underground. Alla fine quest’anno abbiamo rafforzato quello che già c’era.

E vengono fuori le varie anime di un festival che dietro al concetto provocatorio di “morte del jazz” ha veicolato una jam session di generi, stili e target nell’arco delle varie giornate. Tra l’altro devi sapere che almeno una volta al mese, c’è qualcuno che vedendomi con la maglietta del festival ci tiene a precisarmi anche un po’ indispettito che “Il jazz non è mica morto eh!” LOL. 

Sempre lunga vita al jazz. Tra l’altro sai che rispetto agli altri anni forse questa è una edizione più jazz? Pur sempre declinato alla nostra maniera! Lo schema fondamentalmente è quello dell’anno scorso con la suddivisione in 3 giornate + 1, ovvero il lunedì firmato in collaborazione con Jazz:Re:Found (segnatevi l’appuntamento in Monferrato per fine estate mi raccomando). Ma andiamo con ordine.
Il venerdì si lancia subito un messaggio forte e chiaro con avanguardia e sperimentazione, il sabato la vibe è un po’ più “pop” se mi passi il termine mentre la domenica forse viene fuori la matrice più jazz con suoni profondi, intensi, scuri. Il lunedì del 2 giugno largo ai bassi per la giornata più “black”, come detto insieme a JRF. Attenzione audiofili perché porteremo un sound system speciale e sotto cassa sarà una goduria: già il nome è tutto un programma… Bassi Gradassi. Loro stanno girando tutta l’Europa con questa montagna di casse.

Restando sull’elettronica… ci sono delle bombe da Detroit quest’anno. 

Sì, ci sono i Dopplereffekt con Gerald Donald (fondatore dei mitici Drexciya per intenderci) e i Los Hermanos della scuderia degli Underground Resistance. Ma c’è anche un gigante Egyptian Lover ha portare la bandiera di Los Angeles o un nome più fresco come Loraine James dalla periferia londinese col timbro della Hyperdub. Anche quest’anno si balla.

Passo indietro: come sono andate le varie preview del festival vero e proprio? Due parole sulla collab a mio parere e gusto riuscitissima con Inner Spaces a Milano ma anche all’asse piemontese con JRF e TJF. 

Che dire? Le preview sono andate benissimo. Consueto sold out per Inner Spaces a Milano in questo spazio assurdo che è l’auditorium di San Fedele. Una location con una resa audio pazzesca che consiglio a tutti di provare almeno una volta! Il concerto dei Seefeel è stato molto minimal per come l’ho percepito io, posso dirti che i fan erano decisamente soddisfatti.
Le preview col Torino Jazz Festival erano due quest’anno quindi abbiamo raddoppiato rispetto all’anno scorso (ancora adesso ci brillano gli occhi per John Zorn, comunque!). Per i Calibro 35 conta che abbiamo staccato più di 1200 biglietti. Jan Bang Sextet è stata una nostra produzione ad hoc per l’occasione: all’Hiroshima non era sold out ma quasi, al netto di una proposta decisamente ostica e proprio per questo anche un po’ divisiva e disorientante se vuoi. Il rapporto col direttore del Torino Jazz Festival Stefano Zenni è ottimo e direi che siamo entrambi molto soddisfatti: lui crede in noi e per noi è altresì importante essere supportati da una realtà istituzionale così prestigiosa.

Durante il festival vero e proprio la collab con TJF continua con Alabaster de Plume…

Yes, accompagnato da Momoko Gill e Ruth Gollier. Lui è nome gigantesco della International Anthem, una delle etichette che sto ascoltando di più in questo periodo. Propone questa specie di combat-jazz eclettico e direi davvero imprevedibile.

A JID saltano le gerarchie: mi piacerebbe concentrarci anche in questa intervista su alcuni nomi meno “ingombranti” in cartellone ma molto interessanti. Consigliaci insomma 4 nomi da non perderci tra i nomi meno noti che ha selezionato quest’anno. Gli outsiders degli outsiders insomma!

Ti segnalo 4 artisti che sono delle vere e proprie scommesse!
In primis le Tarta Relena, un duo catalano al femminile che rielabora in chiave contemporanea canti sacri e pastorali del Mediterraneo. Hanno queste due voci pazzesche e utilizzano un vaso (!) per fare le basse: guarda i video pazzeschi che testimoniano la loro proposta unica! Onestamente credo che il loro live sarà qualcosa di dirompente. Hanno già bazzicato palchi importantissimi come Sonar e Primavera e sono diventate un mio pallino dalla prima volta che le ho viste.

Poi ti direi gli Shrapknel, altro duo stavolta al maschile: di New York ma pinzati grazie alla crew con base a Philadelphia dove orbita Billy Woods, un personaggio chiave per l’hip hop più sperimentale e oscuro (tra l’altro l’anno scorso è venuto a Torino per Club to Club). Gli Sharpknel si inseriscono in quel filone di suoni black truci e noi abbiamo intenzione di metterli a suonare in mezzo al pubblico, giù dal palco. Una cosa molto street da non perdere insomma.

Che dire di Hjirok? Altro progetto il cui nome magari non salta subito all’occhio ma è una chicca. Praticamente c’è Andi Toma che stende il tappeto elettronico per la cantante iraniana Hani Mojtahedi. Sì, lui è il tipo dei Mouse On Mars, due tedesco che non ha bisogno di presentazioni. Lei ti dirà meno ma nel suo paese è davvero famosissima: oltre che una cantante è pure attrice nonché attivista. Insieme penso ci daranno delle visioni interessantissime da un futuro remoto in Medioriente.

In ultimo Ghost Dubs, che penso abbia tirato fuori uno dei dischi top del 2024, “Damages” uscito su Pressure, ovvero la label di The Bug, altro pilastro del festival. Come suggerisce il nome la matrice è dub ma in pieno stile JID: oscura, contaminata, storta. Non possiamo fare reggae troppo allegro, eddai!

Ci mancherebbe, troppo colore per JID! Grazie Alessandro, ci si vede sotto palco.