Assaltiamo il reale con l’irrazionale! Intervista a Oblivion Fair

Il weekend del 22 e 23 febbraio nella Città dell’Altra Economia di Roma si è tenuta la prima edizione della fiera del libro, del fumetto e dell’irrazionale. Un’azione collettiva (coordinata da D Editore, Claudio Kulesco, Paolo Di Orazio e Edoardo M. Rizzoli) delle case editrici indipendenti di genere per crearsi il loro spazio in un mercato editoriale che fatica a emanciparsi dal romanzo borghese e tende inesorabilmente verso il monopolio. Ne parliamo con Emmanuele J. Pilia, direttore editoriale di Oblivion e della casa editrice anarcolibertaria D Editore. Articolo a cura di Carolina Dema.

[NdR]Se c’è una città in cui una fiera dell’irrazionale può emergere da quella palude effusiva che è la creatività, quella è Roma. Città così pomposamente esoterica da far sì che la seguente intervista, svoltasi durante la seconda giornata di Oblivion, venisse poi messa per iscritto dalla sottoscritta a un tavolino della libreria-bar Tomo, origliando fatalmente Loredana Lipperini e Rolando Mari affliggersi di come il genere in Italia sia ancora considerato letteratura minore, nel corso di una presentazione che la sottoscritta spergiura non sapeva che proprio quella sera si sarebbe tenuta.

Intanto ti volevo chiedere come, cosa, quando e perché è nata questa fiera; di raccontare un po’ la lore di partenza e quali sono gli obiettivi.

Emmanuele: Oblivion è chiaramente un progetto culturale ma anche un progetto politico. È nata non da un’insoddisfazione ma da un’idea, da una presa di considerazione, ossia che la letteratura generalista, le grandi fiere generaliste, l’editoria generalista sta morendo. Non è qualcosa che noi prevediamo che morirà, sta morendo. E i numeri parlano chiaro. Book Pride che è fallita, che adesso è stata assorbita dal Salone del Libro di Torino, Più libri Più liberi, che è stata una disastro totale. Questo ha portato a un ragionamento profondo da parte di un collettivo di persone che si è regolata attorno a questa idea. Ed è l’idea di creare un progetto che possa essere indirizzato esclusivamente a quegli attori culturali che sono interessati a un certo tipo di editoria, in questo caso all’editoria di genere, ma potrebbe andare bene per qualsiasi tipo di settore. Abbiamo visto quanto le fiere si siano riadattate, indirizzate, e debbano servire troppi interessi. Interessi che spesso non coincidono con quelli delle persone che le fiere le fanno o le fruiscono: basta pensare ai costi che hanno le grandi fiere per le feste di apertura o per le lounge che non sono fruite né da chi le fa né da chi fa libri.

locandina oblivion

Ecco, sulla questione dei costi di fiera, intanto è bellissimo che Oblivion sia fruibile gratuitamente; anche solo perché così le persone, non dovendo pagare un biglietto di 15-20 euro, hanno più possibilità di spendere i loro soldi per comprare i libri delle case editrici indipendenti, supportarle davvero. Poi un’altra problematica delle grandi fiere del libro sono i costi che le case editrici devono accollarsi per esporre. Voi come vi siete rapportati alla questione? Siete riusciti a tenerli più bassi?

Emmanuele: Abbiamo fatto un business plan e poi abbiamo aggiunto per sicurezza un 10% e da qui abbiamo diviso il numero di dispositivi che sarebbero stato presenti. Non ci sono costi, non ci sono sprechi. Ogni mese abbiamo compilato un rendiconto che abbiamo inviato anche agli editori, così che si rendessero conto di cosa stavano spendendo. Per quanto riguarda i costi di esposizione, abbiamo eliminato tutti i costi superflui. Non ho problemi a dire quant’è il costo per un editore a partecipare: 300 euro.

Ah beh, molto più basso direi rispetto al Salone.

Emmanuele: Quasi il 10%.

Si è parlato molto, in fiera come nel mondo editoriale, di ibridazione di genere e, facendo un passo ancora successivo, di superamento dei generi letterari. Infatti, interessante che Oblivion sia stata chiamata fiera dell’irrazionale, dove irrazionale diventa macro contenitore di tutto ciò che supera il realismo puro.

Emmanuele: Il fatto è che l’idea di genere è un po’ superata. Appartiene a categorie novecentesche, chiaramente non è che, diciamo, la hardboiled sci-fi ci puro ci disgusta. Assolutamente no, io stesso consumo ettolitri di quella roba lì. Però è pure vero che si sono sperimentate implementazioni sempre più bastarde. A noi interessa il meticciato con la categoria politica che purtroppo si è abbandonata a causa dell’identity politics. Noi siamo anarchici, non sono contro l’identity politics, però l’idea di meticciato, ossia di rimescolamento, di società mescolata, di brownism, si è andato un po’ perso negli ultimi vent’anni. Noi invece vogliamo recuperarla all’interno della narrazione di genere.

Quindi, un fantasy queer con le astronavi, che cos’è? Un horror saffico con gli elfi, che cos’è? Sono queste le cose che ci interessava esplorare. E, insieme alle case editrici, che comunque hanno romai tutte una certa esperienza, da D Editore a Mercurio – che sono le ultime arrivate nella pubblicazione di genere – da Zona 42 a Delos – che invece sono dei decani sempre all’interno del genere – abbiamo visto come invece questo tipo di sperimentazioni sono vive, vitali. E come in realtà gli autori stessi non si considerano autori di genere, così come i lettori.

La società industriale e il suo futuro Ted Kaczynski, D Editore
La società industriale e il suo futuro Ted Kaczynski, D Editore

Infatti, su questa questione appunto di come il genere, anzi il superamento del genere – l’irrazionale – possa essere politico, Se nell’Ottocento il realismo è nato proprio come denuncia politica, ora invece forse è andare contro il realismo che può fare politica. E a questo proposito volevo chiederti: è necessario quindi fare l’irrazionale, ovvero andare oltre la realtà per parlare di politica, per fare denuncia? E c’è qualcos’altro ancora che si può tentare? Degli strumenti letterari più avanguardistici che possano lavorare sulla denuncia politica? Del resto, la distopia intrinsecamente politica già Dick, per dire, la scriveva nella metà del Novecento. C’è qualche altra ibridazione letteraria verso cui si può tendere?

Emmanuele: Assolutamente! Consideriamo il fatto che siamo in un mondo in cui i leader politici non si vergognano a mentire, quando in tempo reale possiamo svelare le loro menzogne; in cui ormai è il potere a produrre teorie del complotto che ci spaccia come vere. Allora, se questa è la realtà, noi non ci rifugiamo nell’irrazionale, noi assaltiamo il reale con l’irrazionale. Noi siamo quelli che glorificano Hamas e Hezbollah come nuovi partigiani, contro quelli che un tempo consideravano i partigiani come terroristi. Noi siamo quelli che pensano che un Ted Kaczynski sia un santo, un profeta, un eroe, e che Luigi Magione sia il suo più fedele discepolo, contro quelli che pensano che Elon Musk verrà a salvarci. Noi siamo quelli che considerano l’estinzione un fatto quasi avvenuto, contro quelli che la vogliono negare. Tutti i panel che abbiamo organizzato come collettivo Oblivion sono panel che non vogliono sbattere in faccia ai lettori e alle lettrici termini come cambiamento climatico o femminismo o teoria queer, ma comunque ne abbiamo parlato. Perché? Perché siamo in un mondo in cui purtroppo il discorso è talmente inquinato che una persona che è assolutamente anti-omofobia viene spaventata dal termine teoria queer, una persona che è assolutamente ecologista viene spaventata dal termine climate change, perché appunto il dibattito è inquinato.

Allora noi che cosa facciamo? Noi ribaltiamo la questione, lo portiamo all’interno di un dibattito letterario per poi farlo emergere al reale. Abbiamo parlato di Solarpunk in questi due giorni, che è una corrente letteraria iperecologista, abbiamo parlato di donne nella letteratura di genere, che è un mondo per far emergere delle paure che negli autori uomini sono assolutamente non comuni. Io non sono spaventato né del parto né dello stupro, ma negli horror scritti da donne questi temi emergono. Perché? Allora iniziamo a interrogarci ricostruendo il nostro punto di vista e facendolo frammentare, facendolo esplodere, facendolo implodere. Se questa è la realtà in cui viviamo, in cui i politici dichiarano che vogliono annettere altre nazioni così, come d’emblée, come se fossimo l’Ottocento, allora noi prendiamo l’irrazionale e glielo scriviamo tutto in faccia.

Il libro di Metatron a cura di Claudio Kulesco; 2025 D Editore
Il libro di Metatron a cura di Claudio Kulesco; 2025 D Editore

Un testo uscito per D Editore proprio in concomitanza con la fiera è Il libro di Metatron – curato da Claudio Kulesco –, antologia di racconti di autrici e autori che, a questo punto, non definiamo più di genere ma di irrazionale, di anomalia. Si potrebbe, secondo te, considerare il Metatron una sorta di contrappunto al rinascimento psichedelico? C’è questa frase che ho letto nella prefazione di Kulesco, “il farsi e disfarsi della carne del mondo”, che mi ha fatto pensare in realtà a un superamento del senso di circolarità, più a un’immersione: andare oltre, e vedere cosa ci sta sotto, oltre le porte della percezione, diciamo per farla semplice.

Nel rinascimento psichedelico alcuni sono addirittura arrivati a confutare l’esistenza del bad trip, perché ogni esperienza ha comunque qualcosa di catartico; mentre invece (per quello che ho sfogliato fin’ora, vedremo se invece mi contraddirò quando l’avrò letto tutto) mi sembra che il Metatron sia un bad trip infinito e costante, molto cyberpunk, qualcosa tipo Non ho bocca, e devo urlare – il racconto di Ellison. Quindi mi chiedevo se potesse essere una sorta di risposta al rinascimento psichedelico, che è qualcosa di molto bello, ma che ci trasciniamo già da un po’, ed è – a mio avviso – anche forse troppo speranzoso?

Emmanuele: Guarda, secondo me sono complementari: io non sono contro l’escapismo, anzi io l’abbraccio con tutto me stesso, intanto perché l’escapismo spesso ci aiuta a prendere dei problemi in diagonale in modo tale da trovare soluzioni che altrimenti non riusciremmo a trovare. Ad esempio, io sono molto affascinato dalla disciplina di problem solving perché ti dà tutta una serie di strategie per pensare laterale:. se tu non riesci a battere un muro prendendolo a testate allora ok, forse basta togliere questo mattone, invece. Quello che fanno Vanni Santoni, Federico Di Vita eccetera è degno di stima. Metatron invece è una raccolta di racconti di speculative fiction con un forte tema che è quello dell’anarco fantasy, dell’anarco fantastico. Che non vuol dire che l’anarchia sia relegata al ruolo di utopia. Primo di tutto perché io non ci vedo niente di ignobile nell’utopia perché l’utopia, come diceva Malatesta, è un orizzonte e tu l’orizzonte non lo raggiungi mai, però cammini verso quella direzione.

Un’altra questione è che spesso sono le storie anarchiche che ci hanno fatto innamorare, da piccole e da piccoli, di quello che per noi è la giustizia sociale. La ragazza che si vede Sailor Moon negli anni Novanta e che cresce con un senso innato per la giustizia, il ragazzo che da piccolo si guarda Dragon Ball Z – o viceversa -, che cresce con i valori dell’amicizia e del sacrificio eccetera, sono potenzialmente delle giovani e dei giovani militanti che potrebbero crescere e affrontare una vita di militanza.

Ma che cosa sono Sailor Moon o Dragon Ball se non un fantasy, e un cyberpunk mascherato da fantasy? A me da piccolo piaceva molto Faxanadu, che era la storia di un giovane elfo il cui regno era stato depredato di tutte le sue ricchezze da un unico re. Ma che cos’è questo se non il capitalismo sotto mentite spoglie? Da piccolo ero molto povero, quindi io ho subito empatizzato. Allora, non soltanto i giovani, ma anche noi più grandicelli, o vecchi decrepiti come me, hanno bisogno di queste storie per ricordarsi per cosa stiamo combattendo.

libro Chi è chi, Stefano Tevini, We Are Muesli; D Editore 2025
Chi è chi, Stefano Tevini, We Are Muesli; D Editore 2025

Ultima domanda, rispetto a Chi è chi, il librogame che è anche un GDR da tavolo, di cui più tardi si parlerà nel panel sui GDR, appunto. Ed è una domanda volutamente provocatoria. Prendiamo Monopoly, proprio il gioco da tavolo più mainstream del mondo. Nei primi del Novecento era nato per denunciare le implicazioni negative dell’accumulo del capitale, no? E poi è diventato tutto il contrario. È stato depotenziato da qualsiasi tipo di sovversività. Addirittura a Elizabeth Magie, la creatrice originale, sono stati rubati i diritti e non si è mai vista arrivare un soldo, quindi proprio l’ironia della sorte, come si dice. Quindi – volutamente provocatorio, appunto – c’è la possibilità che Chi è chi – nato come gioco di ruolo per criticare il capitalismo della sorveglianza, possa un giorno diventare Monopoly, che possa depotenziarsi della sua carica sovversiva?

Emmanuele: Allora, questa è una cosa che dobbiamo sempre ricordarci, ossia che il capitale riesce a sostituire sempre tutto ed è per questo che noi come movimento, come militanza, dobbiamo restare compatti, uniti, dobbiamo fare rete. Dobbiamo anche cedere spesso a personalismi per essere più uniti. Dobbiamo tornare a essere un movimento.

Perché dico questo? Perché noi riusciamo a farci cooptare nel momento in cui siamo singoli, siamo isolati e siamo disperati. Ti spiego. Faccio una domanda provocatoria, però prendila per quello che è una provocazione. Tu hai problemi economici?

No, dai. Ho una situazione di medio borghesia.

Emmanuele: Tu conosci persone che hanno problemi economici? Tu capiresti una persona svendesse le sue competenze al capitale, se questo gli desse una stabilità? La povertà è disperazione. E se siamo soli, se siamo isolati, siamo più disperati.

Le persone non è che si svendono, le persone tentano disperatamente di sopravvivere. Nel momento in cui noi creiamo una rete, i casi Monopoly sono più difficili. Nel momento in cui torniamo a essere un movimento e non una serie di piccole celebrità, ognuno con il suo proprio account Instagram, tutto carino con le slide e con gli asterischi (no, non c’entra il linguaggio inclusivo) gli asterischi per non farsi fare lo shadowbanning da Instagram. Siamo tutti deboli, siamo tutti fragili, siamo tutti acquistabili. Ma non per la retorica “gli umani sono deboli”. Non è questo. Il problema è che a volte bisogna scegliere tra mangiare e pagare la bolletta. E uno dice, ma sai che c’è? Ok, vado a lavorare per Banca San Paolo.

4980 anime hanno attraversato i cancelli di oblivionQuesto progetto Oblivion nasce proprio per fare rete. Tutta la fiera è stata progettata insieme agli editori. Io mi sono invitato a fare da direttore editoriale, Claudio (Kulesco), Paolo (Di Orazio) e Edoardo (M. Rizzoli) da direttori creativi, ma appunto abbiamo diretto; molte delle scelte sono state concordate insieme agli editori.

Il risultato è una fiera che è riuscita a raggiungere un pubblico molto più ampio di quello che ci aspettavamo e un pubblico di lettrici e lettori appassionati esattamente del genere che noi stavamo cercando. La fiera ha avuto un alto grado di politicizzazione, nonostante sia una fiera di letteratura. E di questo le persone se ne sono accorte, se ne sono accorte nonostante spesse volte abbiamo anche sorpassato una certa linea. Quando si gioca carte scoperte è molto più difficile essere sussunti.

E infatti dicevi collettivo Oblivion! Ma come collettivo Oblivion, quindi, ci sarà una prosecuzione, oltre a una prossima edizione della fiera, dico, è prevista anche qualche altra azione o evento?

Emmanuele: Probabilmente a giugno faremo un piccolo festival sempre a Roma, ma giusto per non raffreddarci i muscoli.