Non esiste una città come Torino per lo sport italiano

Il libro “In mezzo scorre il fiume. Sport e storie a Torino” ci regala una chicca dopo l’altra, con racconti e aneddoti su una città che in poco più di 130 anni si è ritagliata un ruolo di protagonista assoluta dello sport italiano. Abbiamo intervistato una delle autrici, Elena Miglietti, per ripercorrere insieme le tappe dell’epopea sportiva sabauda. Di Edoardo D’Amato.

Per chi è un appassionato di sport, l’estate che si è conclusa da pochi giorni è stata indubbiamente molto ricca. Prima gli Europei di calcio in Germania, poi le Olimpiadi parigine, hanno segnato i mesi estivi, offrendo una meravigliosa overdose di pallone, palline, lanci, tiri, bracciate, regate, corse e tanto, tanto altro. Non sono mancate ovviamente le polemiche, soprattutto con riferimento alla manifestazione transalpina. Il caso Khelif, certo, ma anche una cerimonia di apertura che non ha convinto tutti. E poi una querelle che ha tenuto banco per giorni: i problemi di inquinamento della Senna, dove sono poi andate effettivamente in scena le gare di triathlon. Proprio nei giorni in cui guardavo dalla tv atleti e atlete tuffarsi controvoglia nelle acque del fiume parigino, avevo appena iniziato il libro “In mezzo scorre il fiume. Sport e storie a Torino” (ed. 66thand2nd), dove ad un certo punto si racconta che nell’800′ il Po era a tutti gli effetti una grande piscina. Chi voleva nuotare poteva contare su stabilimenti balneari con sponde attrezzate e chiatte gestite da barcaioli che avevano il compito di vigilare sulla sicurezza dei bagnanti e sul rispetto del pubblico decoro. Con la crescita della città, della popolazione e dell’industria, i bagni nel Po non sono più stati possibili. Ma per un certo periodo è stata una pratica assolutamente normale. E questa è solo una delle tante chicche presenti tra le pagine del libro, che ci racconta la storia di una Torino all’avanguardia in quanto a infrastrutture e pioniera di diverse discipline che da qui si sono poi diffuse a livello nazionale. Una riflessione sul passato per arrivare al presente e proiettarsi nel futuro. Ne abbiamo parlato con Elena Miglietti, autrice del libro insieme a Mauro Berruto.

Com’è nata l’idea di scrivere questo libro sullo sport a Torino e quanto e stato impegnativo ripercorrere tutte le varie tappe?

La cosa nasce innanzitutto da 66Thand2nd, che ha una collana attiva in cui racconta le città dal punto di vista dei luoghi dello sport. Ho pensato che, essendo Torino una realtà dove sono sono successe e continuano ad accadere tante cose legate allo sport, poteva nascere qualcosa. Io e Mauro abbiamo sempre vissuto la città da un punto di vista dello sport. Sono stata una ragazzina che nuotava nella piscina dello stadio, ho giocato a pallavolo cominciando dalla Sisport, poi Lasalliano. Nel corso della mia vita ho sviluppato un orizzonte visivo molto chiaro dei luoghi sportivi torinesi. Quindi abbiamo unito la passione per gli sport di cui parliamo nel libro, dei luoghi dove venivano praticati e in generale per la nostra città. Per una sua particolarissima congiuntura geofisica, Torino ha dato il là a tantissime discipline. Sulle rive del Po, al Parco del Valentino, nasce la prima società sportiva d’Italia. Non è stato difficile scriverlo perchè è una passione che ci accomuna: tante cose le conoscevamo di nostro, altre le abbiamo scoperte. Primo fra tutti, Edmondo De Amicis, che ha avuto una produzione sportiva fecondissima. Abbiamo avuto un po’ di difficoltà tra di noi, per via di un approccio alla scrittura molto diverso: Mauro è più legato all’aspetto dell’erudizione, io più alle persone e alla contemporaneaità. Ma penso sia venuto fuori un bel compendio.

Nelle pagine del libro emerge proprio il fatto che tu abbia incontrato persone e ci abbia parlato. Penso ad esempio al capitolo sulle bocciofile. Immagino che dietro alla storia dell’espressione piemontese tre al truc ci sia un incontro quantomeno particolare.

Ho fin da subito approcciato il lavoro per questo libro da giornalista. Quando ho dovuto scrivere del Motovelodromo, sono stata lì un giorno intero a farmi raccontare tutto. Stessa cosa per la Sisport e per le bocciofile. Il tre al truc è proprio un’incitazione, un’espressione di autoesaltazione: “stai a vedere, la lancio proprio lì”. Anche io non la conoscevo bene: me l’hanno spiegata un signore piemontese che incontro in palestra quando vado a fare ginnastica e una giovane professoressa di Rivarolo che ha nella sua cadenza un accento fortissimo.

La bocciofila Mossetto, in Lungo Dora Agrigento

Bocciofile che sono cambiate molto negli ultimi anni.

Rispetto agli anni della nascita e diffusione delle bocciofile, le cose sono molto cambiate. Per chi è torinese, la bocciofila è quel posto piatto, in mezzo a un po’ di verde, circondato da una rete metallica in alcuni punti un po’ arrugginita, su cui sono appoggiati i camiciotti (perchè i veri bocciofili giocano in canottiera). Intorno a quei campetti c’erano persone di ogni età: un posto in cui oltretutto si beveva e mangiava bene (e ancora adesso si beve e si mangia bene). Oggi resistono, in virtù del fatto che stanno un po’ cambiando pelle. Le bocciofile sono al centro di un’importante riqualificazione: oltre alle bocce, sopravvivono quelle che hanno una proposta culturale che va incontro alle esigenze dell’utenza. Rimangono una forma di aggregazione in città importantissima: nel tessuto torinese si sviluppano nel tratto del Po che va dalla Madonna del Pilone venendo verso il centro, ma ce n’è anche qualcuna lungo la Dora e altre sparpagliate nel resto della città.

Tornando al tema centrale del libro, a Torino sono nate tantissime cose sportive, che poi si sono diffuse a livello nazionale. Penso ai circoli dei canottieri o alla Rari Nantes (1899, prima società di nuoto italiana). E ancora, al primo campionato di calcio della storia. Ma soprattutto, la prima società sportiva italiana in assoluto, ovvero la Società Ginnastica Torino (poi diventata con il Reale davanti). Come mai fu così pioniera all’epoca?

All’inizio tutto partì da un’esigenza molto concreta. L’esercito sabaudo nell’800 combatteva delle guerre dove ancora bisognava guadare fiumi, attraversare valichi, camminare per marce forzate ecc. E le vinceva tutte. A questo si era arrivati grazie ad una diffusione dell’attività sportiva, voluta dal Re. In quel periodo la città era piena di giovani arrivati dalle campagne. Erano ragazzi poco sani: mangiavano male, vivevano in condizioni igieniche non impeccabili e quindi non erano in salute. Quando a Torino arriva Rudolf Obermann, teorico della ginnastica militare, i giovani iniziano a mettersi in forma. Ma lo scopo era sempre e solo uno: mandarli in guerra. Anche lo sci nasce con lo stesso obiettivo. Alle prime riunioni di presentazione di questo nuovo strumento partecipano due tenenti degli alpini per valutare se potesse essere utile per spostarsi più in fretta e agilmente tra le montagne.

Un’esigenza che poi però sembrò diventare quasi una vocazione…

Torino è bella, anche se per un po’ di anni si è portata dietro questa nomea di città triste, grigia. Il motivo è molto semplice: qui c’erano le fabbriche e le persone alla mattina andavano a lavorare e alla sera dormivano presto. Non c’era molto fermento. Il fatto che ad un certo punto lo sport si sia sviluppato così tanto è dovuto alla conformazione della città. Pensiamo allo sci: quando ha iniziato a diffondersi, le persone preferivano i dolci declivi. Il Valentino andava benissimo: Kind, che portò lo sci a Torino, all’imbrunire andava al Parco con questi due assi norvegesi. E poi c’era il pattinaggio, sport di cui sono sempre stata innamorata. Ricordo ancora il Palaghiaccio Rotelliere. Lì al Valentino era bellissimo: si poteva pattinare sul ghiaccio o a rotelle. Vedevi i ragazzi alle fermate dei tram con i pattini in spalla. Uno spettacolo. O ancora il nuoto: mi diverte molto pensare ad una Torino inimmaginabile oggi, dove il Po era pulito, cristallino, con spiagge attrezzate. Dove c’è il Patio c’è anche la Piscina Lido, perchè lì effettivamente c’era un lido. E poi questa cosa della piscina galleggiante davanti a Piazza Vittorio…

Era così la piscina galleggiante. Ne parla il libro “Torino descritta” di Pietro Baricco (1869)

Pazzesco pensare che nella prima metà dell’800 a Torino c’era una piscina galleggiante sullo stile di quelle costruite a Berlino o Copenaghen.

Doveva essere di una bellezza incredibile, perchè aveva un camminamento tutto in vetrata ed era concepita che se tu andavi lì ti davano tutto: asciugamano, ciabatte, il costume ecc. Questo è uno degli esempi più clamorosi di un luogo che non esiste più. Ma ci sono tanti posti che invece non sono mai esistiti e sono rimasti solo un progetto. Penso in particolare alle piscine di Cavour, che erano concepite più come una SPA che non come un posto per fortificare.

Oltre alla piscina galleggiante, che è già di per sè una roba stranissima, qual è la cosa più assurda che hai “scovato” e che magari non conoscevi?

Ci sono un po’ di cose che non sapevo. La prima è che la zona in cui mia figlia andava all’asilo, la zona Rubatto (tra il Ponte di Corso Vittorio Emanuele e Corso Fiume), prende il nome dalla famiglia che viveva lì, che a sua volta deriva da una forma dialettale, ovvero rubatè, che in piemontese vuol dire “tuffarsi”. Probabilmente i ragazzini rubatavu proprio da lì, si tuffavano. La zona dei tuffatori è effettivamente una cosa che mi ha colpito molto. Così come non sapevo della piscina Diana, che era in zona Corso Massimo-Via Donizetti, la prima piscina agonistica di Torino.

La piscina Diana

Nel libro c’è un intero capitolo dedicato ai giardinetti. Anche in questo caso si tratta di un luogo che è cambiato molto, però forse in peggio…

Erano delle piccole aree verdi tra le case: potevi trovare si lo scivolo e l’altalena, ma anche attrezzi ginnici, come il quadro svedese e il trapezio. Erano immaginati come delle palestre a cielo aperto. I ragazzini correvano giorno e notte dietro ad un pallone, ci si arrampicava dappertutto. Insomma, si era in perenne movimento. Spesso ora i giardinetti sono vuoti, e chi ci va è accompagnato dai genitori. Comunque è diventata una frequentazione episodica, per noi invece era un appuntamento quotidiano. Così ci emancipavamo anche prima. Forse c’erano meno pericoli, ma ci sono alcuni contesti dove si è conservato questo spirito. Ad esempio nei giardini Cavour, dove i ragazzini che abitano lì intorno vanno un po’ di più e giocano con il pallone sull’asfalto. E questo la dice lunga: spazi liberi per giocare a palla ad esempio non ce ne sono tanti.

Secondo te lo sport è ancora un collante sociale forte?

Lo sport, come la musica, è l’epica dei giorni nostri. I corridori dei 100m sono i nostri Achille ed Ettore. Adesso tutti i ragazzini si stanno iscrivendo ai corsi di tennis perchè c’è Jannik Sinner. Così come quando c’era Tomba era esplosa la mania dello sci. Credo che lo sport sia un collante fra i popoli. Se pensi a tutti questi disperati che arrivano con i barconi e guardi da vicino foto e video, noterai che c’è sempre qualcuno che indossa magliette da calcio ad esempio. E il nome che c’è su quella maglia rappresenta una grande responsabilità. Purtroppo, quella che è la luce dello sport, ovvero i giochi olimpici, che 2mila anni fa avevano la forza di fermare le guerre, nel giro di un secolo è accaduto esattamente il contrario. Pensiamo alle due guerre mondiali o alle tensioni durante la guerra fredda. E adesso con il conflitto tra Russia e Ucraina, con i russi che non hanno potuto partecipare alle ultime Olimpiadi.

Parlando di tennis e dell’ascesa di Sinner, penso che l’evento di punta dello sport torinese oggi siano proprio le Atp Finals. Ma a Torino nel 2006 ci sono state le Olimpiadi, che hanno letteralmente cambiato il volto della città.

Ho perfettamente il ricordo di cos’era prima Torino e cos’è stata dopo. Non credo che ci sia città che abbia saputo cogliere meglio di Torino l’opportunità data dall’ospitare una manifestazione olimpica. In quei giorni ha parlato di sport: Torino e le sue valli erano concentrate su un solo ed unico messaggio, lo sport. E quando lo sport è finito e i riflettori sono stati spenti, è esplosa la cultura. Nel frattempo la città si era rifatta bella e fatta conoscere, e con grande intelligenza si è fatta avanti una proposta culturale di un territorio che poteva attrarre turismo e che non lo sapeva ancora. Dalla Reggia di Venaria che venne rimessa a posto, così come residenze sabaude, le pinacotece riaperte, il Museo Egizio che ha avuto il successo che sappiamo, il Museo del Cinema che all’epoca era nuovo. E, facendo il parallelismo con le ultime Olimpiadi, non credo che a Parigi siano servite in questo senso. Non hanno aggiunto nulla rispetto a quello che già c’è.

Aster, Neve e Gliz, le mascotte dei giochi Olimpici e Paralimpici invernali di Torino 2006, posizionati al Parco Mennea

Arrivò anche una metropolitana che prima non esisteva.

A Torino i progetti per la metro sono di fine anni ’60, ma nell’allora città dell’auto non si pensava che le due cose potessero convivere. Da questo punto di vista siamo molto indietro. Anche perchè rimane sempre la paura di cambiare il nostro orizzone visivo: ci sono due grattacieli che non servono a molto e che vanno a “disturbare” una skyline che prima era intonsa, con le sue Alpi bellissime. Per alcuni è sintomo di modernità, quando invece uno degli aghi della bilancia in quest’ottica sono proprio i trasporti.

Sempre a proposito di cambiamenti in atto, a tuo giudizio qual è lo stato di salute dello sport cittadino nel 2024? Le amministrazioni cittadine che si sono succedute hanno lavorato bene o c’è stato un ridimensionamento dell’offerta? Ad esempio nel mondo della musica c’è da molti anni un malcontento diffuso.

Torino musicalmente ha vissuto stagioni meravigliose. Ne parlo anche nel libro: in un posto come il Motovelodromo ha suonato gente come Brian Ferry. Tra l’altro la seconda vita del Motovelodromo è una notizia veramente fantastica. Il problema però è per le società sportive, che non hanno più gli spazi per poter fare sport e devono frequentemente rivolgersi alla palestra delle scuole. E noi abbiamo un Paese con il 50% delle scuole che non hanno una palestra. E quelle che ce l’hanno troppo spesso non sono adeguate. Fare una doccia in una palestra a Torino è pressochè impossibile. Per fortuna abbiamo degli spazi deputati allo sport bellissimi e ci sono progetti, come quello degli Amici del Fiume, dove si può fare sport senza dover pagare le importanti rette per essere socio. Detto questo, poter fare sport continua ad essere qualcosa per privilegiati: lo sport popolare trova poco spazio. Se la scuola non si dà una mossa non siamo messi benissimo. Mauro Berruto, autore insieme a me del libro, a tal proposito ha conquistato un grosso risultato, ovvero l’inserimento dello sport nella Costituzione italiana con la modifica dell’art.33. Nasce il diritto allo sport e di conseguenza devono esserci delle politiche per lo sport. E poi bisogna sicuramente ripensare che tipo di sport facciamo. Ad ottobre fa ancora caldo e questo vuol dire che possiamo fare ancora tante cose all’aria aperta. Bisogna proprio ripensare i luoghi fisici per lo sport. E su questo Torino ha un privilegio straordinario.

C’è anche il rovescio della medaglia: con il riscaldamento globale e le sempre più rare nevicate, sport come gli sci potrebbero scomparire… 

Qui a Pragelato abbiamo la pista da bob costruita per il 2006: una cattedrale nel deserto in dismissione. I giochi di Milano e Cortina richiedono una pista da bob. Il CIO però vieta nuove costruzioni di questo tipo, nel senso che gli sport invernali stanno andando in esaurimento e l’organismo non dà i permessi. La proposta di utilizzare l’impianto di Pragelato è arrivata proprio da Mauro, che prevedeva il riammodernamento e riutilizzo della pista e il suo smontaggio, con ripiantumazione degli alberi. Non è stata accettata.

Potremmo andare avanti per ore, ma non vorremmo spoilerare troppe parti del libro! Parliamo invece un po’ dei tuoi progetti. 

Sono referente per il Piemonte della fondazione Sportcity, voluta da Fabio Pagliara, che è stato segretario generale della Federazione Atletica. Sportcity vuole lavorare ad una sportivizzazione delle città. Faccio un esempio di rigenerazione urbana parlando di Catania: qui c’era un’area dismessa nella zona portuale, in mano al malaffare, che si  è trasformata grazie all’azione della fondazione. Ora c’è un campo da calcetto, un playground di basket, delle zone per correre e fare calisthenics. Così viene restituito alla cittadinanza un territorio prima bruttissimo e ora bellissimo, in riva al mare, dove i giovani vanno e fanno sport gratuitamente. Mi sto orientando molto verso questo discorso, partendo sempre dal racconto. Infatti per il prossimo futuro ho un sogno: creare una scuola di storytelling sportivo, che metta insieme tutti i grandi narratori e lavori proprio sul racconto dello sport.

Elena Miglietti è su Instagram

Immagine in copertina di Roberto Ferrero