Il Sottodiciotto Film Festival di Torino ha proiettato una maratona con le due serie Netflix di Zerocalcare sul grande schermo del Cinema Massimo, innescando una riflessione collaterale: in un futuro che è già oggi, guarderemo sempre di più serie pensate per le varie piattaforme di streaming anche in sala al cinema? Articolo a cura di Lorenzo Giannetti.
Salvo qualche eccezione per particolari retrospettive/rassegne a tema, è la prima volta che vedo una maratona seriale mutuata da una piattaforma online proiettata nella programmazione di un festival.
Una serie mostrata per intero e tutta in una volta su grande schermo. Nella fattispecie due stagioni di una serie così nota da non aver bisogno di particolari presentazioni: si tratta di “Strappare lungo i bordi” e “Questo mondo non mi renderà cattivo”, ennesimi “bestseller” targati Netflix e firmati da Zerocalcare, proiettati al Sottodiciotto Film Festival di Torino, realtà consolidata e virtuosa che da sempre dà spazio alle giovani leve di cinefili italiani e non.
Personalmente nutro sentimenti contrastanti. Non sulla serie o sul festival: sono un fan e sostenitore dell’una e dell’altro. Bensì sulla serialità al cinema tout court.
Da un lato è una formula che ho sempre auspicato per mio gusto/diletto personale, dal momento che faccio molta fatica a star dietro alle narrazioni a puntate nel mio contesto casalingo e in genere prediligo le visioni one-shot e in sala, anche quando si tratta di un minutaggio epico (che sia Scorsese o Bela Tarr, fate voi). In tal senso, spesso ho la sensazione che preferirei passare un intero pomeriggio o un’intera serata al cinema per guardare tot episodi che farlo in un tot di giorni dal mio PC. In questo credo di essere abbastanza abbastanza in controtendenza tra l’altro… o sbaglio?
Dall’altro lato non so se il contrappasso del far entrare la serialità nel grande schermo possa definitivamente mettere i bastoni tra le ruote a produzioni cinematografiche già in difficoltà. Se, in soldoni, c’è il rischio di togliere spazio a film che fanno fatica di per sé a ritagliarsi un posto al sole (vedi il recente caso dell’ottimo La Chimera di Alice Rohrwacher).
Più in generale, poi, si potrebbe impugnare la causa di un potenziale appiattimento del gusto comune alle presunte regole/logiche della serialità: una questione spinosa, oltre che da appurare, dal momento che per certi la formula seriale offre soluzioni fresche e inaspettate, per altri versi è un contenitore castrante e stagnante.
Insomma, “ibridare” contenuti ma ormai anche contenitori ha un suo senso a livello concettuale? E poi, ne può avere anche a livello commerciale, in una situazione win-win per piattaforme e sale? E in che modalità/tempistiche?
Ricordo che un raffinato e visionario cineasta come Cronenberg, ha sempre speso parole concilianti (o rassegnate?) in merito al futuro del cinema come “lontano” dal grande schermo, pensato dalle nuove generazioni già per piattaforme e device differenti.
Difficile fare previsioni o avere giudizi netti: voi come la vedete?