Andrea Donaera, scrittore di Gallipoli, ha pubblicato il 10 aprile il suo terzo romanzo La colpa è mia, per Bompiani. Un romanzo che è quasi una seduta psicanalitica, in bilico tra la controversa subcultura Incel e la chimera del raggiungimento di una indipendenza economica. Ne abbiamo parlato direttamente con l’autore, spaziando tra scrittura, musica ed editoria. Articolo a cura di Carolina Dema.
La colpa è mia
Il romanzo racconta del giornalista trentenne squattrinato Bruno che convive con la fidanzata dottoranda in letteratura nordamericana Aby; i due sono costretti a frasi mantenere dal padre di lei, ma la commissione di un’intervista col leader degli Incel (subcultura online di celibi involontari,
misogini e persecutori) Petrus, potrebbe finalmente segnare la svolta per raggiungere l’indipendenza economica. Proprio il giorno dell’incontro con Petrus, però, la fidanzata Aby scopre di avere un tumore terminale al cervello.
La colpa è mia tratta davvero un’ampiezza di temi: il precariato dei giornalisti – non più tanto – esordienti, la dipendenza affettiva, la malattia terminale, e, soprattutto, degli Incel.
L’intervista
Nonostante la seguente intervista non sia frutto di una chiacchierata fluida in tempo reale, ma epistolare, sono riuscita anche a incontrare Andrea Donaera di persona, mercoledì 22 maggio in occasione della presentazione del libro presso la Libreria del Golem di Torino, moderata dallo scrittore ed editor Marco Peano.
Durante l’incontro – in cui si è discusso delle motivazioni e della psiche dei protagonisti dei romanzo in maniera tanto approfondita da renderli materia viva, una sorta di seduta di psicanalisi a personaggi mai esistiti – sono anche venute fuori un paio di easter egg sull’architettura del romanzo, che vi rivelerò alla fine dell’articolo. Ciò che vi posso raccontare subito, invece, è che al momento del firmacopie, essendomi brillantemente scordata il libro a casa, siamo andati tutti a prendere una birra al bangla davanti alla libreria per ottenere lo scontrino su cui Andrea mi ha poi lasciato la firma; mi ha anche donato degli aneddoti – irripetibili in sede scritta – sui personaggi che si avvicendano nella sua libreria di Gallipoli Macarìa, a cui non mi sorprenderei se in futuro scegliesse di dedicarvi un racconto.
Parto con una domanda che ha una lunga premessa.
Si parla spesso del fatto che, nell’editoria, in questo momento ci sia un focus sulla scrittura femminile: il pubblico si è stancato di leggere dell’ennesimo storia di un maschio etero cis machista e oggettificante, meno “chad” alla Kerouac o Missiroli (per quanto poi di fatto rimangano sempre in vetta alle classifiche) e più Viola Di Grado, o Olga Campofreda, per restare nel territorio della casa editrice NN, con cui hai pubblicato i tuoi due precedenti romanzi.
Il lavoro che hai fatto in questo libro (e nei precedenti) risponde creando una controtendenza, perché poni il focus su un altro tipo di maschio – sempre imbevuto di cultura patriarcale, ma che si trova spaesato in un mondo che non è più fatto a sua misura e deve imparare ad abitarlo affrontando le sue insicurezze, o soccombendo a esse.
I protagonisti dei tuoi libri alla fine, entrano in quell’archetipo che potremmo chiamare il “Crying Orc” (facendo riferimento ovviamente alla canzone black di Burzum): l’uomo che riesce a entrare in contatto con la sua fragilità attraverso l’arte e l’amore, ma che in pubblica piazza si nasconde dietro una scorza di misantropia che lo esclude da quel mondo pubblico da cui in fondo vorrebbe solo essere accettato.
Ti va di raccontarci un po’ come è nata l’idea di questo tuo ultimo libro? Questi “Crying Orc” di cui continui a scrivere potranno mai giungere a un’evoluzione positiva (e se sì, come?) – nella tua scrittura come nella vita reale – o sono destinati a esistere come eterni vinti?
Donaera: I personaggi che provo a raccontare provengono da persone complesse, che vivono esistenze complicate, e tutto è difficile, pesante, pasticciato. Tutto: il lavoro, l’amore, i soldi, le amicizie, i luoghi in cui vivono. Non riescono a procedere lungo la superficie senza scivolare in
profondità, non riescono a costruire uno spazio dove abitare serenamente almeno uno spicchio della quotidianità senza sentirsi richiamati da urla notturne. Questo genera in loro delle derive psichiche, che a mio avviso meritano di essere raccontate: e le storie che provo a scrivere parlano
proprio di queste derive. Non ho idee sul destino che certe persone potranno avere, ma posso dire che i personaggi che provo a creare saranno eterni vinti – sconfitti da loro stessi.
Nei tuoi romanzi uno dei fil rouge è sicuramente la musica, metal nel particolare; non mancano mai infatti rimandi a band black, gothic, dungeon, metalcore, e via dicendo, tanto che, per il tuo ultimo libro, hai creato una playlist Spotify (eccola QUI) che contiene tutte le canzoni citate. Del resto, oltre a essere scrittore sei anche musicista sia nella band heavy metal Serial Vice che col tuo solo project depressive black metal Onirica. Vorrei che ci raccontassi un po’ del tuo percorso come artista, di come ha influenzato la tua scrittura, e viceversa.
Donaera: La musica mi interessa esattamente come mi interessa la letteratura. Solo che con i libri riesco a fare cose accettabili, mentre con la musica non sono per niente bravo. Resta il fatto che musica e letteratura sono costantemente intrecciate, per me ascoltare un album o leggere un libro richiedono lo stesso impegno, e ragionare attorno a discorsi musicali prevede la stessa concentrazione di quando si parla di libri. Non c’è una separazione, è un’esperienza indivisibile – sia quella dell’ascolto e della lettura che quella della composizione e della scrittura. Parlare di
Michele Mari e parlare dei Marduk è equivalente. Così come scrivere un romanzo o comporre un album.
La colpa è mia è il romanzo con cui sei passato dall’editoria indipendente a quella maggioritaria, pubblicando per la casa editrice milanese Bompiani (parte del gruppo editoriale Giunti). Cosa è cambiato rispetto alle precedenti pubblicazioni di narrativa con NN e Tetra? Spesso
si dice che il passaggio all’editoria mainstream, per uno scrittore, possa essere il grande salto verso la fama, o la scivolata verso il dirupo dei dimenticati, perché se si fatica a vendere migliaia di copie nei primi mesi dalla pubblicazione, la casa editrice focalizza la sua energia su libri più lucrativi. Cosa ne pensi a riguardo? È stata una tua scelta, quella di proporre il manoscritto a Bompiani, o la proposta è arrivata da loro?
Donaera: Non saprei come rispondere. Per fortuna ho un’ottima agenzia che si occupa di queste cose, infatti sono stati loro a far pubblicare il nuovo romanzo da Bompiani. Personalmente detesto il mondo dell’editoria, non ho mai incontrato un luogo lavorativo tanto distante dalla mia idea di lavoro e dalla mia etica. Non ragiono attorno ai temi della fama, delle copie vendute e così via: sono temi che non esistono, sono chiacchiere fumose da circolo letterario. Ho cose molto più serie a cui dover pensare, mentre l’editoria non è una cosa seria: è un gioco per dei privilegiati che hanno potuto scegliere di non lavorare (facendo però finta di lavorare), oppure è uno strumento per sentirsi in qualche modo realizzati e potenti prendendo in giro quelle persone che credono che quelle che scrivono o pubblicano libri siano creature migliori, superiori o che cazzo ne so. Sarebbe molto bello finire nel dirupo dei dimenticati.
Domanda bonus: autointervistati! C’è qualcosa che non abbiamo menzionato che vorresti aggiungere, riguardo al tuo libro?
Donaera: Non ho mai riletto il libro, e l’ho scritto due anni fa, quindi ho dimenticato quasi tutto. Per fortuna sto facendo delle presentazioni con ottimi relatori, che loro il libro lo hanno letto. Tra l’altro è un romanzo che ha attraversato e accompagnato uno dei periodi più bui e difficili della mia vita, quindi non vedo l’ora di vederlo sparire dalla circolazione. Volendo però possiamo dire che è dedicato a un personaggio molto bello proveniente dal legendarium di Tolkien, cioè Luthien, che vi invito ad approfondire. Grazie.
Easter Egg
Riprendo le parole di Donaera “ [i personaggi] non riescono a costruire uno spazio dove abitare serenamente”, perché è anche attraverso gli spazi che è riuscito a raccontare l’aggravarsi delle dissociazioni del protagonista Bruno. Scrivere dal punto di vista di un folle non è semplice: il
personaggio deve impazzire, ma la storia e la scrittura no, o almeno, non del tutto – a meno che uno non sia Burroughs, ma qui si entra nel mondo delle sperimentazioni – bisogna lasciare degli appigli a chi legge. Per questo Donaera ha lavorato all’architettura sotterranea del romanzo, inserendo delle piccole dissonanze riguardanti i luoghi.
Il romanzo è ambientato a Lecce, città dell’entroterra pugliese, ma quando Bruno ricorda i suoi primi incontri con la fidanzata è certo che siano stati nella spiaggia del centro di Lecce. O ancora, Bruno ormai deflagrato, vaga per la città ed entra nell’eminente Museo (Carmelo) Bene: la facciata
è incastellata di basso rilievi di creature mostruose, l’intero una stanza grigia e vuota con un solo quadro apposto su un treppiedi vicino al muro: San Francesco contempla un teschio, di Francisco de Zurbarán. Anche questo museo non è mai esistito. Le easter egg, che sono più immediatamente individuabili per i leccesi (e shockanti se immersi in profondità nel punto di vista di Bruno), soprattutto se unite a un racconto della città dalla rassicurante precisione, appaiono invece come sottili interferenze che perturbano nell’inconscio a chi, come me, abita al nord e in Puglia non ci è mai andato. Ok, sì, dovrei saperlo che a Lecce non c’è il mare, ma nella foga della lettura non mi sono certo fermata a cogitare sulla geografia italiana.
Allora ringrazio davvero Andrea Donaera per il tempo che si è preso nel rispondere alle domande e per la chiacchierata davanti alle sacrosante birrette e invito tutti e tutte a sfasciarsi al più presto La colpa è mia, e poi a recuperare Io sono la bestia, Lei che non tocca mai terra, e le raccolte di
poesie. Nonostante la sua folgorante provocazione, collaboriamo per non doverlo mai vedere scivolare nel “dirupo dei dimenticati”, perché di scrittori e scrittrici come lui, in Italia, ce ne sono pochi.