La Filosofia della Resistenza di Simone Weil attraverso le tragedie di Sofocle

Un’idea filosofica, un progetto educativo, un piano politico dotato di spessore e lungimiranza: è Filosofia della resistenza di Simone Weil, tre testi sulle tragedie di Sofocle, Antigone, Elettra e Filottete, a cura di Francesca R. Recchia Luciani per la casa editrice Il Melangolo.

_di Federica Bassignana

È il 1936 quando Simone Weil – irrequieta quanto acuta interprete della realtà – ha concluso la sua esperienza di lavoro in fabbrica e la sua determinata vocazione etica relativa all’istruzione operaia prende forma scritta. L’idea risiede nella diffusione di tre testi brevi dedicati alle tragedie di Sofocle Antigone, Elettra e Filottete che Simone Weil intende destinare agli operai e alle operaie delle fonderie di Rosières. Rispetto all’idea originaria, solo Antigone verrà pubblicata nel giornale di fabbrica Entre Nous, mentre gli altri due testi si scontreranno con l’opposizione del direttore, Victor Bernard. L’edizione per Il Melangolo a cura di Francesca R. Recchia Luciani, con la traduzione degli scritti di Simone Weil di Alasia Nuti, rende giustizia nella forma e nella sostanza all’intenzione del progetto di una delle più rilevanti intellettuali del Novecento.

Mai come tra queste pagine si comprende l’esattezza delle parole di Bernardo di Chartres: siamo nani sulle spalle dei giganti grazie ai quali è possibile vedere con più chiarezza. Così, Simone Weil guarda alla sapienza antica – ma eternamente attuale – della letteratura greca e rivolge lo sguardo più lontano, abbracciando consapevolezze lungimiranti sulla condizione operaia, sulla libertà individuale e sulla dignità della resistenza

“Sono passati circa duemilacinquecento anni da quando in Grecia si scrivevano bellissimi poemi. Ormai, a leggerli, sono quasi soltanto coloro che si specializzano in questo studio, ed è un peccato. Perché questi antichi poemi sono talmente umani da essere ancora molto vicini a noi e possono interessare tutti. Sarebbero persino molto più commoventi per quanti sanno che cosa significhi lottare e soffrire, piuttosto che per coloro che hanno trascorso la loro vita tra le quattro mura di una biblioteca”.

Simone Weil trascende la distanza temporale, linguistica e sociale e riscrive in brevi testi le tragedie di Sofocle per avvicinarli a coloro che, ieri come oggi, sanno davvero cosa significhi lottare e soffrire. Ma prima di addentrarsi nelle righe weiliane, i lettori di questa edizione entrano nel cuore dell’accezione storica e filosofica del progetto educativo grazie al saggio introduttivo di Francesca R. Recchia Luciani: L’Antigone, l’Elettra e il Filottete di Simone Weil: i racconti di una filosofa portatrice d’acqua. Ne emerge un quadro dettagliato e intenso delle idee e delle motivazioni della filosofa in merito alla decisione di diventare lei stessa operaia, spinta dal suo intenso attaccamento al reale. Scrive la curatrice:

“Un amore per la realtà che è anche una delle possibili forme di “radicamento” nel mondo tra le altre, tutte essenziali per ogni essere umano. “Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana”. È dunque la fama di realtà che la spinge a immergersi con tutta sé stessa nella condizione operaria, a masticarne la durezza amara, a provarne sulla sua carne l’avvilente fatica, a sperimentare in quella stanchezza opprimente la paralisi prima e l’assenza di pensiero poi”. 

Evitare l’estraniamento al mondo del pensiero diventa per Simone Weil un’urgente priorità: l’esercizio al ragionamento, alla riflessione e alla ricerca devono essere moti del pensiero in costante movimento. Il processo di emancipazione della classe operaia è lastricato di ostacoli culturali e sociali che devono essere abbattuti “recuperando e ampliando il raggio di estensione e di percezione della dignità spirituale del lavoro”. Così, il primo atto di resistenza per rendere la vita operaia degna di essere vissuta lontana da logiche di schiavitù è convertire al bene e alla bellezza il rapporto tra lavoro e mondo. E scrive Simone Weil, “la bellezza è qualcosa che si mangia; è nutrimento”.

Solo l’educazione e la qualità dell’istruzione slegano da una reificazione opprimente e da una de-umanizzazione intrinseca alla condizione operaia: arricchire l’animo per combattere l’alienazione, elevare lo spirito per arginare l’oppressione, dissetarsi della bellezza come da una fonte d’acqua, sono azioni alla base della ribellione che plasmano la filosofia della resistenza, incarnata dalle tre figure emblematiche della mitologia greca scelte da Simone Weil. Antigone, che sfida la legge del potere tirannico in nome della propria leggere morale e che subisce in tutta la sua trasversalità la cieca brutalità dell’oppressione che non conosce ragione; Elettra, schiacciata e consumata dalla forza dell’ingiustizia che la piega ma non la sommetterà mai grazie al suo strenuo e instancabile appiglio ai principi di fedeltà e forza d’animo; infine, Filottete, di cui disponiamo solo un frammento, per scuotere le coscienze sul “dramma dell’abbondono” e ricordare tutti quegli uomini e quelle donne che vivono – e muoiono – nell’ombra dell’umiliazione e della miseria. 

Tre storie di ostinata volontà di emancipazione che diventano una bussola essenziale per orientarsi nella complessità del reale. Emblemi di azioni di resistenza vivi e attuali, oggi come allora, che rivelano la fatica – e talvolta, il caro prezzo da pagare – nel non piegarsi mai agli eventi, ma che allo stesso tempo celebrano l’urgenza di valori ineluttabili dell’esistenza umana: la libertà, il coraggio e la dignità