FUTURA 1993 X OUTsiders | [INTERVISTA] Gli Inude e l’importanza di condividere il proprio stato d’animo

È ancora possibile reagire al presente abbattendo confini geografici ed emotivi che ogni giorno di questo assurdo 2020 ci isolano dal mondo circostante: il messaggio degli Inude arriva chiaro e forte a cavallo di un sound che esce dalle convenzioni nazionali per virare verso lidi internazionali. Futura 1993 ha intervistato per noi la band pugliese alla scoperta del loro percorso e del nuovo singolo We Share.


_di Filippo Duò

Un anno fa è arrivato nelle nostre orecchie un disco etereo, sognante e d’impatto, ovvero Clara Tesla, il disco d’esordio degli Inude. Nulla faceva pensare che fossimo di fronte a una band pugliese: sonorità nordeuropee, synth dilatati e percussioni elettroniche rendevano l’insieme straniante e affascinante, seguendo un sottile crinale fra pop e avanguardia. Giacomo, Flavio e Francesco hanno trovato una strada unica e personale, frutto di ascolti disparati e senza la paura di guardare al pubblico mondiale. 

Dopo un breve tour interrotto dall’emergenza sanitaria, gli Inude hanno approfittato del periodo di stallo per riunire le forze e creare nuova musica. Il risultato è We Share, un primo singolo dirompente e sperimentale che conferma il trio come una delle realtà più ispirate e internazionali presenti sulla scena italiana, non a caso ora sotto una delle etichette più attente a questo aspetto: Factory Flaws

“Quando la solitudine prende il sopravvento e non riesci più a risolvere le tue insicurezze attraverso l’approvazione degli altri, hai di fronte due strade. Puoi rifugiarti nel silenzio e chiuderti in te stesso, ma è la via più veloce per smarrirti fino a scomparire. Oppure, puoi condividere emozioni, stati d’animo e paure aprendoti agli altri e affrontando le tue debolezze: è un percorso molto più arduo, ma alla fine imparerai ad accettarti e ad amarti e riuscirai ad affermare la tua identità.” Questo il tema del pezzo secondo la band, che apre così un proficuo dialogo sulla bellezza della condivisione e sull’importanza di aprirsi sempre di più con chi ci sta attorno. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Prima di proseguire parlando del brano, raccontateci chi sono gli Inude e come è nata l’idea di unire le vostre forze artistiche per fare musica.

Gli Inude sono Giacomo Greco, Flavio Paglialunga e Francesco Bove. L’idea di unire le nostre forze artistiche per fare musica è nata quando eravamo appena adolescenti e crescendo, cambiando e dopo aver maturato esperienze individuali differenti nel tempo abbiamo deciso di riunirci, cinque anni fa, componendo il primo EP in una stanzetta a Milano, usando solo un laptop e un microfono. 

Qual è l’origine dell’insolito nome della band?

Il nome Inude non ha un significato vero e proprio come parola unica, volevamo esprimere il senso di nudità proprio del fare musica, il mettere a nudo emozioni, sentimenti, dolori e paure. 

Quali sono stati gli ascolti per voi più formativi? Vi andrebbe di consigliarci alcuni dischi o artisti imprescindibili?

Ognuno di noi ha un background musicale differente che col crescere della passione verso la musica si è modificato e continua a modificarsi nel tempo. C’è chi è cresciuto con De Andrè, chi con i Dire Straits e chi con i Queen. Quando noi ci siamo conosciuti come band a dodici anni ascoltavamo i Linkin Park e tutto l’alternative rock. Tra gli ultimi ascolti che ci hanno influenzato vi consigliamo Moses Sumney, Tom Misch, Khruangbin.

Come avete detto, il nuovo singolo parla dell’importanza della condivisione come via per superare le fragilità. Quali esperienze di vita vi hanno ispirato a scriverlo?

Viviamo in un momento storico in cui sempre più persone giovani e meno giovani soffrono l’inesistenza di un futuro certo, ognuno di noi ha avuto modo di vivere esperienze differenti a riguardo e il punto che volevamo toccare con il nostro brano è che spesso si tende a chiudersi in sé stessi cadendo in un loop che non lascia via d’uscita. Le nostre esperienze ci hanno insegnato che il primo passo verso la consapevolezza e l’accettazione è la condivisione. 

Nei vostri pezzi troviamo spessissimo testi intimistici e riflessivi, che ben si abbinano a gelide atmosfere elettroniche. Come vi approcciate alla scrittura?

Tutti e tre componiamo musica e scriviamo testi. Le canzoni nascono in solitaria, successivamente subentrano le idee di ognuno che plasmano e danno l’identità e lo stampo “Inude” ai brani. L’approccio iniziale è istintivo, di pancia. Dopo diventa più metodico, quando ci troviamo a lavorare tutti assieme il suono assume un’importanza imprescindibile per la carica emotiva di un brano, e se potessimo non avere limiti di tempo probabilmente potremmo trovarci a realizzare un brano soltanto per mesi. 

Avete mai considerato l’opportunità di cantare in italiano per far arrivare il vostro messaggio in maniera ancora più diretta? 

Si può essere diretti anche senza cantare in italiano, perché la musica è un linguaggio universale. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di riuscire a oltrepassare i confini nazionali, anche perché la cultura musicale del nostro paese digerisce poco generi come il nostro.

Nonostante tutto però ci riteniamo fortunati perché con in mezzi di oggi non importa che tu sia in Italia o in America, con internet si può arrivare ovunque e se si sceglie un percorso ragionato e pianificato si possono raggiungere dei risultati rispettabili pur venendo dal profondo sud dell’Italia.  

Nel caso di We Share si notano diverse sperimentazioni sonore: come avete lavorato alla sua produzione?

La produzione di We Share ha avuto vari passaggi prima di arrivare alla sua forma definitiva. All’inizio non avendo un titolo veniva identificata come “la canzone dei Coldplay”, per farvi capire da dove siamo partiti (ridono, ndr). Tutta la parte melodica si è costruita grazie a campionamenti di fiati processati in maniera poco usuale così come le chitarre, che in alcuni momenti suonano proprio come se fossero fiati. In questo brano, così come in altri che vi faremo ascoltare in futuro, abbiamo avuto modo di sperimentare con i suoni di batterie vere, suonate con maestria dal batterista che ci ha seguito nel, seppur breve, precedente tour, Fabrizio Semerano. Sulle voci c’è un gioco di vocoder e armonizzazioni, anche su questo strumento che porta avanti il pezzo abbiamo lavorato tanto per dargli un’identità forte, in questo il nostro produttore Peppe Petrelli è stato fondamentale. 

Nel tempo avete macinato chilometri con tour di decine di date: quali sono le principali differenze tra la vita di studio e quella on the road, dal vostro punto di vista?

Il live è il punto massimo di espressione e di vicinanza con le persone quando si fa musica ed è il momento in cui tutto il lavoro fatto in studio si concretizza realmente. Noi siamo a nostro agio sia in studio sia sul palco anche se abbiamo un debole per le performance dal vivo che in questo momento mancano come l’aria.

Riponete grande attenzione all’aspetto visivo, in particolare alle grafiche di copertina, sempre misteriose e a tratti oniriche. Come lavorate in tal senso?

Ci siamo affidati a delle persone che condividono con noi una sensibilità particolare, per cui abbiamo sempre parlato tanto con i nostri grafici o videomaker di tutto quello che significano i nostri pezzi, a quello che c’è dietro. La comunicazione è fondamentale si vuole allineare musica e arte visiva, perché assieme la potenza comunicativa aumenta e arriva di più a chi ti ascolta.

Nonostante il momento così incerto, potete svelarci qualcosa riguardo i vostri piani per il futuro?

Abbiamo scritto un nuovo disco, che uscirà non si sa bene quando il prossimo anno, dipende tutto da come si evolverà questa situazione terribile che stiamo attraversando. Abbiamo enorme voglia di portarlo dal vivo, ovviamente, e non vediamo l’ora di farvi ascoltare i nuovi brani. 

Futura 1993 è il network creativo creato da Giorgia e Francesca che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro. Seguici su Instagram e Facebook!