“Non v’è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l’intervallo”, questa frase di Arthur Schopenhauer ci pare ideale per introdurre “I Mortali” di ColapesceDimartino (scritto unito, proprio così), pubblicato da 45 Records e, forse, la più importante novità discografica nel panorama italiano da molti mesi a questa parte.
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_di Mattia Nesto
Abbiamo voluto iniziare con la citazione del detto del filosofo tedesco e con una riflessione sulla valenza del lavoro dei due cantautori siciliani perché sin dai primi singoli, si è ben compreso come questa non fosse “un’operazione come tutte le altre”. Infatti, come ha confermato un pezzo quale “Rosa e Olindo”, questo non è solo un disco in cui due artisti si sono messi insieme a suonare e a comporre pezzi. No, molto di più.
Qui c’è stato, veramente, una commistione di amorosi sensi tra due animi consonanti, Colapesce e Dimartino che, si (ri)trovano talmente a meraviglia in questo disco da, talvolta, non farci ben comprendere “chi canti chi e quale strofa tocchi all’uno o all’altro”.
Eppure, con minimi esercizi di concentrazione, tutto si può tenere unito in questo “I Mortali” che, anche dal punto di vista della produzione artistica e musicale si attesta su un livello di qualità elevatissima. È un disco bello ma strano perché, alle volte, suona come un long play degli anni Settanta e poi, un attimo dopo, sembra essere stato scritto l’altro ieri. Questo scarto, che non è dissonante ma sempre consonante ai due artisti, si può ravvisare molto facilmente nella coppia di canzoni rappresentate da “Il prossimo semestre” e “Majorana”.
Non abbiamo scelto a caso la canzone d’esordio e quella di chiusura de “I Mortali” visto che ci sono utili, anzi utilissime per raffigurarci tutto lo spettro e la tavolozza di Colapesce e Dimartino, qui nei panni di “indagatori dell’animo umano” o, per meglio dire, dell’intrinseca mortalità dell’anima umano che, lungi dal voler rappresentare un limite è anzi un valore, una risorsa pazzesca che, in molti casi, non sappiamo sfruttare. Ecco perché su tutto il disco, come sulle canzoni poco fa citate, aleggia un’atmosfera al tempo stesso disimpegnata e impegnata. Quest’apparente contraddizione, infatti, è scritta e procurata volutamente dai due cantautori siciliani che è come se ci volesse dire: “L’essere umano è questo, prendere o lasciare. Può essere un truffatore e un poeta, un paladino e un assassino ma anche un animale con dei vestiti addosso e un pianeta con un cuore che pulsa”.
Spiegato quindi il motivo per cui tante canzoni, come ad esempio la bellissima “Noie Mortali” si concentrano anche sugli aspetti apparentemente più bassi e trascurabili della nostra mortalità. La noia infatti, noia non solo diventa occasione mitopoietica di costruzione di un immaginario ma, addirittura, sancisce la nostra patente di mortalità. Non si è mortali se non si prova noia dato che, l’eternità dei beati o la dannazione dei peccatori, le potremo avere non in questa vita, semmai in paradiso e inferno dove, giustappunto, saremo immortali. Forse, se proprio si dovesse muovere una critica, ovviamente costruttiva all’album, si potrebbe considerare il fatto di come, a livello proprio di consonanza fra canzoni, non sempre tutto funzioni alla meraviglia. Specie la prima parte del disco porta a qualche sconnessione interpretativa anche perché, almeno a nostro giudizio, la primissima canzone è in fondo un po’ quella più debole di tutte. Ma la qualità è talmente alta, a prescindere, che avercene di “scivoloni” così.
E così, assieme a graditissimi ospiti come Carmen Consoli, Colapesce e Dimartino ci accompagnano per una esplorazione del nostro animo umano, eleggendo quell’intervallo tra la nostra nascita e la nostra morte, ovvero la già ricordata mortalità, a sorta di dea pagana da omaggiare con i versi delle loro canzoni. L’idea del viaggio, mentre il Paese se non il mondo è fermo, in fondo, era molto stimolante per i due, come hanno confermato in questa dichiarazione: “Abbiamo pensato che far viaggiare la musica in un momento in cui siamo tutti fermi avrebbe avuto un valore simbolico”.
Lo ripetiamo ancora una volta: questo è un album importantissimo, non solo perché è proprio bello (basterebbe, da solo, il singolo “Luna Araba” per far vivere di rendita molto carriere cantautorali) ma anche perché permette a tutti quanti noi di rimetterci in carreggiata. Sarà di nuovo estate, magari un’estate diversa da tutte le altre, ma pur sempre un’estate. Ci saranno amori, delusioni, pomeriggi di noia, mattine di sole e notti di spasmi. Esatto, avete capito: è tornato il tempo della nostra (in)perfetta mortalità.