[INTERVISTA] Alla scoperta di nuove medicine con giovani medici: l’Osteopatia? Il futuro è nella prevenzione

Sono tante le professioni sanitarie che sentiamo nominare, alcune più spesso altre meno, ma delle quali sappiamo poco o niente. Cosa curano? Quanto ci si può fidare? Per rispondere a queste domande nelle prossime settimane intervisteremo alcuni giovani professionisti della sanità, per scoprire più da vicino usi e caratteristiche della loro specialità.


_di Elena Fassio

 Iniziamo con l’osteopata Valeria Ollino, classe 1994, laureata alla Scuola di Osteopatia Italiana di Torino nello scorso novembre.

Partiamo dalle basi: che cos’è l’osteopatia?

È una medicina olistica sviluppata nella seconda metà dell’Ottocento dal chirurgo statunitense Andrew Taylor Still. L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) la definisce “disciplina che si affida al contatto manuale per effettuare diagnosi funzionali e trattamenti”.

In effetti i principi dell’osteopatia sono proprio questi: il corpo umano è un’unità dinamica in cui tutte le parti sono interconnesse. Tutte le parti del corpo hanno una funzione precisa e influenzano l’insieme. Il ruolo del terapeuta non è propriamente quello di guarire, ma di agire sulle cause della disfunzione. In pratica diamo la possibilità al corpo di tornare al suo stato ottimale, ma anche il paziente ha una parte attiva in questo processo. Per farlo manipoliamo gli apparati muscolo-scheletrico, viscerale, cranio-sacrale e indirettamente il sistema nervoso e cardio-circolatorio.

Hai usato la parola “manipolare”: come si svolge un trattamento osteopatico e che differenze ci sono con la fisioterapia?

Dico “trattamento manipolativo” perché l’osteopata usa solo le mani per la valutazione del paziente e la diagnosi, mentre il fisioterapista può avvalersi anche di strumentazioni. Quando tratto un paziente vado alla ricerca della disfunzione somatica, un segmento corporeo che non lavora al meglio inficiando tutto il sistema. I parametri per individuare la disfunzione somatica sono: un alterato range di movimento, l’asimmetria tra distretti, la dolorabilità (dolore al tocco), il cambiamento di densità dei tessuti.

Mentre la fisioterapia è una specialità riabilitativa, per esempio dopo una frattura o un evento traumatico acuto, l’osteopatia nasce come medicina preventiva: finito il percorso fisioterapico il paziente può rivolgersi all’osteopata per ristabilire l’equilibrio funzionale tra distretti corporei. Un esempio: dopo una distorsione di una caviglia il paziente può presentare problematiche di appoggio degli arti inferiori o vizi posturali che inevitabilmente avranno ripercussioni a livello della colonna vertebrale fino a sviluppare possibili dolori nel tratto lombare e cervicale. L’osteopata ristabilisce l’equilibrio d’insieme.

Per quali problemi quindi è utile rivolgersi a un osteopata e a che età?

Per problematiche dell’apparato muscolo-scheletrico (dolori muscolari e articolari, cervicalgie, lombalgie, colpi di frusta) per problematiche dell’apparato viscerale (disturbi intestinali, della digestione, stitichezza, dolori mestruali, reflusso gastroesofageo) e per disturbi della sfera cranica (emicrania, stanchezza cronica, vertigini, disturbi temporo- mandibolari).

Le manipolazioni sono utili in tutte le fasce d’età, dai neonati agli anziani. Come ho detto, però, l’osteopatia nasce come medicina preventiva: è particolarmente utile perciò se un percorso viene iniziato e mantenuto fin dall’età dello sviluppo, quando il corpo subisce diversi cambiamenti, ma è il periodo in cui il sistema corporeo possiede una certa plasticità e risponde in maniera ottimale agli input dati nel corso dei trattamenti osteopatici.

L’osteopatia non prevede l’utilizzo di farmaci e agisce sulla causa della disfunzione, non sul sintomo. Se un paziente si presenta con una problematica, questa si può risolvere con 3 o 4 trattamenti ravvicinati nel tempo, ma è altrettanto importante stabilire un iter terapeutico che preveda una certa continuità nel tempo, ogni due mesi circa. Purtroppo, la mentalità della prevenzione non è ancora molto diffusa, soprattutto in Italia: preferiamo pensare che vada tutto bene finché non si manifestano sintomi gravi.

L’anno scorso l’approvazione del ddl Lorenzin ha aggiunto la medicina osteopatica alla lista delle professioni sanitarie. Qual è la situazione legislativa attuale? Come e perché si diventa osteopati?

Attualmente l’associazione italiana Scuole di Osteopatia, il Registro degli Osteopati Italiani e una commissione del Ministero della Salute si stanno confrontando per definire le linee guida per uniformare il percorso formativo e vagliare le modalità di equipollenze dei diplomi precedentemente ottenuti. La Scuola Italiana di Osteopatia, che io ho frequentato a Torino, da questo punto di vista garantisce una formazione di qualità: ha una durata di 5 anni a tempo pieno come l’università statale e unisce lezioni pratiche e teoriche seguendo i più alti standard di formazione in osteopatia.

Fin dal terzo anno gli studenti seguono tirocini nella clinica adiacente, dove trattano i pazienti in prima persona supervisionati dai professori. Inoltre, la Scuola ha scelto la via del partenariato con una scuola francese, la C.e.e.s.o. di Lione, importante centro francese, dove l’osteopatia è già pienamente integrata nel sistema sanitario.

La speranza è che si vada anche in Italia nella direzione della multidisciplinarietà, per prendere in carico il paziente a 360° integrando il lavoro di diversi professionisti.

Per ulteriori informazioni contattare il 334/7114496 o scrivere a ollino.osteopata@gmail.com