Abbiamo esplorato in lungo e in largo l’esclusiva Sony di primavera. Ce ne siamo innamorati, in alcuni punti ci siamo arrabbiati e poi abbiamo capito: questo è l’essere umano.
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_di Mattia Nesto
Days Gone è stato in sede di comunicazione una vera e propria “mosca bianca”. Già perché, considerando che siamo di fronte ad un’esclusiva di Sony Playstation, difficilmente negli ultimi anni abbiamo avuto a che fare con un titolo che al momento del suo annuncio “pareva praticamente il contrario” di quanto poi, dopo oltre 40 ore di gioco successive alla sua realese , si è dimostrato. Infatti l’avventura avente per protagonista il biker Deacon St. John alle prese con un mondo devastato da un misterioso morbo e ormai ricolmo di “Furiosi”, ovvero orride creature nate all’indomani del “giorno del virus”, che si cibano di tutti ciò che incontrano lungo il loro cammino: ancora meglio nel caso si tratti di carne umana.
Proprio “il prologo” o meglio il setting di ambientazione aveva fatto aggrottare le sopracciglia ai più: “Ancora un gioco di zombie?”. Ecco, era proprio il pensiero di molti (se non di tutti), nei mesi successivi al primo trailer e, a conti fatti, negli ultimi due anni, considerando la mole di titoli epocali che sono usciti, ce ne si era un po’ dimenticato. Eppure Days Gone, sviluppato dallo SIE Bend Studio, ha continuato “dritto per dritto” la sua marcia, migliorando mese dopo mese. Infatti seguendo i costanti aggiornamenti che Sony e il team di sviluppo ci fornivano, l’hype intorno a Days Gone aumentava così come cresceva anche la sensazione di essersi, fondamentalmente, sbagliati: no, Days Gone, non è solo un gioco di zombie, ma è un’avventura profonda e drammatica con protagonista un uomo messo davanti a eventi titanici che lo porteranno a rincorrere il sogno sfuggente e perduto del proprio amore, ovvero Sarah Whitaker.
Ecco, proprio questo è il nocciolo della questione: Days Gone è un gioco sul viaggio, sul viaggio di un uomo alla ricerca non solo della propria salvezza ma anche del proprio amore. E non siamo di fronte ad un viaggio, come ad esempio God of War, “più mentale che fisico” ma a qualcosa di molto concreto: infatti la meccanica survivor si inserisce perfettamente nella narrativa del gioco, fattore questo da tenere in considerazione in relazione all’ideale voto che si può dare all’esclusiva Sony. Infatti se è evidente come Days Gone non sia uno di quei titoli “che riscrivono le leggi del medium” (non sono mai state queste le sue intenzioni) siamo davanti ad un ottimo gioco che setta una standard di qualità: ovvero è l’esatta dimostrazione di come si possa realizzare un titolo open-world-survivor-zombie senza tracimare nella più gretta ovvietà.
E dire che il rischio era altissimo (quel rischio che si sentiva chiaramente a fior di pelle nei primi mesi dell’annuncio) ma che invece il team di sviluppo ha saputo, efficacemente, “debellare”. Diciamolo chiaramente: è bello, bellissimo perdersi nelle lande e nei boschi di Days Gone, con un protagonista certamente coraggioso e impavido ma non la classica “macchina da guerra”. Nel videogioco le risorse a disposizione del nostro protagonista sono poche, così come poche sono le munizioni per le nostre armi: potremo sicuramente metterci a sparare all’impazzata per maciullare Furiosi e scacciare i malintenzionati lungo il nostro percorso ma, così facendo, ci ritroveremo molto presto senza neppure una pallottola. Ma anche le risorse per il crafting, ovvero il cibo e i materiali per costruire dei ripari di fortuna così come la benzina per la nostra poco saranno sempre “pochi” e quindi dovremo imparare di fare di necessità virtù, essendo oculati nella gestione delle risorse.
Ecco quindi che il gameplay di Days Gone, anche per le componenti stealth (utilissima specie quando occorre “liberare” degli avamposti nemici), si fa stratificato e molto ricco, dando la possibilità al giocatore tutta una serie di scelte multiple, e di approccio e di gestione dell’inventario, davvero molto interessanti. E poi siamo di fronte ad un’esclusiva Sony e quindi è chiaro come dal punto di vista della trama il livello sia alto. Certo, non siamo ai livelli dei tripla A degli ultimi anni ma tralasciando questi “mostri” Days Gone si attesta su un livello ottimale e l’avventura, rigidamente pensata per il single-player, conquista e porta ben presto il giocatore ad immedesimarsi con il protagonista.
Per quanto riguarda i Furiosi e, soprattutto, le orde (vero e proprio marchio di fabbrica dei giochi sugli zombie) sono di solito ben gestite e vedere centinaia di infetti riempire, all’improvviso, le vie di un paesino in mezzo alle montagne è certo un momento che il giocatore non scorderà. Poi è chiaro, non tutto funziona alla perfezione in Days Gone. Tralasciando l’intelligenza artificiale (per la next gen, ormai, si chiede soprattutto questo: un miglioramento della IA, ancora ferma ai livelli della sesta/settimana generazione videoludica), sorprende come i controlli della moto siano ancora abbastanza legnosi: infatti più volte ci è capitato di preferire un’esplorazione a piedi delle aree di gioco, sicuramente più lenta di quella fatta in sella alla nostra “amica su due ruote) ma anche più intuitiva e immediata. In alcuni punti la trama mostra il fianco a qualche critica, specie nel rapporto con gli npc del gioco e in generale con gli altri esseri umani.
Tuttavia, lo ribadiamo, Days Gone è molto ma molto bello e davvero godurioso da giocare: e per un titolo con una mappa così ampia, un ambiente così immersivo (e rispondente alle diverse condizioni climatiche, come ad esempio il fatto che, quando piove, i Furiosi diventino più forte) e uno shooting efficace, la giocabilità, in fondo, è (quasi) tutto. Quindi sì, le avventure di Deacon in sella alla sua moto non ce le scorderemo per un bel po’. E ogni riferimento a World War Z è, forse, non voluto!