[INTERVISTA] Samuele Spallitta si racconta: dagli esordi al “Family Night Show” al Jazz Club

La voce profonda di Samuele Spallitta fa il suo ritorno nel panorama musicale con un “Family Night Show”, in quella che è la sua prima volta al Jazz Club di Torino. Dopo le prime esperienze a teatro, passando per the Voice of Italy e la band elettronica Lips’ Aroma, il giovane artista è pronto a cavalcare il tempio torinese del jazz con una grande famiglia di artisti. In quest’intervista ci racconta della sua voglia di fare musica, la sua musica.

_ di Valentina Borla

Jazz Club di Torino, 1° aprile. Sono le 23:05 di un lunedì sera qualunque, eppure al Jazz Club si percepisce un’atmosfera unica, di festa. Samuele Spallitta è evidentemente emozionato, non sta più nella pelle. Sono tutti lì per sostenerlo nel giorno del suo debutto come solista sul palco del Jazz Club. Non sarà da solo: suoneranno sul palco con lui delle vere e proprie pietre miliari della musica jazz, musicisti di alto calibro lo affiancheranno in quest’esperienza, così come i colleghi con cui ha avuto il piacere di collaborare in questi anni di musica, di arte, di condivisione. Con Alp King – e altre voci fenomenali – la serata sembra già partire con il botto, grazie anche al calorosissimo pubblico, che fa sentire tutto il suo affetto a Samuele.

A luci spente, una volta sceso dal palco e metabolizzato il tutto, ci facciamo una chiacchierata con lui per capire, a caldo, quali sono le sue emozioni e qual è stato il percorso che l’ha portato fino a qui.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica e perché proprio al jazz?

La musica mi ronza attorno da sempre, posso dire di essere praticamente nato con la musica! Arrivo da una famiglia di musicisti amatoriali: mia mamma cantava da ragazzina, mio nonno suonava la chitarra, mio zio suona la batteria. Mio fratello, anche se è più piccolo di me, ha iniziato a suonare la chitarra e mi ha trasmesso la voglia di sperimentare con la musica, tant’è che abbiamo iniziato a suonare insieme. Dopo le superiori ho iniziato a consapevolizzare di avere un qualcosa di particolare, un talento che forse fino ad allora non sapevo di avere perché ero troppo piccolo. Iniziando a cantare alle feste ho acquisito sempre più consapevolezza delle mie potenzialità. La mia famiglia mi ha anche avvicinato al genere musicale che tutt’ora sento più congeniale: dal jazz, al funky, al soul, al blues. Inevitabile…sono cresciuto tra i figli degli anni Sessanta! In casa ascoltavamo spesso Bob Marley, Ray Charles, Jackie Wilson, che sono tutt’ora i miti a cui guardo per le mie canzoni. Invece se devo citare dei nomi italiani direi sicuramente Pino Daniele e Lucio Dalla, perché, anche se c’entrano poco con la musica black, sono due modelli per me, soprattutto per quanto riguarda il loro modo di scrivere e di fare musica.

Ci siamo un po’ informati sul tuo percorso precedente e abbiamo scoperto che sei stato un concorrente di The Voice of Italy: parlaci un po’ di quest’esperienza. Com’è lavorare con Riccardo Cocciante?

A dire il vero mi sono trovato in questa realtà dal nulla, perché non stavo cercando il provino. Cantavo, facevo musica, ma non ero interessato al casting in televisione. È stata mia madre a convincermi a partecipare. Poi di lì è iniziato tutto: ho fatto le prime selezioni, i primi provini. Ero più giovane di adesso e anche molto più insicuro, quindi ero scettico di potercela fare realmente. Quando sono entrato però è stato bello, perché avevo i riflettori addosso e non è una cosa che capita a tutti, infatti ero molto emozionato. Ho avuto modo di parlare con Cocciante e di vedere come lavora, anche se lavorava sempre con tutta la squadra e distribuiva il suo tempo tra tutti noi concorrenti. Aveva da dire un sacco di cose, e per un artista questo è fondamentale. Ci ha raccontato il vero percorso di un artista, i sacrifici che lui stesso ha fatto, le sue prime esperienze, facendoci capire che bisogna sudare per arrivare in alto.

Studio e disciplina o dote naturale: da che parte stai?

Io credo che la didattica e il perfezionamento servano all’artista per avere una base solida, a garantire un certo livello. È necessario anche essere autocritici e capire i propri limiti, per sapere fin dove spingersi oppure dove è meglio fermarsi. Collaborare con le persone giuste poi è essenziale: dove non arrivi tu, arrivano loro, è un continuo scambio a livello artistico, e questo è uno degli aspetti che mi piace di più della musica. Essere autocritici e collaborativi può solo servire a migliorarsi, a superare i propri limiti.

Il 1° aprile c’eravamo anche noi tra il pubblico per la tua prima esibizione al Jazz Club di Torino. Ci siamo chiesti: come nasce l’idea di un Family Show?

Quest’idea è nata perché erano due anni che non suonavo più con una band, infatti ho ripreso il mio percorso come cantautore solista. Quando si è trattato di uscire di nuovo allo scoperto, ho chiesto supporto a dei grandi professionisti che lavorano con artisti dal calibro di Willy Peyote, ma anche ad alcuni dei miei più cari amici che suonano da parecchi anni e sono conosciuti a Torino. Poi c’è il mio fratello più piccolo che, dal nulla, ha deciso di seguirmi in questa passione: a soli vent’anni non aveva mai suonato su palchi importanti, e sono felice di poter condividere i miei successi con lui. In più ho deciso di chiamare come ospiti altri artisti che conoscevo, per far conoscere il più possibile la mia musica e riprendere un po’ il genere che mi piace fare a 360°. Suonare con Alp King e altri grandi professionisti è stata una festa! L’dea era proprio questa: proporre qualcosa di mio e festeggiare insieme agli artisti che stimo. È stata anche una bella sfida, perché organizzare tutto non è stato affatto semplice, in più suonare di lunedì fa sempre un po’ paura, ma devo dire che abbiamo avuto una bellissima risposta, siamo rimasti entusiasti.

Al Jazz Club abbiamo avuto modo di sentire qualche tua canzone. Ti definiresti un cantautore?

Sì, mi piace definirmi così. Scrivo i testi in inglese e i primi giri di accordi. Poi per la musica solitamente mi faccio aiutare dai ragazzi della mia band, che hanno delle conoscenze musicali più tecniche rispetto alle mie, anche perché l’obiettivo è quello di confezionare un disco.

Una delle canzoni di tuo pugno era dedicata ai tuoi coinquilini. Com’è il rapporto con loro? Quest’esperienza ti ha dato modo di crescere anche sul piano artistico oltre che su quello personale?

Il testo di “Groove” è nato a cavallo di quest’esperienza. In parte l’ho scritto prima di entrare in casa, ma ho poi terminato di scriverlo mentre ero lì, insieme a loro. È un ambiente certamente molto vivace e molto stimolante. Abbiamo condiviso tante cose, dal fare la spesa, al bere insieme, al giocare a carte insieme, all’aiuto reciproco. Ho imparato molto da questo stile di vita, perché prima d’allora ho sempre vissuto con i miei genitori, quindi è stato davvero significativo, soprattutto perché ogni persona ha avuto un percorso diverso, ha avuto e ha una sua storia. Questa casa aperta a tutti, aperta a varie storie e volti, mi ha ispirato davvero molto, così ho pensato di dedicare loro una canzone anche perché mi hanno sempre supportato e sopportato molto. A volte provavo anche di notte, con lo stereo acceso o il pianoforte che suonava e io che cantavo, quindi è stato un piccolo castello dove ho costruito il mio percorso, quindi sì, mi ha arricchito molto.

Sappiamo che il tuo disco uscirà a breve, ci puoi svelare qualcosa?

Esatto. Dovrei terminare la registrazione a fine mese. Probabilmente sarebbe già pronto per giugno, ma spingerò per farlo uscire a settembre, perché è un periodo migliore- discograficamente parlando- per far uscire un nuovo album sul mercato.

Completa la frase: “il prossimo palco che vorrei cavalcare è…”

Il Blue Note a Milano, se devo rispondere così, a bruciapelo. Però vorrei perfezionarmi ancora un po’ prima.

Ultima domanda prima di congedarti: come vedi Samuele tra dieci anni?

In generale mi vedo fare ciò che mi piace fare. Mi vedo felice con la mia compagna, con più di un album alle spalle, con al mio fianco dei professionisti e, spero, famoso nel mio genere in Italia.

 

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