L’ambasciatore del jazz italiano nel mondo si esibirà questa sera al Jazz Club Torino, con Gianmaria Ferrario al contrabbasso e Francesco Brancato alla batteria.
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_di Roberta Scalise
Ambasciatore del jazz italiano nel mondo, vincitore del rinomato Umbria Jazz Festival e collaboratore di artisti del calibro di Chet Baker, Dizzy Gillepsie, Tullio De Piscopo e molti altri, il pianista Dado Moroni si esibirà questa sera al Jazz Club di piazzale Valdo Fusi (ore 21,30, 10€), affiancato da Gianmaria Ferrario al contrabbasso e Francesco Brancato alla batteria. Lo abbiamo intervistato per scoprire qualche curiosità a proposito della serata, del progetto e della sua carriera.
In primo luogo, qual è il Suo rapporto attuale con Torino e quali pensa siano i punti di forza, a livello musicale e artistico, di questa città?
Sono nato a Genova da genitori piemontesi ma, nonostante avessi suonato molte volte a Torino, lo avevo fatto sempre un po’ di corsa. Poi, dal 2010 al 2014 ho ottenuto la cattedra di pianoforte jazz al Conservatorio “G. Verdi” e ho scoperto la città a pieno. Mi è entrata subito nel cuore, come mi sono entrati nel cuore i miei allievi e i miei colleghi, con i quali ci sentiamo ancora frequentemente. In quegli anni, infatti, ho scoperto una Torino che, a dispetto di alcuni suoi aspetti apparentemente austeri, possiede una vitalità sociale e artistica straordinaria, ricca di proposte, innovazioni e menti fresche, oltre che di musicisti dal talento immenso. Sono stati, dunque, quattro anni fantastici, che porterò sempre dentro di me. E credo che proprio questa vitalità e la voglia di guardare avanti siano i veri punti di forza di Torino.
Per quanto concerne l’esibizione di questa sera al Jazz Club Torino: com’è nata la collaborazione con Gianmaria Ferrario e Francesco Brancato e quali sono filosofia e finalità del progetto?
Quando sono arrivato a Torino, Gianmaria aveva già terminato gli studi. Lo conoscevo ma, purtroppo, non avevo potuto seguire il suo percorso, anche se sapevo fosse un musicista di talento. Francesco, invece, è stato con me sin dall’inizio. Aveva 19 anni e possedeva già le qualità che un musicista deve avere: passione, predisposizione, volontà e curiosità. Insegnare a studenti come lui è bellissimo e gratificante, ed emozionante è osservarlo crescere come artista e persona.
Proprio Francesco, poi, mi chiamò lo scorso anno proponendomi di suonare con lui e Gianmaria, e io ho accettato con entusiasmo sia per la musica, sia perché suonare con i giovani dona linfa vitale. E, come furono generosi con me da ragazzino i maestri del Jazz a cui rompevo le scatole per farmi svelare i segreti di questa musica, così sento di dover condividere e trasmettere ciò che ho appreso per tenere viva la magia del Jazz stesso.
A proposito di giovani e Jazz: quale approccio consiglierebbe a chi volesse avvicinarsi a questo genere?
Non credo esista un approccio speciale per avvicinarsi a questa musica. Basta iniziare ad ascoltarla, magari partendo dai suoi esordi: Jelly Roll Morton, Louis Armstrong, Fats Waller, Duke Ellington, Count Basie, Ella Fitzgerald, Lester Young, Billie Holiday, Oscar Peterson, per poi lasciarsi portare via… Non è una musica “difficile”, come molti vogliono far pensare. È una musica che nasce dal popolo, coinvolgente, straziante, divertente, intensa: basta iniziare ad ascoltarla.
Riguardo, invece, ai Suoi, di esordi: sussiste un aneddoto o un ricordo peculiare cui è particolarmente legato e che avrebbe il piacere di condividere?
Circa 35 anni studiavo ancora Giurisprudenza e, al tempo stesso, cominciavo a esibirmi anche fuori dai confini e fui invitato dal grande Gianni Basso a suonare con lui e Dizzy Gillepsie, ad Asti. Ero terrorizzato, ma la voglia di suonare era più forte della paura e così accettai. Gillepsie, che solo guardandomi in faccia aveva compreso il mio stato d’animo, fu estremamente carino e gentile e fece di tutto per mettermi a mio agio. Io mi rilassai e devo ammettere che me la cavai piuttosto bene. Dopo il concerto, poi, Dizzy mi fece i complimenti e mi chiese che cosa facessi. Gli risposi che stavo studiando per una carriera avvocatizia. Lui, guardando mio padre – che mi aveva orgogliosamente accompagnato – esclamò: “Nooo, troppi avvocati in giro e pochi pianisti bravi! Devi suonare!”.
Detto da Gillepsie, convinse anche mio padre!
Infine, che cosa si augura per il futuro e quali saranno i Suoi progetti prossimi?
Mi auguro un futuro in cui gli artisti possano esprimersi liberamente e serenamente, in cui la musica e l’arte in generale possano riempire le nostre vite, perché sono proprio l’arte e la cultura i veri collanti della società. Quando pensiamo ai grandi paesi e alle cose per cui sono ricordati, noi ci riferiamo quasi sempre alla loro cultura: quando parliamo della Francia o della Germania, infatti, ci sovvengono Voltaire, Debussy, Bach, Beethoven, e non il Cancelliere Schmidt, la Merkel o Sarkozy!
Prossimamente, invece, sarò in tour in Italia ed Europa con un trio formato da Eddie Gomez e Peter Erskine, tra luglio e agosto, ma, nel frattempo, mi dedicherò anche ad altri progetti. Quello più grande, però, che non sono ancora riuscito a realizzare, è di suonare la musica che mi fa vibrare il cuore, con i miei musicisti preferiti: proprio come succederà stasera al Jazz Club!