[INTERVISTA] Suzy Randria: sulla scia delle Regine del gospel e del rhythm and blues

Considerata la “figlia spirituale” di talenti come Nina Simone, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Aretha Franklin e Tina Turner – le dive del gospel e rhythm and blues – e tra le migliori eredi del grande canto afroamericano, la cantante parigina ha ripercorso con noi le origini della sua passione musicale e alcuni suoi aneddoti di carriera.

_ di Roberta Scalise

Globalmente considerata la “figlia spirituale” di talenti come Nina Simone, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Aretha Franklin e Tina Turner – le “dee” del gospel e rhythm and blues – e tra le migliori eredi del grande canto afroamericano, la cantante parigina Suzy Randria – recentemente esibitasi al Jazz Club Torino di piazzale Valdo Fusi – ha ripercorso con noi le origini della sua passione musicale, soddisfazioni e aneddoti di carriera.

Com’è nata la tua passione per la musica, come ti ci sei avvicinata e quali sono i tuoi esordi?

La musica occupa un ruolo d’onore nella tradizione ancestrale e culturale del Madagascar, sia dal punto di vista orale, sia dal punto di vista dell’ascolto, ed è questo contesto che mi ha influenzato fortemente. Mio nonno, inoltre, era un uomo di fede, dunque i canti religiosi (tra tutti il gospel) hanno da sempre nutrito la mia famiglia. Mio padre, invece, come iniziazione all’educazione musicale, mi ha fatto ascoltare molti vinili delle star del soul degli anni ‘60, tra cui Otis Redding, Ben A. King e Aretha Franklin. A questo proposito, rimembro ancora gli aneddoti che lui mi narrava circa i piccoli e grandi musicisti che partecipavano alla realizzazione dei dischi stessi.

Questo l’incipit, sulla scia del quale ho, così, iniziato ad ascoltare a ripetizione i dischi di mio padre, mentre le mie orecchie si impregnavano di tali vibrazioni musicali in maniera inconscia. Nel frattempo, mio padre aveva messo in piedi anche un’orchestra da ballo, e io assistevo alle prove.

Da adolescente, poi, ho ampliato il mio amore per la musica partecipando a trasmissioni radio e piccole competizioni canore, nel bel mezzo della diaspora nera, per poi debuttare in Francia, in seguito agli studi di canto professionale e a esibizioni con numerosi gruppi e orchestre. Ivi, ho accompagnato sia coristi di “Vedettes”, sia star francesi (come Liane Foly nel varietà e Nicoletta nel gospel) e americane (come Carole Fredericks nel blues/gospel e Barbara Hendricks nel gospel), giusto per citarne qualcuna. E questo ambiente mi ha concesso di conoscere i vertici artistici nel contesto della produzione e della televisione. Tuttavia, è nel movimento della musica afro-americana che ho davvero trovato il mio posto, il quale mi ha messo in contatto con le mie autentiche radici musicali, spaziando dal gospel al soul, senza dimenticare il jazz.

Quali sono le tue principali fonti d’ispirazione musicale e quali quelle cui ti senti più affine?

Dal momento che il “virus” del soul e del r’n’b mi ha sempre “abitato”, ho sviluppato la mia conoscenza della storia musicale attraverso l’ascolto, impregnandomi dei grandi interpreti della Motown, della Stax Records e della Tamla Records, come Wilson Pickett, Martha e The Vandellas, The Staple Singers e Marvin Gaye. E, naturalmente, la storia e l’origine della musica afro-americana mi hanno appassionato profondamente.

Il jazz, invece, ha esordito nella mia vita più tardi. Un giorno, infatti, un pianista mi ha proposto un’esibizione di più giorni in un grande hotel, in occasione della quale il repertorio doveva essere composto per il 90% proprio da standard jazz. La mia curiosità mi ha permesso di applicarmi, con gioia, a questo finora inesplorato stile musicale, aprendo una nuova pagina sull’universo swing.

Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Diane Schuur e Rachelle Ferelle sono state, dunque, le mie fondamentali fonti di ispirazione, per la loro capacità di improvvisazione e la purezza delle loro voci, unitamente alle loro origini così prossime alle mie. In questo modo, mi sono ritrovata completamente immersa nel mondo jazz, coronazione del mio percorso musicale.

 

A proposito dell’esibizione al Jazz Club, invece, quali pensi siano i suoi punti di forza (a livello musicale, scenico e non solo)? Come definiresti, poi, la sinergia creatasi con gli altri strumentisti, sul palco?

L’incontro con la presentatrice, la maestra e cantante di jazz, considerata “The Swing and the Scat Woman”, Kristin Marion è stato magico. Una sera, quest’ultima è stata, infatti, invitata ad ascoltare musica in uno dei luoghi più belli di Marrakech, dove solitamente cantavo con un gruppo proponendo un repertorio jazz, soul, funk, r’n’b: ebbene, in questa occasione, Kristin è rimasta impressionata dal dinamismo e dalla voce di, come mi definì, “una piccola grande donna dall’importante presenza scenica”. L’indomani, costei è tornata con suo marito, il talentuoso pianista Philippe Martel, per fargli conoscere quanto avesse “scoperto” la sera prima, dando avvio ai primi contatti e discussioni artistiche. Qualche anno dopo, poi, io e Kristin ci siamo ritrovate a condurre una jam insieme nel sud della Francia, dando, così, avvio a uno stimolante sodalizio musicale, toccando, successivamente, città quali Annecy, Lione e… Torino: una delle più belle destinazioni per rinsaldare le emozioni createsi e il nostro rapporto.
Per quanto concerne, invece, i musicisti, questi si sono uniti nel corso degli anni: Philippe Martel al piano, Philippe Le Van alla batteria e il suo fratello gemello Christophe Le Van al basso.

Credo che la musica sia, prima di tutto, una vibrazione. La vibrazione dei corpi sonori è percepibile ed è rinvenuta fortemente dalle persone che si legano insieme sul palco: ognuno, infatti, è in ascolto dell’altro, e questo rinforza naturalmente i legami armonici, ritmici e umani. E il jazz, in questa cornice, è senz’altro il punto culminante, la passione di ciascun attore.

Come hai vissuto l’accoglienza torinese e quali sono le tue opinioni sul luogo? Ci sono aneddoti o ricordi particolari che avresti voglia di condividere?

L’incontro con Fulvio Albano è stato molto importante e arricchente: costui è, infatti, un personaggio carismatico, appassionato di jazz e meritevole di aver reso il Jazz Club un luogo magnifico per gli amanti della musica. La sua conoscenza jazzistica, poi, è incredibile, soprattutto perché acuita da un profondo legame d’amicizia con tutti gli artisti che hanno calcato quel palco, che io definirei “mitico”. E il cui pubblico è stato piuttosto caloroso: fin dalle prime note, infatti, gli applausi sono stati così fragorosi da far credere che tutto il mondo attendesse il nostro arrivo. Un pubblico, quindi, dedito all’ascolto di un’esibizione caratterizzata da una meravigliosa sinergia tra i fiati (sassofono e tromba) e magistrali assoli.

Suzy, tu sei stata spesso definita la “figlia spirituale” delle grandi interpreti del rhythm and blues: come vivi questo onore e onere?

Non lo considero affatto un fardello! Al contrario, è un grande onore poter vivere pienamente del mio talento: niente arriva per caso, e la musica è una passione che attraversa tutta la mia famiglia. L’eredità formidabile del soul, r’n’b e jazz può avere un impatto considerevole con il pubblico, a condizione di essere originali e sinceri con se stessi e di avere qualcosa da dire che sia accattivante e, soprattutto, autentico, perché amare i propri spettatori è un’arte.

Infine, quali sono i tuoi progetti futuri?

Nel prossimo futuro parteciperò ad album di alcuni artisti, tra cui il batterista del sassofonista Archie Shepp, Steve Mc Craven, per il quale ho scritto e interpretato alcuni brani, e inizierò a preparare il mio disco, con consapevolezza e tutta la sensibilità che sempre rivolgo al mio amore per la musica.

E magari, chissà, tornerò nuovamente proprio al Jazz Club di Torino: la rivelazione arriverà presto!