Il synth-soul dei Mangroovia

Groove e sintetizzatori con la band bolognese. I Mangroovia hanno reso “casa” la loro musica, attraversando l’Europa e il mondo in lungo e largo. Vi raccontiamo qualcosa in più su questo “viaggio sonoro” e sul loro nuovo EP omonimo. 

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_di Mattia Nesto

Vi siete incontrati nel 2015, quindi 4 anni fa. Come è andato questo fatale incontro?

I primi periodi in cui suonavamo non eravamo ancora formati definitivamente. Prima c’è stato l’incontro tra Vincenzo Messina  (batteria),Simone Pizzi (piano e Synth) e Vincenzo Destradis (voce). Suonavamo in trio per lo più nei locali Bolognesi come arrangiatori di brani Pop/Soul/R&B ecc… Ben presto si sarebbe aggiunto, per un breve periodo come secondo tastierista, alla prese con il bass Synth, Filippo Bubbico. Successivamente entra Vyasa Basili al basso che sostituisce Filippo così da formare i Mangroovia così come lo sono adesso.

Fin da subito avevate ben chiara l’idea di far musica oppure è stato un processo graduale?

Ognuno di noi ha un’ esperienza musicale pregressa, sia in ambito musicale sul piano generale, sia sul piano prettamente compositivo. Poter creare opportunità lavorative in questo ambito non è facile ma di certo questa condizione non ci sottrae dal renderci più responsabili e orgogliosi di poter un giorno ottenere una nostra posizione sul mercato. Da una parte c’è sempre stata chiara l’idea di far musica  originale al livello professionale: piuttosto direi che vi è stato un processo graduale all’interno del contesto compositivo. La cosa più difficile è trovare idee giuste, che funzionano e che successivamente mettendole insieme formino l’impalcatura di quello che siamo.




Quanto ci avete messo a registrarlo? Quali sono stati gli aspetti su cui avete insistito di più in sede di lavorazione?

Abbiamo impiegato all’incirca poco più di una settimana per registrare l’Ep. E’ praticamente la raccolta dei primi brani composti del primo periodo in cui suonavamo. Un aspetto su cui abbiamo insistito tanto è stato il “suono” da utilizzare per ogni strumento. In particolare la sezione dei sintetizzatori: noi non abbiamo la chitarra e questo ci obbliga a cercare sempre il suono più giusto per togliere certi vuoti che si possono venire a creare in un brano. Infatti registrare questo Ep in previsione di un album ci consente anche di capire questo aspetto. Ad esempio la strofa di Let’s turn around poteva essere riempita di più sulla frequenze medio alte.

Al livello di ascolti seminali?

Facciamo molto riferimento per lo più artisti internazionali  come Yatus Cayote, Thunder cat, J Dilla… Più nell’ambito Pop certi successi di Gotye, Farrel Williams, i Daft Punk… Ma in generale ascoltiamo veramente di tutto


Il groove conta molto per voi, o è la l’unica cosa che conta davvero?

Il groove conta molto sì, ma se è un elemento imprescindibile lo è anche in generale lo stile compositivo che adottiamo. Chi mette a punto le idee in generale sono Simone Pizzi e Vincenzo Destradis: si cerca di mantenere una linea di semplicità (inizialmente scrivevamo brani più complessi) ma al contempo si cerca di trovare spazio a certe armonie e riff che ci caratterizzino rendendoli il più possibile originali. Forse per noi la cosa che più conta è in generale l’idea giusta anche se spesso il lavoro fatto in sala prove quando poi tutti ci cimentiamo nell’arrangiamento del brano può fare veramente la differenza.

Ultima domanda su artisti emergenti poco conosciuti

In realtà ci sono artisti americani e non a cui facciamo riferimento che non hanno un seguito ancora molto importante. In Italia  ci sono alcuni artisti che seguiamo, ci vengono in mente ad esempio Filippo Bubbico in Italia insieme a Carolina sua sorella, una cantante molto in gamba. Poi ci sono da Bergamo i Vanarin con la loro vena indie Rock e poi anche gli Handlogic con le loro impronte folk ed elettroniche, talvolta ricordano i Fleet Foxes. All’estero vengono in mente i Floating Point o i Washed Out, per lo più musica elettronica.