[INTERVISTA] I Hate My Village: “Non chiamatela World Music ma musica libera”

I Hate My Village è il “supergruppo” nato dall’incontro di Rondanini (Calibro 35, Afterhours) – Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) con la partecipazione di Alberto Ferrari (Verdena) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle). Punto di incontro: la musica africana. Il tour del nuovo progetto è partito da pochi giorni e abbiamo colto l’occasione per fare due parole con Fabio Rondanini e Adriano Viterbini per entrare nel mood della band, tra suggestioni di terre lontane e ritmi tribali spinti fino alla psichedelia. 


_di Alessia Giazzi

Ok, le eccellenze nostrane vanno tenute strette, ma è quando sono libere di viaggiare e infrangere i confini musicali e sociali, di svincolarsi da filtri stilistici e lasciarsi contaminare da culture apparentemente distanti, che raggiungono un livello più alto. Prendiamo quindi le punte di diamante della scena alternativa italiana, già portavoce di sperimentazioni sonore fuori dagli schemi non solo in terra nostrana ma a livello internazionale e mescoliamole in un melting pot che attinge dalle sonorità africane di Bombino e Felakuti e dalle chitarre desertiche di Tinariwen e Songhoy Blues: quello che otteniamo è un progetto italiano coraggioso in cui si legge forte e chiara la volontà di aprirsi al resto del mondo. Fabio Rondanini e Adriano Viterbini ci hanno raccontato quali influenze e suggestioni hanno messo insieme l’insolito quartetto unito nel nome di I Hate My Village.

Che cosa accomuna i quattro elementi che fanno parte di I Hate My Village e cosa vi ha spinti a voler condividere un progetto musicale?

ADRIANO: Siamo tutti curiosi, ognuno di noi viene da una band, abbiamo più o meno la stessa eta’, quando i Nirvana suonarono in italia avevamo appena iniziato il liceo, c’è una forte stima reciproca… non so, ci sono tanti elementi che ci accomunano, ma ci stiamo ancora scoprendo. Abbiamo seguito l’istinto, io e Fabio ci siamo incontrati in una sala, strumento muniti, nel 2014 e dalla prima session avevamo intuito che i nostri modi di suonare si sposavano perfettamente, alla fine di ogni jam c’erano risate entusiasmanti e sguardi sorpresi. Poi registrammo “Tubi Innocenti” sul mio secondo album insieme a Marco Fasolo e ci trovammo talmente bene da volerlo con noi nella registrazione del disco. Quando abbiamo sentito l’esigenza di esportare la nostra musica nel mondo abbiamo pensato ad una voce, e quella che più ci emozionava è quella di Alberto [Ferrari], che ha portato il lavoro su un livello ancora più alto, magico.

«La musica africana è la musica del futuro si diceva qualche anno fa, ma in realtà è la musica del presente. Tante delle idee più fresche stanno arrivando da lì»

La musica africana è un’influenza centrale per I Hate My Village. Quali sono gli aspetti che più vi affascinano e quali artisti sono stati fonte d’ispirazione per voi?

FABIO: Credo ci abbia affascinato da sempre la grande libertà, la mancanza di schemi ed il potere celebrativo della musica africana. Ad  introdurci a questa musica come per tanti sono stati inizialmente tutti quei maestri che hanno sperimentato nuove sonorità mischiando tradizione ed occidente, vedi Fela Kuti o Ali Farka Tourè. In qualche modo sono riusciti a dirci per la seconda volta che la maggior parte della musica ha origini proprio lì. Nello specifico delle nostre influenze la West Africa. Non volevamo però fosse un disco di world music, non ne saremmo neanche in grado e non ci interessa. È un enorme “errore di pronuncia”, secondo noi molto divertente.

Per l’artwork della cover di I Hate My Village avete collaborato con l’artista romano Scarful arrivando a un risultato che ricorda fortemente le locandine dei film horror anni Settanta: da che tipo di iconografia siete stati ispirati?

ADRIANO: Volevamo qualcosa di grezzo, di brutto ma bello, di sbagliato ma impattante. Scarful è un artista libero, ci siamo seduti ad un tavolo e gli abbiamo parlato del progetto, da dove veniva il nome (“I hate my village” è il nome di un film horror africano) e di come la nostra musica fosse costruita, le modalità di registrazione, le influenze,  collaborazioni etc.. Poi ad un certo punto lui ci ha mandato le cover dei singoli ed in un secondo momento la copertina dell’album, boom!

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«Tanta musica elettronica si plasma con sonorità acustiche e semplici di strumenti africani. È un bene che tanta buona musica africana possa fare il giro del mondo e collocarsi in alto»

In “I Hate My Village” Alberto canta in inglese, allo stesso tempo il disco viene distribuito da LaTempesta International: gli indizi per un’apertura del progetto al panorama internazionale sembrano evidenti. Che tipo di diffusione pensate possa avere quest’album?

FABIO:  Stiamo lavorando per uscire anche all’estero, credo che possa essere un sound esportabile. In Europa molti festival hanno  come headliners band africane o band che giocano con quei linguaggi, c’è grande interesse da parte del pubblico.

Trovo che questo disco sia una dichiarazione piuttosto importante in un momento storico in cui le culture paiono allontanarsi invece che trovare punti di incontro. Per l’attuale situazione socio-politica nazionale e secondo la vostra percezione/esperienza come musicisti, la musica africana in Italia ha le potenzialità per raggiungere un largo seguito o rischia di restare isolata in una nicchia circoscritta?

ADRIANO: La musica africana è la musica del futuro si diceva qualche anno fa, ma in realtà è la musica del presente. Tante delle idee più fresche stanno arrivando da lì, la chitarra ad esempio ha trovato nuova linfa vitale grazie a band come Tinariwen, Terakaft, Tamikrest, Bombino, Songhoy Blues, etc etc… e tanta musica elettronica si plasma con sonorità acustiche e semplici di strumenti africani. Insomma è un bene che tanta buona musica africana possa fare il giro del mondo e collocarsi in alto. Poi è semplice ed immediata, quindi ha quello che serve.

Sia Fabio che Adriano hanno collaborato con Bombino e Rokia Traoré, per citare dei punti di incontro. Ci sono artisti che in futuro vi piacerebbe coinvolgere in I Hate My Village?

ADRIANO: I Hate My Village è un luogo dove potersi incontrare e costruire buona musica, per noi, per la gente, con amore. Ovviamente ci sono tante collaborazioni che vorremmo sperimentare e succederà. Ma se devo dirla tutta, con questa band ho esaudito gran parte dei miei sogni riguardo collaborazioni. Ora abbiamo un tour da fare e siamo completamente concentrati, sarà uno show bellissimo!

Tutte le date del tour di I Hate My Village

02/02/2019 Roma – Monk
14/02/2019 Bologna – Locomotiv
15/02/2019 Brescia – Latteria Molloy
16/02/2019 Pordenone – Capitol
21/02/2019 Rivoli (TO) – Circolo della Musica (ex Maison Musique)
22/02/2019 Carpi (MO) – Kalinka
23/02/2019 Montemarciano (AN) – Klang Festival
27/02/2019 Milano – Santeria
22/03/2019 Bergamo – Druso
23/03/2019 Foligno (PG) – Supersonic