Dischi giudicati dalla copertina: i nostri artwork preferiti del 2018

Opere d’arte stampate su disco: Andy McFly – illustratrice torinese e collaboratrice di OUTsiders webzine – ci racconta delle copertine che l’hanno colpita di più in questo 2018.  

 –
_di Andy McFly

Una carrellata di artwork dal quale è difficile staccare gli occhi.  Giudichiamo (dal)la copertina in senso stretto, dando comunque due coordinate musicali sui dischi prescelti, quasi tutti – fortunatamente – interessanti anche nel loro contenuto.

 

MALPHINO – “VISIT MALPHINO”

Nel 2018 c’è stato un ritorno alle radici da parte di molte band che hanno deciso di incentrare il loro sound in ritmi esotici e poco conosciuti, come ha fatto la band sudamericana Malphino.  Hanno un sound unico, allegro, colorato e soprattutto tradizionale che fa sognare all’ombra di un’immaginaria palma, una terra inesplorata dal nome Malphino. Questa terra è un’isola che non esiste, sperduta nel Mar Pacifico, rigogliosa e colorata, incontaminata e lussureggiante dalle gigantesche strutture ad arco in pietra color porpora accarezzate dalle onde viola e salate dell’oceano in cui si riflette la montagna altissima che accende il sole, sfera rossa fuoco che cala e sorge ogni giorno in questo posto magnifico che è Malphino. Guardatela, sarebbe da farci un poster e appenderlo in ufficio per ricordarci che la fantasia è una delle qualità migliori dell’uomo e che questi musicisti l’hanno utilizzata tutta per donare al mondo uno dei dischi più interessanti del 2018. 

ARCTIC MONKEYS – “TRANQUILITY BASE HOTEL AND CASINO”

 Stavolta gli Arctic Monkeys sono tornati dagli anni ’70 con i pantaloni a zampa e gli stivali, con le giacchette a stampe optical e i capelli impomatati e hanno un sound nuovo, suonato divinamente. Il progetto dell’album non si limita all’album o al sound, la band di Alex Turner ha portato ad un altro livello l’oggetto e il concetto, diventando così un lavoro davvero notevole al di là dei gusti musicali. Partendo dall’idea di un hotel estemporaneo, una sorta di luogo in cui la band si è rifugiata e nel quale ha potuto parlare del mondo di oggi guardando da lontano: Donald Trump, i socials, la tecnologia, le stelline sulle recensioni dei locali, citati come solo Turner sa fare: “Dance in my underpants, I’m gonna run for goverments”; “I put a taqueria on the roof, it got great reviews: 4 stars outta 5”.  Tutto il processo di registrazione delle tracce è stato documentato da Zackery Michael fotografo americano che è anche l’ideatore (insieme a Turner) della cover: il plastico in legno del Tranquility Base Hotel and Casino che si erge su di un registratore d’epoca, in un’atmosfera direi, caravaggesca in cui le figure si stagliano dal nero dello sfondo. Il plastico pare sia stato progettato da Turner che ha anche ispirato l’idea dei video girati in delle strutture illuminate al neon (per strizzare l’occhio alla modernità) ed immersi in tappezzerie old shcool in pieno stile col mood del disco. Il font, inoltre è unico, studiato prendendo spunto dai pattern regolari degli anni ’70. Piccola chicca: nel fronte è presente solo il nome dell’album e guardandolo potrebbe sembrare un libro sull’architettura o una storia inventata su un hotel, qualsiasi altra cosa al di fuori di un album musicale. 

JACQUES GREENE – “FEVER, FOCUS”

Jacques Greene è sicuramente uno degli artisti più entusiasmanti e geniali degli ultimi anni della house music: con il suo immaginario ha dato un’altra definizione al modo di concepire la musica elettronica, rendendola più profonda ma allo stesso tempo accessibile e di facile rappresentazione anche per i non amanti del genere. Dalle cover ai video musicali per arrivare infine ai visuals durante i live, sembra tutto parte di un micro cosmo dell’artista che oltre ad avere un’estrema inclinazione estetica, ha una sensibilità particolare che lo spinge a cercare collaborazioni con artisti visuali altrettanto sensibili ed innovativi.

La cover dell’EP “Fever, Focus” è a cura di Braulio Amado, graphic designer portoghese trasferitosi a NY per lavoro e dove ha iniziato la sua scintillante carriera nella Pentagram per poi arrivare ad essere Art Director nella Bloomber Business. Vincitore di molti premi per l’illustrazione e molto richiesto nel panorama delle gallerie, è sicuramente un’artista pieno di risorse. Ha spesso lavorato nel settore musicale  producendo covers ma soprattutto locandine dei concerti e dei festivals.

Per Fever, Focus, realizza una cover dal design mai visto: il nome è spezzato a metà si dovrebbe leggere partendo dalla metà di destra per finire in quella di sinistra per comporre nome dell’autore e titolo dell’EP. In basso ci sono due fiori piegati a ponte quasi plastificati ma che mantengono i colori vivi della natura, oggetti che ritroviamo in tutte le cover singole dei brani e anche nei video musicali dell’EP, vi avevo detto che Jacques pensa a tutto?! Insomma è sicuramente un sodalizio di grande ispirazione questo tra Jacques e Braulio: speriamo di vederli collaborare ancora nel futuro.

BLOOD ORANGE – “NEGRO SWAN”

Orgoglio, vergogna, depressione, lotta per i diritti LGBQT+, la popolazione nera in America e nel mondo, sono alcuni dei temi che tratta ormai dal 2011, da quando ha iniziato a comporre e scrivere sotto il nome di Blood Orange. La copertina rappresenta un ragazzino con la pancia scoperta, molto probabilmente queer, seduto sul finestrino di un auto con delle ali finte bianche sulle spalle, guarda in camera con la testa appoggiata sulla macchina, disarmato e disarmante nella dolcezza e nella languidità del suo sguardo di questo cigno, che percorre i quartieri di New York seduto su una macchina.

Credo sia una delle immagini più potenti viste tra gli scaffali dei negozi di dischi nel 2018. Più urgente che mai una foto del genere nell’era Trump, in un paese che ancora oggi, dopo decenni di lotta alla discriminazione nera e alle lotte per i diritti della comunità LGBQT+ si vede diviso, completamente spaccato in due tra violenze e attivismo. In America come nel mondo, l’attivismo di genere si sta facendo strada ed è bello vedere musicisti ed artisti parlare di questi temi.

THE CARTERS – “EVERYTHING IS LOVE”

Nell’estate 2018 Beyoncè e JayZ sotto il nome d’arte di The Carters, fanno uscire un album intitolato “Everything is love” senza nessuna pubblicità o hype, preceduto solo dall’uscita di uno dei video più chiacchierati di quest’anno per la traccia APES**T. Video finito al centro di chiacchiere positive e negative per esser stato girato al Louvre di Parigi.

Pagando una cifra pari a 17.000 $ solo per l’affitto del museo, hanno costruito un’opera compatta e molto comunicativa in un ambiente impregnato di storia riuscendo a integrarla, impastandola astutamente nella contemporaneità delle loro coreografie e delle loro performances. Uno dei portavoce della struttura ha confermato che i due artisti hanno presentato un progetto talmente rispettoso nei confronti del museo da non poter essere rifiutato.

Le opere d’arte visibili nel video, diventano quindi potenti metafore. Pensiamo per esempio al Ritratto di Madame Récamier, una ricca matrona bianca con ai suoi piedi due ballerine di colore, idealmente simboleggianti due schiave, “La Zattera della Medusa” di Théodore Géricault, come simbolo di deriva umanitaria, il Ritratto di una donna di colore di Marie-Guillemine Benoist, rappresentazione black power al femminile,  per arrivare al ritratto più famoso del Louvre e del mondo: La Gioconda.

Il ritratto di Da Vinci compare nel video ed anche nella cover, di sfondo e sfocata. In relazione alla compostezza e alla beatitudine che emana la Gioconda, una scena altrettanto unica e beata nella sua quotidianità, una scena appartenente alla cultura black che rappresenta una donna che pettina i capelli ricci ed increspati di un ragazzo seduto che guarda dritto in camera, dimostrando un senso di orgoglio ed appartenenza nei confronti della sua cultura. I due artisti hanno avuto un’idea geniale. Nessuno prima d’ora si era spinto così lontano (non può essere solo una questione di budget…) ma i due hanno davvero posto l’asticella in alto.

U.S. GIRLS – “A POEM UNLIMITED”

Disco uscito i primi mesi del 2018, dal gusto retrò di un’America ormai perduta, che non appartiene a questi tempi, ma che ha ancora qualcosa da dire. Disco amabile, leggero e boogie dalle mille sfumature, quest’ anno U.S. Girl, nome d’arte di Meg Remy, ha affrontato l’anno mettendo su una band di tutto rispetto che suona divinamente nei live. La cover è un bellissimo crop di una foto ritratto del fotografo Colin Medley che ritrae Meg con i suoi occhioni blu lacrimanti che sembra fissare il vuoto avvolta da una luce tenue contrastata dai rossi del volto e l’azzurro dello sfondo.

La foto originale è stata manipolata dalla stessa Meg, per farla apparire retrodatata e quasi un dipinto iper-realista, che ricorda anche una vecchia fotografia o addirittura una pubblicità dell’America nel boom economico. Come ha confessato la stessa cantante, “la cover è stata un processo” ossia è stata scelta tra molte altre foto manipolate, per arrivare a questa come definitiva. Il design è semplice, il font è accattivante e pulito: “U.S. Girls in A Poem Unlimited” suggerisce l’idea di un copione di Hollywood in cui U.S GIRLS recita in questo musical interamente scritto e prodotto da Meg.

SHAME – “SONGS OF PRAISE”

Tra le novità di quest’anno ci sono gli Shame, band pop punk dei sobborghi londinesi di cinque ventenni carichi ed arrabbiati, ma “amorevoli” a loro modo, che cantano del mondo di oggi della politica avvilente della Brexit in maniera sfacciata ed unica ricordando i Sex Pistols in chiave contemporanea. Solo in un anno hanno fatto uscire un disco, suonato 160 show, girato praticamente tutto il globo riscontrando molto successo ed è inutile dirvi che sono veri e propri animali da palcoscenico. Come confessa il cantante Charlie in un’intervista, l’album è stato registrato nella campagna londinese in sei giorni.  La copertina scattata da Holly Whitaker fotografa di band e live show in Londra. Come i loro brani, è poco pretenziosa, nel loro stile sfacciato ed easy, nel quale i cinque musicisti si stringono l’uno all’altro tenendo in mano dei maialini. Un’immagine dolce e tenera in contrapposizione alla musica, un vero chiasmo tra immagine e sonoro che calza a pennello con la loro identità di band unita, cazzuta e, in un certo senso, anche spensierata.

IDLES – “JOY AS AN ACT OF RESISTANCE”

Uno tra gli album musicali più potenti di quest’anno. Gli Idles sono una band di Bristol destinati a cambiare per sempre l’idea di machismo, ancora incarnato in alcuen rock’n’roll band, un po’ come sta capitando in quasi tutto il mondo dell’arte. Tra chitarre rosa pastello, baci sul palco, vestiti colorati a stampe, guidati da inni del tipo: “I kissed a boy and I liked it”, gli Idles riescono comunque a portare sul palco la vera idea di punk restituendo sonorità pungenti, vocalità acide e testi contro il sistema a cui loro aggiungono una presenza scenica dirompente. La cover è un chiasmo iconografico del titolo: “Joy As An Act Of Resistence” che si traduce in dei signori in un ambiente pubblico si prendono a cazzotti mentre tutti cercano di dividerli durante quella che potrebbe essere una festa. Questa sembra essere la tenenza violenta a cui sta andando in contro l’umanità, l’uno contro l’altro, al quale gli Idles aggiungono il titolo come se fosse un mantra tauato nel cuore, un’idea controcorrente a quello che vediamo e viviamo in questo lungo periodo di tensioni.

A me, ha ricordato le scene che ultimamente abbiamo visto nei parlamenti italiani ed esteri, prove di disumanità spesso guidate da un bieco interesse personale. Sicuramente usano la satira e decidono volutamente di accostare immagini contrapposte al senso dell’album e della loro filosofia, per dimostrare ma soprattutto per spingere gli ascoltatori a decifrare ciò che ormai abbiamo preso come normalità. Il design è degno di nota: quel “Joy” scintillante figlio di una cultura superficiale, glitterato sbattuto in faccia a tutti: niente di più, nessun titolo, nessun nome della band. JOY vs tutti.

GENGAHR – “WHERE WILDNESS GROWS”

Band al maschile indie-pop del Regno Unito, quest’anno si presenta al mondo con “Where The Wildness Grow” album rilassato ed amabile, dal gusto teen ma non particolarmente esuberante. L’artwork dell’album, però, gode di un appeal unico. Tutta la loro comunicazione “artistica” sui socials è curata dal bassista del gruppo, Hugh, che con pennellate veloci e molto pop dipinge sulle foto e crea i volantini dei tour. Per la cover, invece, ha utilizzato la foto di un suo dipinto in cui s’intrecciano steli d’erba, nati da pennellate veloci, colorate ed espressive. Il tema è ripreso nel titolo e nell’artwork: Wilderness, infatti, è un’idea di immaturità e naturalezza che deve esser seguita e spronata nella crescita spontanea per rivelare il meglio, per donare al mondo il suo frutto.  Davvero un bell’artwork, un bel dipinto in cui è possibile riconoscere ancora la freschezza istintiva. Una composizione fresca e istintiva, che merita di essere inserita nel lotto delle più interessanti del 2018.