[INTERVISTA] La luce di fuori. La poesia di Giulia Rusconi al Ponte sulla Dora

Giovedì 22 novembre, presso la libreria Il Ponte sulla Dora, il gruppo “Sul Ponte diVersi” ha ospitato la poetessa Giulia Rusconi sulle sue diverse pubblicazioni. Il dialogo in merito alla sua poetica è sfociato in una sorta di intervista collettiva tra lei, noi di OUTsiders webzine ed il pubblico in sala. 

_ di Beatrice Brentani

Un altro incontro ben riuscito: dopo Mario Baudino, il secondo ospite di questa nuova stagione di appuntamenti poetici al Ponte sulla Dora è stata la poetessa Giulia Rusconi.

Vi abbiamo già parlato di loro: Sul Ponte diVersi è un collettivo formato da giovani appassionati di poesia. Tutti e quattro – Riccardo Deiana, Federico Masci, Jacopo Mecca e Francesco Perardi – provenienti da percorsi quotidiani diversi tra loro ma accomunati dallo stesso amore per la parola poetica. Qui, se volete leggere qualcosa di più.

Prima di iniziare a parlarvi dell’incontro e delle domande che sono state fatte alla poetessa, vi ricordiamo il prossimo appuntamento con il nuovo ospite, Matteo Marchesini, che si terrà sempre presso la libreria Il Ponte sulla Dora il 6 dicembre alle ore 18.

Veneziana di origini, è nata nel 1984 e si è laureata in Lettere Moderne. Le sue poesie sono uscite in varie riviste e antologie, cartacee e on line, tra cui «AbsoluteVille», «l’Immaginazione» e «clanDestino». La raccolta Distanze ha ottenuto il primo premio Teglio Poesia 2012 per la sezione Under 40 in italiano. Parte de L’altro padre ha vinto il primo premio Poesia Giovane 2011 di Fiume Veneto (Pn) ed è inclusa nell’antologia La generazione entrante. Poeti nati negli anni Ottanta (Ladolfi ed., 2011). Il suo primo libro è uscito con il titolo I padri per Ladolfi nell’autunno 2012. Il secondo, Suite per una notte, è del 2014, edito da PordenoneLegge-Lietocolle. Per il testo Quando la gente, pubblicato nella rivista Nuovi Argomenti (giugno-luglio 2013), le viene conferito, in una prestigiosa cerimonia a Kazan in Russia, il premio di poesia italo-russo “Bella” nell’anno 2014. Nel 2015 è finalista, con Fabio Pusterla e Franco Buffoni, del Premio Castello di Villalta.
Giulia ha partecipato ad alcune iniziative di promozione pubblica della poesia: oltre alle letture in spazi di diversa natura, collabora anche da molti anni a pordenonelegge.

Nel 2017, Amos edizioni pubblica la sua più recente raccolta poetica, Linoleum.

Leggiamo, su Rai News:

Linoleum si muove tra i muri di un ospedale, tra pazienti e infermieri, relazioni e gesti che si ripetono giorno dopo giorno. Le cose in corsia sono esattamente quel che sono: il camice è la divisa di lavoro, non una visione salvifica; lo xanax un medicinale, non la pastiglia per la felicità. Rusconi affronta di petto l’ovvietà e la banalità del quotidiano, rinuncia alle sovrastrutture, portando l’attenzione sull’emergente, su chi ci sta davanti. Ogni verso di Linoleum porta in sé qualcosa di essenziale, di tenacemente vivo sotto le macerie dei corpi.

 


Veniamo all’intervista al Ponte sulla Dora: un mix di domande poste a Rusconi sia dai ragazzi del gruppo Sul Ponte diVersi, sia dal pubblico, sia da OUTsiders.

 

Si è parlato, in primis, di quello che è il contenuto primo di Linoleum, che già l’articolo uscito su Rai News ci ha chiaramente esposto: la condizione o esperienza ospedaliera, giudicata come situazione al limite della possibilità della sua narrazione, del suo farsi parola scritta.

Come si può, in fondo, parlare di malati se non si è malati? Di cosa, in fondo, si vuole raccontare, in questa raccolta?

Giulia ha risposto parlandoci della genesi di quest’ultima raccolta, che è stata scritta in seguito a un’esperienza di tirocinio in ospedale fatta nel corso dell’anno in cui stava frequentando la facoltà di Infermieristica.
Sono state le “cose” stesse a venire incontro a Giulia: la sofferenza dei pazienti, le loro mille e, a volte, irrealizzabili richieste, la loro ricerca costante di attenzioni, quasi pregate urlando con lo sguardo. È una condizione, appunto, limite, che impedisce ai pazienti di vivere una vita completa. E così, Linoleum è stato un vero e proprio piccolo poemetto che si è quasi auto-creato partendo dall’attenzione riservata alle piccole cose, ai ricordi dei momenti trascorsi all’interno dei reparti ospedalieri. Gli ospedali sono una sorta di non-luoghi, microcosmi che divengono, però, per chi al loro interno ci vive, macrocosmi. E di conseguenza, anche i piccoli oggetti al loro interno (un pettine, per esempio, o uno specchio) divengono, da microscopici, macroscopici, si dotano di una grande forza comunicativa.

 

Ma come si può portare un’esperienza reale – e, soprattutto, un’esperienza-limite – sulla carta scritta?

Rusconi ha spiegato il suo modus operandi: il suo lavoro non è stato quello di trasporre un’esperienza reale su carta facendola divenire lirica ma, al contrario, sono state le cose stesse a entrare all’interno della scrittura. Nessun innalzamento di ciò che si vive, tutt’altro: si entra all’interno del reale, nudo e crudo come quest’ultimo si presenta, e le situazioni che si trovano al suo interno divengono, poi, parola.

Proseguendo l’intervista, abbiamo iniziato a parlare di I padri: una raccolta che parla di tutti coloro che sono stati i “padri” di Rusconi – e qui, il termine “padre” può assumere numerosissimi significati. La parola viene de-naturata, portata al suo estremo, caricata di densità e sinonimo di termini che, solitamente, le dovrebbero essere estranei. In una poesia, sembra proprio voler chiamare in causa il concetto di “tradizione poetica”: si chiede all’Io lirico di selezionare le voci della tradizione a cui vuole fare appello, a cui vuole riferirsi.

Ma quali sono, per Giulia, queste voci? Qual è la sua tradizione?

Non solo poeti uomini. La tradizione poetica non è affatto, per Rusconi, un patriarcato a discapito della scrittura di autrici donne. L’autrice ha letto moltissime autrici e ne ha spesso tratto aspirazione: Antonia Pozzi, per esempio.
Ci sono anche altri autori che sono stati influenze molto importanti per la creazione della personalità poetica di Rusconi: Giovanni Giudici, Sandro Penna, giusto per citare un paio di nomi.
Dopo aver scritto Linoleum, inoltre, Rusconi ha letto un libro che, per temi e argomenti, è molto simile alla sua raccolta e l’ha colpita molto per la comunanza di motivi ed esperienze: si tratta di Madre d’inverno di Vivian Lamarque.

L’autrice ci ha parlato anche di com’è nato il suo desiderio di fare poesia: scriveva da quand’era bambina, come un po’ tutti i giovani appassionati di letteratura. Proseguendo con gli studi umanistici, si è imbattuta, un giorno, in una lista di nomi di poeti contemporanei fornitale da Sebastiano Gatto, che le aveva consigliato di leggere. Tra questi nomi, quelli di Carpi, Fiori e De Angelis. Da qui è nata la voglia di fare poesia e di crearsi una base solida, un modello a cui riferirsi: una “tradizione”, appunto.

Si è parlato, poi, di perdita di memoria e di linguaggio, un altro tema di cui si parla ampiamente in Linoleum e che viene inglobato all’interno del macro-tema generale della raccolta Linoleum: questi contenuti si riflettono su quella che è la forma delle poesie della raccolta, nella quale il suono e la musicalità del verso sembrano essere elementi imprescindibili. La rima, la rima al mezzo, le assonanze e il ritmo divengono i punti di raccordo delle parti del discorso.

Questa trama sonora è stata creata apposta per riflettere il contenuto delle poesie? Può essere interpretata come una maniera per dare voce a chi (il paziente) non può parlare per sé?

Sì, la forma è stata voluta. Giulia ha raccontato di alcuni ricordi di ospedale, di alcuni pazienti affetti dal disturbo di alzheimer. Come è possibile che, una volta giunti al limite dell’esistenza, la parola assuma un significato così, in fondo, poco importante? Così privo di significato? Questa è la domanda che si poneva spesso, dialogando con quei pazienti. La scelta di quel tipo di parola per le poesie di Linoleum (ovvero, di una parola semplice, orecchiabile, che formasse, se unita alle altre, quasi una cantilena) è stata data proprio dalla volontà di portare le poesie anche alle orecchie di chi, le parole, non le voleva (o non le poteva) più ascoltare nella loro ardua complessità.

Nemmeno l’alternanza tra la forma corsivo e la scrittura normale, presente in molte poesie, è casuale: il corsivo serve a “dare voce all’altro”. È un escamotage che spezza l’andamento del libro e crea una voce superpartes, che va a tirare le fila di quel che è stato detto in tutta la raccolta. Le voci presenti all’interno di Linoleum sono infatti molteplici: non solo vi è l’Io lirico e non solo vi è una sorta di voce altra che somma i contenuti singoli di ogni testo, ma vi sono anche tutte le voci dei pazienti, che in fondo sono i veri protagonisti della raccolta. È a loro che si vuole dare la vera, genuina voce poetica. E Rusconi decide di farlo lasciandoli parlare davvero in prima persona.

Padri e Linoleum hanno entrambe una vocazione macrotestuale: vi è la volontà di creare un unicum, una narrazione continua. Al contempo, però, in entrambe le raccolte vi sono anche queste voci di cui si è parlato: sono gli elementi che spezzano questa unità e sono, appunto, le voci degli altri, dei numerosi padri, per esempio, in Padri (e delle poche madri trattate), e dei pazienti in Linoleum.

E quindi Padri com’è nata?

Padri si mostra subito come una raccolta fortemente organica, un continuum di storie e brevi spezzoni di vita. È nata dopo un lungo periodo di silenzio in cui Rusconi era convinta che la poesia non le interessasse più, che non fosse importante. La raccolta si è poi, come Linoleum, fatta da sé e composta in un arco di tempo brevissimo.
Questi “padri” rappresentano molte delle figure che, nella vita di Rusconi, sono state importanti sotto diversi aspetti – alcuni di questi padri, poi, ritornano in più poesie: tutti, in un certo qual modo, hanno lasciato un segno nella sua vita, in positivo o in negativo, e le hanno insegnato qualcosa. Ogni padre è stato una lezione di vita.

Torniamo a Linoleum. Ma anche a Padri, in realtà. Come può la parola poetica arrivare a spiegare le cose al “tu”, all’altro che legge?

Giulia ha tentato di trovare alcuni sistemi per raggiungere l’altro e lo ha fatto, come già detto, utilizzando un linguaggio essenziale, genuino, per avvicinarsi così di più al suo lettore.

E, poi ancora, la tematica della cura: l’ultima poesia di Linoleum sembra voler far fuoriuscire il vero valore di coloro che portano il “camice”, che è quello di essere loro stessi i pazienti, coloro che vengono curati dai veri medici , coloro che rimangono distesi sui letti d’ospedale.
Sono le piccole cose, a cui i pazienti danno così importanza, che curano, e i pazienti stessi lo sanno e danno ai medici la possibilità di scoprire una vita migliore, di un valore più alto, attraverso l’attenzione a queste piccole cose, che poi tanto “piccole” non sono.

Anche il pubblico è intervenuto con grande partecipazione all’incontro. Ci sono state voci che hanno definito la poesia di Rusconi come tutt’altro che semplice ma, anzi, come una tensione di uno sguardo che sa cogliere il punto-limite dell’umano, il momento in cui l’uomo si spoglia. È la semplicità forse del classico, che sa cogliere l’essenzialità delle cose, dei piccoli oggetti del quotidiano che nascondono, nella loro solo apparente insignificanza, il senso vero di ciò che rimane, del momento terminale della vita.

“Ricordati che i più grandi maestri sono quelli che non si accorgono di insegnare, ma che possono donare moltissimo se qualcuno decide di chinarsi su di loro, di prestare loro attenzione”.
Giulia Rusconi

L’intervista al Ponte è stata inframezzata dalle letture delle poesie di Rusconi: alcune tratte da I padri, altre da Linoleum. A fine incontro, inoltre, la poetessa ci ha letto ancora altre poesie, chiudendo così l’incontro con la sua stessa voce.


La chiusura spetta ai versi stessi:

 

da “I padri”

Ho conosciuto un padre
è il numero duecento
mi ha insegnato che cos’è l’addio.
L’addio è fatto di baci
ma scomposti, di pose
maltenute nell’ombra. È un padre
elevato alla nad infinitum, è intero
razionale e reale. Mio padre
-l’altro- è sempre tornato.
Il mio padre numero duecento per dirmi addio
mi stringe con le mani i seni.

 

Mio padre numero quindici
corregge la mia postura.
Precaria mi aggrappo al suo braccio
lo conosco a memoria.
Mio padre – l’altro – non lo tocco
mai neanche per sbaglio.
«È questo che cerchi, il contatto?»
Il contatto sì il pezzo mancante
della casa, delle cose.

 

Da Linoleum

In galera trent’anni fa sentiva
i muri spessi come in una tomba.
Anche adesso abita all’interno
del carcere del corpo abbandonato
all’afasia all’acinesia alla follia inumana
della maschera facciale.
La prigione d’allora appare adesso
una sfrenata corsa
quando dietro alle sbarre camminava
mangiava imprecava si faceva tatuare
quell’enorme drago rosso sulla schiena
e aveva voglia di fare del sesso
si ricordava di desiderare.

 

Come spiegare che quello che appare
atroce non sono né gli aghi nelle arterie
né le medicazioni, ma le serie
labbra della noia o l’indice
alzato in richieste e segnali o le meste
palpebre del sonno appena appena
socchiuse dalla mano aliena dello xanax.

 

Mio amato volto sepolto nel cuscino,
ti porto un budino alla vaniglia e un fiore
di carta. Guardi un punto indefinito
del mio viso, l’occhio tuo pulito
a scavare nel mistero che è
la giovinezza. Che tenerezza
Teresa quel tuo sguardo, e che dolore
poi uscire nella pioggia, e nel tremore
di un presagio sicuro vederti
mentre muori di mattina all’improvviso
guardando un armadio d’ospedale.

 

In una terra oscura si aggira indecisa
su dove mettere i piedi. Domanda
una mano cui aggrapparsi domanda
un ormeggio per fermarsi e tremare.
Anche il linguaggio si impasta col buio
e quel che dice non si capisce, chiama
dei nomi, balbetta cognomi inventati.
Un mattino che è lucida afferra il mio braccio
sul bianco della divisa, mi chiede decisa
Perché tutto questo, perché
capita a me?

 

Un mattino di settembre tutto
finì all’improvviso. Non più
il suo viso con gli occhi rotondi
e il sorriso covato tutta la notte
solo per me. Non più
nemmeno un lamento o il vento
spezzato dei suoi polmoni.
Sono gli ultimi doni della mia vita
i minuti con te in codesta
cattedrale di giallo e sopore,
resta ti prego resta, era la sua
micidiale quotidiana richiesta.
Quel mattino entrai nella stanza
il letto era vuoto il materasso
antidecubito per qualcun altro
disinfettato. E vidi anch’io
tutto giallo all’improvviso:
il linoleum
rifletteva la luce di fuori
annullava tutti i colori.