Futura 1993 x OUTsiders | Tananai: com’è “Volersi Male” sotto cassa in mezza Europa

Futura 1993 ha incontrato per noi Tananai, nuovo alter ego musicale di Alberto Cotta Ramusino, già noto come Not For Us. in occasione dell’uscita del primo singolo “Volersi Male”, Tananai ci racconta la sua nuova avventura linguistica e stilistica tra introspezione e luoghi zeppi di ricordi.

_di Alice Govoni

Alberto Cotta Ramusino, classe 1995, in arte Tananai. Nasce come producer e si afferma grazie a un disco di matrice elettronica. Nel precedente progetto, Not For Us, i testi vedevano una scrittura in lingua inglese. Con Tananai l’approccio cambia: decide di scrivere e cantare in italiano.

Esce con il suo primo singolo “Volersi male”, racconto dal sapore nostalgico che rimanda alle visioni tipiche dei flashback e ci consegna scenari suggestivi, che riescono a coinvolgere più sfere sensoriali. Il producer fa il suo ingresso su un tappeto di suoni ipnotici, percorrendo strade innevate in un viaggio che lo porterà su spiagge deserte e sotto cassa di mezza Europa.   

Come hai vissuto il passaggio dall’inglese all’italiano? Hai riscontrato difficoltà nel nuovo processo di scrittura, che ha -almeno per noi- un impatto sicuramente più diretto e immediato?
A dire la verità no. O meglio, l’Inglese è sicuramente una lingua più spontanea e “veloce” nella comprensione, mentre l’Italiano è più complesso, ricco e articolato, quindi magari a livello istintivo ti dico di si, ma la profondità che raggiungi con l’Italiano è sicuramente più difficile da raggiungere con un’altra lingua. Quindi avendo entrambe le loro difficoltà e i loro limiti, ho scelto semplicemente la più bella, intima ed espressiva forma di comunicazione.

Perché Tananai?
È il soprannome che mi aveva dato mio nonno quando ero piccolino, vuol dire essenzialmente “teppista”. Essendosene lui andato che ero ancora piccolo, è stato l’unico membro della mia famiglia a cui non ho mai fatto ascoltare le mie canzoni e ho voluto in un certo senso renderlo partecipe. Poi, se ci penso, è stato un po’ il mio primo nome d’arte.

Quando hai iniziato a fare musica?
Beh, mio padre era insegnante di chitarra quando era giovane, quindi ho sempre giocato con la sua chitarra da piccolino. A 10 anni circa ho iniziato a studiare pianoforte (primo atto di ribellione giovanile nei confronti di mio padre chitarrista), senza mai prenderlo troppo sul serio. Non studiavo mai gli spartiti che mi davano da imparare a casa, di solito cercavo di inventarmi un pezzo o un giro di accordi strimpellando un po’. Poi a 14 anni un bel giorno ho scaricato il mio primo software di produzione musicale e da lì mi sono sempre focalizzato su quello, passando a produrre più o meno tutte le notti della mia vita fino ad ora.

“Volersi male” è un pezzo pop ben riuscito e risente di varie influenze. La prima che mi viene in mente è Cosmo. È stato effettivamente d’ispirazione o i tuoi punti di riferimento sono altri?
Mah, sai, potrebbe benissimo esserci un po’ di Cosmo in quel pezzo, sia perché l’ho ascoltato parecchio, sia perché me lo stai dicendo tu ora, quindi è sicuramente un giudizio fondato, tuttavia mi sento di dirti sinceramente che non è stato una fonte d’ispirazione per la nascita di “Volersi male”. Il pezzo è nato un giorno in cui ho sentito un profumo che mi ha ricordato molte cose e ho cercato di rendere quell’impressione tanto forte quanto intangibile attraverso melodie malinconiche e tappeti di suoni abbastanza eterei, quindi non mi sono ispirato a nessun artista in generale. Col senno di poi sento l’influenza di Four Tet in quel pezzo, però.

Nel testo della canzone definisci il “volersi male” e il “volersi amare” allo stesso modo. Cioè come una moda, un momento transitorio, vissuti però come un’esigenza. È un accostamento volontario? Trovi che volersi male e volersi amare siano entrambe istanze passeggere? O solo una prima o poi ci stancherà?
No, non per forza devono essere istanze passeggere, però può succedere e nel caso accada, il mio è un invito a fare pace con sé stessi, con i propri dubbi e il proprio orgoglio. Credo che dobbiamo, in alcuni momenti della nostra vita, prenderci un po’ di tempo per capirci più profondamente e parlare onestamente guardandoci allo specchio, piangere senza dare la colpa alle lenti o al finestrino abbassato per gli occhi rossi, renderci conto che le promesse non mantenute non si potranno più mantenere, e accettare il fatto che forse è meglio così. In fondo si tratta solo di farsi forza e rendersi conto della fragilità e fugacità di qualsiasi situazione della vita, dall’amarsi al volersi male.

C’è qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?
Baustelle e Verdena, decisamente. Anche se credo che per via del mio stile di scrittura, che sento ancora immaturo, non sia il caso. Uscirebbe una cosa ridicola nel senso Pirandelliano del termine (da parte mia, ovviamente). Magari più avanti.

Vengono, tra le altre cose, evocate immagini di contesti urbani, ma anche desertici e selvaggi. Insomma, sembra che tu sia in molti luoghi e in nessuno contemporaneamente. Senti che l’ambiente in cui vivi ha avuto un ascendente sulla tua produzione artistica?
Assolutamente si. Tra l’altro ho studiato Architettura per un paio d’anni – prima di abbandonare e scegliere la musica – quindi mi sono sempre interessato agli ambienti come “contenitori di vita” in grado di plasmarla oltre che di assisterla passivamente. In uno dei pezzi che ho scritto tra l’altro mi paragono al mio appartamento, quindi direi che ce l’ha eccome un ascendente su di me.

 Cosa ne pensi dell’attuale scena cantautoriale in Italia?
Sono contentissimo che finalmente anche a livello più mainstream siamo arrivati ad apprezzare i pezzi italiani di cantautori italiani, senza cercare di scimmiottare inglesi e americani come è stato fatto per tanto tempo finora. Credo che da qui si possa solo crescere e sviluppare una corrente musicale e artistica sempre più definita, e soprattutto nostra.

E dopo questo singolo? Cosa succederà?
Stiamo lavorando al video e poi chissà, abbiamo in serbo un po’ di chicche.