Regina Blues di Antonello Loreto: la partita della vita

Un romanzo dal vivace impianto narrativo, che parte da una partita di calcio per rievocare la tragedia del terremo de L’Aquila ma soprattutto per parlare della grande sfida che è affrontare il futuro. 

Di primo acchito, pare quasi scontato ricollegare il “blues” di questo nuovo romanzo firmato da Antonello Loreto all’ormai celeberrimo “Tokyo Blues” di Haruki Murakami. In realtà, per quanto riguarda il titolo della sua ultima ultima creazione letteraria, l’autore dice di essersi ispirato ad una poesia, nella fattispecie ai versi di “Funeral Blues” di Wystan Auden. Forse questo nome vi risulterà meno familiare rispetto a quello del maestro giapponese, eppure si tratta di uno dei più ispirati – e, forse sottovalutati – poeti del 900, noto ai “profani” soprattutto per esser stato citato nel film “Quattro matrimoni e un funerale”. Questo preambolo ci suggerisce più che altro che nel marasma di possibilità esistono dei collegamenti invisibili, magari secondari oppure involontari, ma non per questo meno suggestivi tra le cose di questo mondo.

Edito da “Progetto Cultura”, Regina Blues è un’opera in qualche modo atipica.  Quello che possiamo configurare come un requiem visionario per L’aquila diventa così anche una accorata dichiarazione d’amore al mondo del pallone così come un romanzo di formazione e un affresco sociologico di provincia.

“Regina”, intanto, è il nome della città che ospita le vicende narrate. Come accennato, l’espediente narrativo di una partita di calcio come metafora della sfida dell’esistenza, offre al narratore – tra le altre cose – la possibilità di omaggiare la poetica – emotiva, certo, ma anche lessicale – del mondo del pallone. Allo stesso tempo, fornisce l’assist per una narrazione di tipo corale, dal momento che all’interno del rettangolo verde che è il campo da gioco, si intrecciano le vite di ben 22 personaggi. A questi, se ne aggiunge automaticamente un altro: la città stessa, che ispira ed influenza le azioni dei propri cittadini.

Loreto eccelle nel mostrarci il laborioso brulicare di vita all’interno di Regina: una vita tutto sommato assolutamente “normale”, uno scorrere del tempo legato alle piccole cose, anche laddove il quotidiano venga squarciato dal lampo impetuoso di una tragedia come quella del terremo che ha messo in ginocchio l’Aquila ormai una decade fa.

L’autore affronta una questione delicata e spinosa da un punto di vista interno, essendo Loreto un cittadino del L’Aquila, classe 1970. Le macerie dell’anima sono certamente ingombranti, ma il libro sembra permeato da uno spirito di combattiva leggerezza piuttosto che di amaro risentimento. Così, più che alle rovine del passato, si prova ad immaginare un cielo sereno all’orizzonte, con la giusta dose di consapevolezza. Un po’ come suggerisce la deliziosa illustrazione di copertina, con un panorama bucolico che prova a sormontare la ferita di un cratere. Ancora una volta, palla al centro.