Dopo anni di altissimi picchi e significative valli sia di successo che di effettiva validità dei giochi che si sono aggiudicati il principale premio italiano per le due categorie in concorso, i vincitori dell’edizione 2018 sembravano annunciati da mesi, soli in vetta, imbattibili, ineguagliabili, indistruttibili. E invece è successo un casino.
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_di Giovanni Bersani
Ciò che è accaduto mercoledì 10 ottobre con l’annuncio dei vincitori dei due premi in ambito ludico del Lucca Comics & Games (Gioco dell’Anno e Gioco di Ruolo dell’Anno) è uno di quegli eventi che ci fanno dubitare della possibilità di stupirci per qualcosa in quel che rimane delle nostre vite danneggiate. Ciò che è accaduto mercoledì 10 ottobre è meno probabile della vittoria a Salt Lake City di Steven Bradbury, idolo indiscusso di tre quarti dei millennial. Ciò che è accaduto mercoledì 10 ottobre non sarebbe stato ottenibile da nessuna combinazione di numeri magici zapotechi neppure dall’intera squadra di matematici turbocazzari che abita nella cantina di Roberto Giacobbo nutrendosi di muffa e condensa. Ciò che è accaduto mercoledì 10 ottobre ha fatto probabilmente sgranare le orbite vuote del freddo cadavere di Nostradamus.
Azul (cui si è accennato in questa rubrica un paio di articoli fa), oltre a essere stato un grande successo di vendite per le meccaniche, per la grafica, per il prezzo e per la saudade, è un prodotto perfettamente in linea con il tipo di giochi che negli ultimi anni trionfa quando si tratta di ottenere un riconoscimento qui in Europa (mentre agli yankee continua a spettare lo strapotere su Kickstarter): ambientazione leggera e colorata, regole semplici e pulite, durata medio-bassa, alea ridotta. L’anno scorso vinse Kingdomino del vecchio leone Bruno Cathala, una sorta di via di mezzo tra il domino e Carcassonne, 20 minuti a partita, grafica coloratissima e volutamente quasi infantile, 20 euro tondi; Azul si sposta leggermente oltre ma non di troppo (40 minuti, regolamento quasi altrettanto semplice, tessere con le fantasie degli azulejos, 45 euro).
Data la logica normalmente adottata per l’attribuzione del premio lucchese e dopo lo Spiel des Jahres e il tutto esaurito a tutte le fiere a cui è stato presentato, Azul era un vincitore talmente annunciato che nessuno si è dato la pena di ricordarsi quali fossero gli altri giochi in gara per essere definiti Gioco dell’Anno.
Mercoledì 10 ottobre, invece, la giuria della fiera toscana ha annunciato che il vincitore è Flamme Rouge del finlandese Asger Sams Granerud, gioco di carte che parla di ciclismo. Ciclismo. Niente di più. Il gioco sostanzialmente simula l’ultimo chilometro di una tappa ciclistica (chiamato appunto flamme rouge nel gergo del Tour de France) e, come tutto ciò che si basa sugli sport di nicchia, possiede appena sotto la crosta di demodé uno zoccolo duro di appassionati che ha già inventato home rules per simulare l’intero Tour con punteggi per le singole tappe e una serie di carte con i più grandi campioni della storia della competizione. Questa vittoria è un segno: è stato premiato non il colosso, ma l’outsider che ha dimostrato di saper ispirare idee, invenzioni, comunità.
Ultimo appunto sul perché questo gioco vada comprato a ogni costo, sempre che non siate già appassionati di ciclismo o che lo facciate per ricordare di quella volta in cui un Davide con curve e rettilinei componibili ha abbattuto un Golia di piastrelle che si credeva invincibile perché ha venduto più di ogni altro gioco nell’ultimo anno: la grafica ricorda molta bande dessinée caricaturale e soprattutto quel piccolo gioiello animato di Appuntamento a Belleville.
Ciò che ha fatto davvero saltare il banco, qualcosa in cui è difficile scorgere il limite tra obiettività, provocazione e forse un po’ di snobismo, è però quanto successo in sede di annuncio del vincitore del Gioco di Ruolo dell’Anno: ha perso Dungeons and Dragons. La quinta edizione del primo gioco di ruolo, del titolo che viene spesso identificato con il GdR in toto, dell’unico il cui nome dica qualcosa a chi non ha mai avuto a che fare con schede e dadi e improvvisazione, non si è portata a casa la cintura di campione. Dopo anni un po’ strani per il premio, altalenanti tra l’ostico ma splendido e monumentale Numenera di quel matto di Monte Cook, il poco convincente Alba di Cthulhu dei bravi ragazzi della Serpentarium (a cui comunque si perdona quasi tutto perché qualche anno fa se ne sono usciti con Sine Requie) e quella straordinaria cafonata teatrale e guascona di 7th Sea di John Wick (no, non quello il cui cane non vi conviene toccare), la partita stavolta sembrava vinta a tavolino.
La quinta edizione, quella acclamata dal pubblico e dalla critica, quella che ha abbandonato i tecnicismi, il tabellismo, il dadismo delle due precedenti (grosso ostacolo alla loro diffusione nonostante abbiano venduto benissimo) per unire ai loro elementi migliori quello che si era perso delle prime edizioni: l’interpretazione, la semplicità, la rotondezza. Non ci sono angoli in D&D Next. Tutto è smussato, limato, perfetto. Tutto è in equilibrio. La gente se ne è accorta e a livello mondiale la quinta edizione ha venduto più di tutte le altre messe insieme. Un anno fa il manuale del giocatore in italiano, presentato in anteprima proprio a Lucca, è andato esaurito il secondo giorno di fiera. Come si fa a non far salire sul gradino più alto del podio un gioco del genere?
Si fa che quest’anno, esattamente come per Flamme Rouge, la giuria ha pensato all’esperienza che si ricava dal gioco e dal senso di comunità che esso è in grado di creare. Ha vinto Lovecraftesque di Joshua Foxx & Becy Hannison, pubblicato in Italia dalla gabbia di matti che è Narrattiva, casa editrice che ha portato sui nostri lidi capolavori folli e coraggiosi come Cani della vigna, Kagematsu e Cuori di mostro, l’Enterprise del gioco di ruolo, con la ferma etica di cercare continuamente qualcosa di nuovo senza sentire mai di essere arrivati, per giungere là dove nessun avventuriero della cultura ludica è mai giunto prima. Il mondo di Lovecraftesque è ovviamente quello degli orrori cosmici partoriti da quel buco nero che era il cranio del Solitario di Providence, la sperimentazione di fondo che fa da fulcro del gioco è che non ci sia un master e si giochi tutti allo stesso livello (in maniera ancora più completa e anarchica che in Omen) perché nessuno è in grado di gestire o capire l’universo senza senso né morale della yog-sothothery, di ciò che dall’incubico Il richiamo di Cthulhu è disceso e in generale di ciò che all’uomo non conviene cercare di sapere. La novità tecnica è che nella prima tiratura siano presenti indizi sui misteri che i malcapitati giocatori si troveranno a indagare, visibili solo illuminando determinate pagine con una torcia UV (fornita assieme al manuale): tutto concorre alla totale immersività e all’esperienza collettiva ed è questo che la giuria ha provocatoriamente ma coraggiosamente premiato.
Meritati o non meritati, indipendenti o snob, questi premi faranno parlare di sé. A noi piace pensare che quest’anno a Lucca sia accaduto qualcosa di simile agli Oscar 2016: tra The Revenant, The Danish Girl, Il ponte delle spie e La grande scommessa, George Miller e il suo Mad Max: Fury Road sono passati sfrecciando su rombanti bolidi modificati e mostrando il medio a tutta Hollywoo [no typo N.d.A.] e hanno afferrato al volo sei statuette.
A seguire, per concludere, dieci profezie assurde ma comunque meno di ciò che è successo mercoledì 10 ottobre 2018, enunciando le quali figureremo come profeti del nuovo mondo che seguirà all’Armageddon causato dal progetto AKIRA:
- Terrence Malick che si converte alla regia di cinecomic caciaroni
- Liam e Noel Gallagher che smettono di picchiarsi
- Martín Cáceres che impara a guidare
- Gué Pequeno che torna ad essere quello di MiFist
- Stephen King che smette di scrivere due libri all’anno
- George R.R. Martin che smette di scrivere due libri al secolo
- Mel Gibson che fa un film di moda [ti adoro Mel, non cambiare mai N.d.A.]
- Stefan Feld che la pianta di pubblicare giochi per calcolare i cui punteggi serve un PhD al MIT
- Anthony Hopkins che interpreta un ruolo che non sia la milionesima reinterpretazione del dottor Lecter
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Un carabiniere che ammette il pestaggio di Stefano Cucchi, accusando due colleghino questa non la posso scrivere, è troppo irrealistica perfino per questo articolo.