Una chiacchierata con Marco Lupo, direttore della più antica bottega di libri del capoluogo sabaudo che si staglia tra le eccellenze nazionali ed europee del settore.
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_di Roberta Scalise
Effettuare il proprio ingresso e percorrere il pavimento scricchiolante che caratterizza la Libreria Internazionale Luxemburg si configura quasi come il prologo di un romanzo odierno, le cui protagoniste sono proprio le librerie e le persone che in esse vi gravitano. I dettagli compaiono tutti: stanze calde e dall’atmosfera accogliente, musica classica in sottofondo, scaffali ricolmi di libri di testo, scale dense di impronte recanti con sé storie e vissuti, volumi accattivanti e talvolta rari e riviste dal mondo. E proprio come in una narrazione, anche alla Luxemburg gli attori principali sono i particolari suddetti e la comunità di fruitori che la animano.
Ne abbiamo parlato con Marco Lupo, direttore di quest’ultima e strenuo appassionato di letteratura, nazionale e internazionale, che ci ha delineato i contorni di una storia peculiare, affascinante e, in questo caso, felicemente reale.
Partiamo dagli albori: quali sono genesi, fondatori e filosofia della Libreria Internazionale Luxemburg?
La libreria nasce nel 1872, con le storie dei librai-editori, uomini e donne – soprattutto italo-francesi – che spesso producevano personalmente i libri che poi presentavano e consigliavano nel corso delle grandi fiere mondiali dedicate al settore. La Luxemburg, dunque, è sorta rispondendo alle aspirazioni dell’editore, stampatore e libraio Francesco Casanova, ergendosi in locali situati inizialmente in prossimità di piazza Castello. Primo editore delle novelle di Verga e tra gli antesignani che compresero l’importanza dei libri non solo in lingua, ma per la lingua – quali grammatiche, dizionari e simili –, Casanova è stato un illuminato, la cui eredità è stata rilevata, negli anni ’70 del ‘900, da Angelo Pezzana, fondatore del Fuori! – Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano – e primo ideatore del Salone del Libro di Torino e di numerose altre iniziative analoghe, il quale decise di imbarcarsi in una vera e propria impresa culturale e manageriale. Fu così che la libreria venne spostata nella sua sede attuale, in via Cesare Battisti 7, perseguendo uno scrupolo peculiare: l’apertura di un orizzonte rivolto verso le lingue, con libri perlopiù in francese e in inglese. Queste scale, infatti, erano solcate da celebri lettori e scrittori, tra cui, per esempio, Primo Levi, che qui si recava alla ricerca di volumi del grande mercato internazionale.
Tante sono, infatti, le relazioni e le amicizie nate in questi spazi, sia tra i lettori stessi sia tra questi e i librai, cullate e protette da un punto di riferimento – la libreria, la vera protagonista di questo “romanzo”
Come è evoluta, quindi, la libreria nel corso degli anni e quali sono, ora, i suoi punti di forza?
Lo sguardo e l’attenzione verso le letterature internazionali sono sempre rimasti il focus della libreria, che attualmente annovera anche volumi in lingua spagnola, tedesca, russa e aspira a una presenza sempre maggiore di testi in giapponese e cinese, pensati per tutte le grandi comunità che attraversano la città di Torino. La filosofia sottesa è proprio questa: travalicare frontiere attraverso la lingua. Ne è un esempio l’iniziativa, sorta nel 2015 e presentata al Salone del Libro, denominata “Babel” – su ispirazione del racconto di Jorge Luis Borges La biblioteca di Babele –, ossia una “biblioteca immaginaria”, una stanza bianca costituita da muri in cartongesso e vetrate trasparenti dove gli autori provenienti da varie aree del mondo potevano dialogare con i lettori, nella propria lingua, attraverso l’interpretariato – con cuffie dotate dal Goethe-Institut –, promuovendo, così, una conversazione strettamente “originale”, in tutti i sensi. L’obiettivo della Luxemburg, perciò, è continuare a lavorare, e a farlo sempre meglio, sulle lingue, compresa, naturalmente, quella italiana.
Si può delineare la figura di un fruitore medio?
Un fruitore tale non esiste. Abbiamo, però, molti lettori forti: da colui che curiosa tra gli scaffali ogni giorno in pausa pranzo a quello appassionato di letteratura dell’Est che sa che qui può trovare determinati riferimenti, dal lettore amante della produzione letteraria americana all’ammiratore di Bolaño, di cui vuole leggere predecessori ed epigoni, e così via. Una vera e propria comunità di lettori, unita ed esigente. Tante sono, infatti, le relazioni e le amicizie nate in questi spazi, sia tra i lettori stessi sia tra questi e i librai, cullate e protette da un punto di riferimento – la libreria, la vera protagonista di questo “romanzo” – sia per le voci che la abitano sia per la città.
A questo proposito, sussistono aneddoti interessanti circa i frequentatori della libreria?
Di aneddoti ce ne sono molti. Quello che più mi è rimasto impresso, risalente agli ultimi anni dell’‘800, vede protagonista un uomo, definito il “Disertore”, impiegato in una risaia del vercellese e da tutti ritenuto un analfabeta. Abitualmente, si recava a Torino con un sacco di riso e si presentava a Casanova, il quale operava con questo uno scambio: l’editore gli permetteva, infatti, di leggere libri della Luxemburg, soprattutto Cervantes in spagnolo e Tolstoj in francese. Contemporaneo è, invece, un altro personaggio, che noi chiamiamo “Walden”, vestito di stracci e infradito, sui 50 anni, dal corpo scultoreo e dalla pelle scurita dal vivere all’aria aperta, residente in un bosco e di cui non conosciamo le origini, dal momento che si esprime in spagnolo, francese e italiano, il quale legge solo libri in lingua. Anche qui, dunque, assistiamo al frantumarsi di un pregiudizio.
E tu, Marco, hai una sorta di “libro del cuore”, un testo che, più degli altri, ha lasciato un’impronta significativa nel tuo percorso?
Individuare un “libro del cuore” è, direi, impossibile. Sono sempre stato un lettore famelico, con una media devastante fin dagli anni dell’adolescenza, per cui molti sono i volumi che mi hanno segnato. In ogni caso, sono particolarmente attratto dalla letteratura che ha un occhio di riguardo verso coloro che, generalmente, non vengono raccontati: le anime degli scomparsi, le storie cancellate dalla polvere e, soprattutto, le archeologie private. La Storia, quindi, narrata attraverso l’elemento biografico, racconti relativi a qualcosa che conosco ma rievocato da un punto di vista inedito, in grado di condurmi in un mondo altro.
Infine, che cosa consiglieresti ai giovani che vorrebbero intraprendere il mestiere del libraio?
Innanzitutto, consiglierei, a tutti i giovanissimi appassionati di letteratura, di provare con gli stage nelle librerie, cercando di carpire ogni giorno i segreti del mestiere e di considerare l’esperienza alla stregua di un’occasione di arricchimento. E poi, di farsi in quattro senza pensare che quella del libraio possa essere la propria professione principale: l’idea, infatti, è fondere, in quest’epoca di estrema frammentarietà lavorativa, le diverse occupazioni e connettere le esperienze, accettando i compromessi e considerando questi ultimi come veri e propri punti di forza. A mio avviso, tale miscellanea professionale rende una persona che ha avuto numerose opportunità lavorative molto più forte, appunto, di una che ha sempre lavorato nel medesimo posto.