Adriano Viterbini: immaginare il blues del futuro

E’ appena uscito Vivi Muori Blues Ripeti, il quarto album in studio dei Bud Spencer Blues Explosion: il duo romano ha appena iniziato un tour che porterà il nuovo disco in giro per tutta Italia. Per l’occasione abbiamo fatto quattro chiacchiere con Adriano Viterbini (voce e chitarra del “power duo”, l’altra metà è il batterista Cesare Petulicchio) per scavare a fondo nell’anima soul dell’ultima fatica discografica. Non solo. Abbiamo fatto un tuffo nell’immaginario dei BSBE alla ricerca dei luoghi e delle suggestioni che hanno ispirato la “blues explosion nostrana”, dai paesaggi del Sud degli Stati Uniti ai locali underground con le pareti ricoperte di locandine. 

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_di Alessia Giazzi

Sia tu che Cesare avete avuto occasione di portare avanti progetti paralleli, una volta tornati insieme, come riuscite a far confluire nuovamente i vostri diversi percorsi individuali nei Bud Spencer Blues Explosion?

Sì, abbiamo fatto parecchie cose, anche all’estero: io ho suonato con Bombino, Nic Cester, mentre qui in Italia con Emma Marrone e Fabri Silvestri Gazzè tra gli altri. Cesare ha collaborato con vari rapper e ha suonato con Motta. Entrambi abbiamo fatto delle bellissime esperienze ed è qualcosa che vogliamo portare avanti.

La cosa fondamentale di quando ci separiamo è che poi ritroviamo l’eccitazione per la musica di quando avevamo vent’anni, quella voglia primordiale di suonare, senza troppi filtri, senza voler ottenere un ritorno di fama. Lo facciamo per fare buona musica, questa è la cosa principale per noi. Sappiamo che quando fai parte di un gruppo non siamo più due individui, siamo una cosa sola. Potremmo portare altre influenze all’interno della band rischiando di snaturarla, a volte questo tipo di curiosità nuoce al gruppo ma è il gruppo a decidere da sè.

Vorrei parlare con te del sound di questo nuovo album in cui convivono diverse anime: oltre alla predominante blues si aggiungono percussioni e strumenti particolari come lo “ngoni”.

Guarda, in quest’album c’è il primo album della mia carriera in cui non suono la chitarra! Lo ngoni è uno strumento primordiale da cui poi nacque il banjo, me l’ha regalato un musicista del mali e trovo che l’esperimento che abbiamo fatto introducendolo tra gli strumenti sia particolarmente innovativo. In Presto sarò chi sono abbiamo fatto qualcosa di nuovo, ossia unire musica africana con una particolare attitudine e con il cantato italiano.

«Abbiamo visitato la prima stamperia americana che produceva i caratteri per Johnny Cash: l’immaginario dei calligrafi e delle vecchie copertine dei dischi ci è sempre piaciuto tantissimo, tanto che certe canzoni nascono anche da suggestioni visivi delle cover, in particolare quelle dei dischi blues che fanno un uso della tipografia molto caratterizzante»

Cosa vi ha portato a questo melting pot di sonorità?

Quella con lo ngoni è un’esperienza che mi porto dietro da qualche anno: tempo fa ho approfondito la musica africana però in maniera un po’ occidentale, cioè trasportandola in Italia e contagiandola. All’epoca di Tubi Innocenti ho viaggiato e collaborato con musicisti africani perché ho sempre ritenuto che questa musica potesse essere un’alternativa sperimentale alla musica di oggi. Tanti dicono che la chitarra sia uno strumento morto, ma gruppi come Tinariwen e Songhoy Blues la stanno portando a un altro livello, molto più innovativo.

Quindi arrivati a questo punto della vostra carriera, che cosa significa “innovare” per i Bud Spencer Blues Explosion?

Innovare significa che ogni artista ha il dover di mantenere viva la curiosità, per sé stesso e per gli altri: andare in giro e ascoltare musica – non solo in rete, ma anche per strada – andare in giro a cercare quella musica che nessuno pubblicherebbe, quei musicisti insoliti, spingersi a cercare nei posti più difficili delle città.
Ci preme mantenere viva e costante questa curiosità: quando suoni per la gente hai il dovere di farlo, altrimenti ci ritroveremmo a fare sempre la stessa musica. Non ci interessa la fama, quello che ci interessa è poter arrivare a ottant’anni e guardarci indietro magari sapendo di essere stati di ispirazione per qualcuno più giovane e di aver lasciato un segno.

Il viaggio sembra essere un concetto piuttosto centrale in Vivi Muori Blues Ripeti. Quali sono gli altri temi che avete sentito l’esigenza di trattare e come si sviluppano all’interno dei testi?

Sì, il viaggio è un elemento importante ma lo si percepisce più che altro dall’ascolto. È un disco un po’ da viaggio: si fa ascoltare e concede riflessione, ti porta a viaggiare con la testa. Suona avvolgente, morbido, anche un po’ sexy e passionale.
Un’altra parola chiave è il rapporto, i rapporti intesi in tutte le loro accezioni: più piacevoli, meno piacevoli, l’amicizia, lo scontro il duello, la crescita.

«Oggi si tende a voler registrare la performance perfetta ed è una cosa che a noi non interessa. Noi vogliamo catturare una foto senza filtri»

Per le parole di Vivi Muori Blues Ripeti di vi siete affidati a Davide Toffolo e Umberto Maria Giardini, perché proprio loro? In che modo hanno contribuito alla stesura dei testi?

Beh, Davide Toffolo e Umberto Maria Giardini sono due artisti con cui sono cresciuto, mi andavo a comprare i loro cd! A loro devo tanto, credo che in Italia gli si debba tanto perché hanno spianato la strada a molti di noi. Sentivamo l’esigenza dei avere dei testi speciali per quest’album e loro hanno risposto in maniera entusiasta alla nostra chiamata: hanno sentito i provini delle canzoni e, partendo da un paio di parole chiave suggerite da noi, ci hanno costruito un mondo. Ci hanno fatto un bellissimo regalo.

A proposito di collaborazioni, per quest’album siete tornati a lavorare con con Marco Fasolo alla produzione: è vero che avete approcciato la registrazione del disco in modo del tutto analogico? Che valore aggiunto ha abbia apportato al sound e al mood dell’album?

Sì, esatto. Registrare in analogico è stato provvidenziale perché volevamo fare un disco che ci rappresentasse per quello che siamo: con il digitale si può cancellare qualsiasi errore, lavorare in un secondo momento su ritmi e suoni, correggendoli. In analogico hai una maggiore consapevolezza, un maggior livello di performance e anche una maggiore accettazione di te stesso. Io e Cesare abbiamo provato per un mese per arrivare perfetti alle registrazioni: due take per ogni brano e poi abbiamo scelto quella che ci piaceva di più, così com’era. In questo modo emerge come suoniamo davvero, anche con quei piccoli difetti che ci possono essere: oggi si tende a voler registrare la performance perfetta ed è una cosa che a noi non interessa. Noi vogliamo catturare una foto senza filtri.

Lasciamo da parte un attimo la musica e parliamo invece di immagini, visto che il genere si presta.

Il blues è legato a un immaginario ben preciso che ha radici tutte americane e che in parte è anche forgiato dai luoghi in cui prende nasce. Trasposto al contesto italiano e al vostro progetto, ci sono luoghi o immagini che hanno influito sulla vostra musica?

Io e Cesare siamo stati in America, a Nashville, Memphis, nelle zone classiche del blues e sarebbe sciocco non dirti che quei posti ci hanno influenzato molto. Abbiamo visitato la prima stamperia americana che produceva i caratteri per Johnny Cash: l’immaginario dei calligrafi e delle vecchie copertine dei dischi ci è sempre piaciuto tantissimo, tanto che certe canzoni nascono anche da suggestioni visivi delle cover, in particolare quelle dei dischi blues che fanno un uso della tipografia molto caratterizzante. L’immaginario del sud degli Stati Uniti è quindi molto forte nella nostra identità, insieme a suggestioni legate a quei posti tappezzati di locandine e poster che rimandando alla filosofia del Do It Yourself. Anche la nostra sala prove è tappezzata di locandine: mi serve un posto creativo con un certo tipo di comfort!

Ci teniamo molto alla nostra identità e all’immaginario che ci accompagna: abbiamo un amico illustratore, Scarful, grande appassionato di teschi, con cui siamo molto amici (e di cui siamo fan) e non andiamo mai in tour senza le magliette disegnate ad hoc da lui!

Poi per noi, il paesaggio è quello che ci circonda, a volte le quattro mura della sala, a volte il paesaggio è Roma di domenica mattina con il marmo che risplende. Siamo influenzati da tutto quello che ci circonda: quando uno  fa un disco deve essere ricettivo, devi farti attraversare da tutto quello che vedi, dal posto e dalle esperienze che vivi.

Continuando sul filo della relazione tra musica e immagini, un primo elemento di collegamento in ambito discografico è sicuramente la cover: nel momento in cui dovete approciarvi alla lavorazione della copertina, qual è il processo che vi porta a decidere il tipo di immagine che finirà sul prossimo disco?

Arriviamo in maniera ingenua a una prima progettualità, una serie di spunti rispetto a cosa ci fa pensare il disco, come vogliamo comunicarlo, il tipo di impatto visivo (immediato, più al rallentatore) che vogliamo ottenere, poi però ci lasciamo un po’ trasportare e andiamo a sentimento. È molto importante per noi che ci sia un colore dominante, un Pantone che poi utilizziamo sempre nella comunicazione.

Per Vivi Muori Blues Ripeti è andata così: da anni collaboriamo con Ilaria Magliocchetti Lombi, un’amica fotografa, e per tradizione ci siamo affidati a lei per la copertina del nuovo album. All’inizio l’idea era quella di raffigurare una persona afro in un contesto da definire, poi però, dopo un set fotografico con gli strumenti, abbiamo accatastato tutto in un angolo e, poco prima di andare via, abbiamo visto gli strumenti dal fondo della sala, abbiamo guardato lo studio e abbiamo pensato “è fatta, è lei”: l’immagine era semplice, coordinata con il resto dei materiali e ci piaceva l’idea di non stare in copertina ma di lasciar parlare gli strumenti. Viscerale, immediato, vitale, era quello che volevamo far trasparire dal disco: è imperfetto, però per noi è perfetto in realtà.

Parliamo invece del video, nel corso degli anni siete passati dal do it yourself alla collaborazione con Alex Infascelli: che ruolo ha per voi lo strumento video in rapporto alla vostra musica?

Per me il video non è importante, la musica è importante. L’ultimo video è stato fatto con il cellulare: abbiamo applicato un processo peggiorativo, avremmo potuto fare un video in super HD ma abbiamo scelto di fare una cosa amatoriale, di tornare a chi eravamo quando abbiamo iniziato. La musica è importante è il messaggio che mi preme che esca: ok il video, l’immagine, i social, però la musica viene sempre per prima.

Per quanto riguarda la dimensione visiva legata palco invece, avete sempre adottato un approccio scenografico piuttosto minimale: come si traspone quindi live l’immaginario dei BSBE?

Per questo tour abbiamo lavorato su un allestimento di luci particolari che segua i nostri movimenti e che crei sinergia e interplay. Ci saranno (ovviamente) colori dominanti e si giocherà tutto sui toni caldi del colore che si prestano per descrivere la musica soul black, che reputiamo una musica passionale, calda.

Visto che abbiamo parlato di immagini, invece di chiudere con i consigli per gli ascolti, consigliaci la cover di un album che ti ha colpito particolarmente.

Jim James, Eternally Even, forse anche perché è un disco a cui sono affezionato: la cover ha ha una forte dominante di rosso e lui appare coperto da una maschera.

Scopri tutte le date del VIVI SUONA BLUES RIPETI TOUR

05/04/2018 – Milano, Santeria
06/04/2018 – Brescia, Latteria Molloy
07/04/2018 – Torino, sPAZIO211
13/04/2018 – Napoli, Galleria19
14/04/2018 – Firenze, Auditorium Flog
19/04/2018 – Bologna, Locomotiv Club
20/04/2018 – Treviso, New Age
27/04/2018 – Fermo, Heartz
28/04/2018 – Perugia, Urban