Avete presente quelle serie dove gli staff che lavorano alla Casa Bianca sono preparatissimi e super competenti e sanno risolvere ogni crisi in pochi attimi? Ecco, non così.
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_di Gianmaria Tononi
VEEP è la pronuncia completa di VP, Vice-President, ed è una delle abbreviazioni utilizzate dagli americani per sopravvivere al dover pronunciare per intero le cariche istituzionali più alte: allo stesso modo POTUS sta per President Of The United States e FLOTUS indica la First Lady. Ovviamente non è un’abbreviazione molto accettata a livello ufficiale, ma fortunatamente nessuno in VEEP ci farebbe gran caso, non stiamo esattamente parlando della più raffinata delle politiche, l’utilizzo della parola “fuck” come intercalare non lascia grandi dubbi.
È una comedy, che mescola elementi squisitamente rivolti alla satira politica con momenti di comicità ben più semplice veicolata dalla stupidità dei personaggi, una serie leggera che si pone come obiettivo il mantenersi sopra ogni schieramento politico: non si conoscono i partiti ai quali appartengono i personaggi, nemmeno durante le campagne elettorali, né si vede mai la faccia del presidente.
In questo modo riescono a criticare un intero sistema senza prendersi la briga di schierarsi, se durante una campagna elettorale agguerrita si riesce a seguire la trama e a comprendere tutto il non detto senza conoscere il partito dei candidati il segnale mi sembra chiaro, la differenza tra repubblicani e democratici è praticamente nulla.
Il fulcro politico della serie è Selina Meyer, la vicepresidente degli Stati Uniti. Un personaggio complesso che si può però riassumere in pochi comportamenti chiave: vuole acquisire più potere possibile, è pronta a tradire chiunque, non ha la minima considerazione dei suoi collaboratori, è completamente incompetente. Non è la figura del politico assetato di potere che ottiene vantaggi sulla pelle dei propri elettori, è la figura del politico assetato di potere che non sa dove sia, non sa bene come ci sia arrivato, rimane a galla a fatica ed è circondato da imbecilli.
«La serie appare a tratti demenziale, ma in realtà è un prodotto intelligente e calibrato, mantiene la spontaneità e la caratterizzazione dei personaggi
tipiche di una sitcom ma va molto al di là»
Passa dall’essere vicepresidente all’essere presidente quasi per caso, dal non volersi ricandidare al lottare per vincere, dal voler abbandonare la scena politica a volersi ricandidare nonostante abbia qualsiasi statistica a sfavore.
Tutti i suoi collaboratori sono i personaggi intorno ai quali realmente si sviluppano le storie, sono gli inetti che si dividono con la protagonista la comicità legata alla serie.
Amy sacrifica completamente la sua vita per la carriera al servizio di Selina, a tratti incapace di abbassarsi alle emozioni umane. Gary, fedelissimo aiutante e portaborse (troppo letteralmente) della vicepresidente, senza una personalità se non quella a lei legata, palesemente innamorato di Selina.
Dan è un assetato di potere che svolge qualsiasi ruolo per chiunque, basta che venga visto come un avanzamento di carriera, si stacca da Selina ma senza mai realmente allontanarsi. Mike, il direttore delle comunicazioni, con gravi incapacità organizzative, viene tagliato fuori dallo staff e rientra per scrivere la biografia della presidente.
Ben e Kent, il primo disilluso da una vita passata senza cambiamenti alla Casa Bianca, capace consulente politico, ed il secondo intelligente statistico che fatica a rapportare i risultati dei propri calcoli con la vita esterna. Richard, ultimo arrivato, teoricamente assistente della vicepresidente al quale vengono assegnati i compiti più semplici senza che riesca peraltro a svolgerli.
Oltre a loro tanti altri personaggi improbabili si alternano, come Jonah Ryan che passa dall’essere il legame tra Selina e il presidente al diventare un membro del congresso la cui principale battaglia è l’abolizione dell’ora legale, aiutando ad arricchire di improbabilità l’intera serie.
Pochi dei protagonisti si salvano per intelligenza, molti di loro non sarebbero palesemente adatti a gestire le loro proprie vite e si trovano a gestire una vicepresidenza, una presidenza, una campagna elettorale e un disperato tentativo di lasciare la propria impronta nella storia del mondo.
La serie appare a tratti demenziale, ma in realtà è un prodotto intelligente e calibrato su un’ironia importante, mantiene la spontaneità e la caratterizzazione estrema dei personaggi tipiche di una sitcom ma va molto al di là, si basa su un’orizzontalità della storia che riesce ad appassionare anche per le vicende che si sviluppano: le nomination e le vittorie agli Emmy degli attori/attrici e delle stagioni in generale non sempre sono un’indicazione di qualità ma in questo caso non lasciano dubbi. A settembre 2017 c’è stata la riconferma con la vittoria dei titoli di miglior comedy e migliore attrice in una comedy.
La colonna sonora praticamente non c’è: qualche pezzo qui e là, soprattutto con riferimenti espliciti, però niente che segni profondamente lo spettatore. Ci si può accontentare della sigla in stile TG anni 90?