Più di un centinaio di edifici solitamente chiusi al pubblico, aprono i battenti invitandoci a scoprire tutte le meraviglie e i misteri che nascondono.
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_di Martina Galanti
_di Martina Galanti
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Il 10 e l’11 giugno Torino rivela alcuni dei suoi segreti. Segreti che nemmeno i torinesi più esperti conoscono ma che siamo sicuri saranno entusiasti di scoprire.
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Il format internazionale di Open House arriva per la prima volta a Torino. Nato a Londra nel 1992, si è diffuso in tutto il mondo e conta al momento più di 30 città nella rete di Open House Worldwide; Torino è la terza destinazione in Italia: nel 2012 infatti Open House era arrivata a Roma, mentre nel 2016 a Milano. Il progetto vuole essere incentivo all’ecologia urbana e al pensiero di una città che si deve poter modellare sugli abitanti e sul loro viver bene come singoli e in comunità.
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Open House Torino è l’occasione per conoscere meglio la nostra città e coadiuvare il nostro orgoglio sabaudo; si tratta anche un’occasione per chi non vive a Torino di scoprire i luoghi meno battuti dagli itinerari turistici, che vedono Torino essenzialmente legata al suo passato e poca aperta alla novità e alla sperimentazione.
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Grazie all’incredibile varietà di location coinvolte nell’iniziativa si potranno visitare non solo case private interessanti per la loro audacia come:
The Number 6 (che ha guadagnato la nomea di “casa più bella del mondo“);
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25 Verde;
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Casa Y di Pino Torinese che negli anni ha attirato l’attenzione della stampa nazionale e internazionale o ville liberty come Casa Bossi e Villino Raby;
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Ma sarà anche possibile scoprire luoghi di riqualificazione urbana nei sorprendenti Docks Dora o nell’Ex Birrificio Metzger, simbolo della Torino industriale che diventa città d’arte, ma soprattutto città contemporanea pullulante di artisti (che, grazie alla conversione di edifici industriali, trovano nuovi spazi creativi ed espositivi: vedi l’esperienza di Cripta 747). Gli edifici protagonisti dell’iniziativa sono dislocati su tutto il territorio urbano, coinvolgendo anche le periferie e le zone che più necessitano di progetti di riqualificazione.
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La parte più interessante di questo progetto è forse quella che si occupa di dare spazio e visibilità ai progetti attuati nelle zone che di solito vengono poco considerate dagli itinerari classici: Spazio MRF ricavato in un capannone abbandonato della Fiat, Casa Ozanam e OrtoAlto (in origine pensata come stamperia di lamiere e oggi divenuta spazi per orti pensili di comunità).
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Una città che guarda alle fabbriche dismesse come un’occasione per creare qualcosa di nuovo, sul modello della Cohousing Numero 0. O almeno sembra provarci.
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