L’angelo indie del Missuori, in tour con l’ultimo disco My Woman, scalda i cuori del pubblico della Salumeria della Musica, al resto del corpo ci pensa il soffocante caldo di giugno. Il racconto del live sold out di Angel Olsen a Milano, tra sudore e lacrime di commozione.
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_di Stefano D.Ottavio
Non prendiamoci in giro: chiunque sia minimamente interessato alla musica sa che in questi giorni a Barcellona si sta tenendo il Primavera Festival, ricco di nomi incredibili che difficilmente passeranno a breve dall’Italia: da Aphex Twin a Bon Iver, fino a stelline dell’indie che proprio per il fatto di essere state inseriti nel prestigioso cartellone del festival catalano fanno gravitare attorno a sé parecchia hype.
Angel Olsen è un nome che potrebbe comparire spesso sulla vostra timeline dei social network se avete tra gli amici giornalisti e critici musicali, gestori di webzine o semplicemente persone attente alle novità più fresche che arrivano dall’altra parte dell’oceano. Lei è una delle star di cui prima si parlava: come perdersi una cantante che passa da Milano a due giorni dalla sua attesa esibizione al Primavera? Quale metodo migliore per lenire l’invidia verso quegli amici stronzi che si sono organizzati per tempo e che stanno riempiendo di foto di concerti le stories su Instagram?
Ecco una delle possibili ipotesi del sold out di ieri alla Salumeria della Musica di Milano, concerto reso possibile dal lavoro di DNA Concerti e Via Audio. Dalla sua, la ragazza del Missuori oltre i riflettori puntati addosso ha anche dei dischi bellissimi ed intensi, tra i quali il migliore è forse l’ultimo My Woman, uscito nel settembre del 2016 per l’etichetta Jagjaguwar (già casa di Foxygen, Dinosaur Jr e del già citato Bon Iver) e contenente la canzone più celebre e scanzonata della cantante, Shut Up Kiss Me, accompagnata da un video che sta per raggiungere tre milioni di visualizzazioni.
C’erano tutti gli ingredienti per aspettarsi un grande live ed una serata gradevole, se non fosse stato per un problema all’impianto di areazione del locale milanese (si sono probabilmente rotte le ventole a poche ore dal concerto), cosa che non è andata a nozze con le temperature assai afose di inizio giugno e con una grande quantità di gente che si accalca davanti al palco di un posto al chiuso. Questo non ha permesso di seguire con la giusta attenzione e tranquillità un live che per sua natura richiede calma ed attenzione, muovendosi d’altronde la Olsen sulle lente ed intime corde della malinconia.
Ma la qualità elevata della serata è stata indiscutibile, fin dall’act di apertura: per scaldare il pubblico (perdonatemi i continui riferimenti al caldo da svenire) c’è stata la divertente esibizione di Alex Cameron, che con band al seguito per una buona mezz’oretta ha presentato i pezzi del suo album di debutto Jumping with the Shark, pubblicato nel 2016 dalla mitica etichetta Secretly Canadian. Tra Nick Cave e David Bowie, sia dal punto di vista d’ispirazione musicale che di disagio interiore, il buon electro-pop di Alex Cameron fa ben sperare nell’aver assistito al concerto del prossimo fenomeno indie alla Mac De Marco (cantante con il quale tra l’altro Cameron ha diviso alcuni tour).
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E’ tempo per Angel Olsen di guadagnare il centro del palco, con una mise da cantante folk d’altri tempi come è la sua musica, pensando anche solo al suo debutto discografico del 2010 Strange Cacti, musicassetta di cover di brani classici americani. Tra gente letteralmente rapita dalla grande bellezza ed il talento dell’angelo del Missouri ed altri meno pazienti che hanno cercato refrigerio fuori dal locale fin da subito abbandonando l’esibizione, la Olsen snocciola i brani di My Woman con grande eleganza, fin dall’apripista Heart Shaped Face, dando in pasto al pubblico poi Shut Up Kiss Me come terza canzone della scaletta e proseguendo con la toccante maliconia di Those Were the Days.
Anche dal palco si percepisce un caldo insopportabile, ma Angel Olsen liquida il fastidio con delle battutine sornione tra un pezzo e l’altro, per poi cambiare in un nanosecondo tono di voce e iniziare nuovamente a cantare i suoi pezzi, in un’altalena sonora tra la vocalità di St Vincent e il Jack White meno schizofrenico e più acustico. Il live vale il prezzo del biglietto, l’hype ed il sold out sono tutti meritati, e così rimane l’unico rimpianto di non essersi portati fazzoletti a sufficienza per asciugarsi le lacrime ed una maglietta di ricambio per non morire di broncopolmonite una volta fuori dalla Salumeria.