Get Out: un raffinato horror a sfondo razziale

Jordan Peele non si serve della tensione per un puro gusto del brivido, ma realizza un ritratto della situazione razziale in America.


_di Matteo Billia

Dopo un considerevole successo negli States Get Out arriva finalmente in Italia, ponendosi agli occhi della critica come un raro caso in cui il cinema di genere fa scuola.

In una scena del film Peele ci fornisce un efficace ritratto dell’odio: tra i vari componenti della famiglia Armitage si tiene un’asta. Una bellissima carrellata ci rivela lentamente che l’oggetto in vendita non è altri che Chris, il protagonista. In un gioco di paradossi, di false apparenze, Chris inizia a realizzare che non si tratta solo di odio, ma di una cospirazione contro la sua persona per impossessarsi del suo corpo .

L’intreccio degli eventi del film sono un continuo rimando ad una realtà psicologica ben chiara ai neri d’America. Nonostante la vicenda si riveli presto poco credibile, tutto rimane giustificato dalla lettura “fiabesca” e da un rimando sottilmente metaforico. Il protagonista è un eroe nero, simbolo di purezza, mentre al contrario, la famiglia degli Armitage incarna l’odio assoluto, il male della nostra società.

«Chris è il cervo. Il nero è un animale da trofeo per i bianchi»

In un comprensibile rovesciamento l’unico vero amico possibile per Chris è qualcuno che condivide il suo stesso “corredo genetico”, colui che sarà il suo salvatore.

Get out si afferma come un horror molto raffinato psicologicamente ed esteticamente, probabilmente uno dei migliori di questi ultimi anni e conferma anche le notevoli capacità attoriali di Daniel Kaluuya, molto apprezzato in Psychoville.

All’inizio del film, quando Chris osserva il cervo che lui e la sua ragazza hanno accidentalmente investito, è come se vedesse se stesso, come se la morte del cervo fosse quella a cui rischia di andare incontro visitando la famiglia Armitage. Il discorso che il padre della ragazza gli fa sui cervi poco dopo è palesemente un modo velato di parlare della condizione dei neri, che viene affrontato cambiando il soggetto, in un gioco di rimandi e di sostituzioni che sorregge l’intera impalcatura del film. (Non è forse questo il piano invisibile su cui si sono spostati i discorsi di razza nei giorni nostri?)

Anche se questa ambiguità nei discorsi non è da subito sospettabile dai personaggi del film, è palese allo spettatore, il quale si pone su un piano diverso rispetto ai personaggi. Chris è il cervo. Il nero è un animale da trofeo per i bianchi, che desiderano il suo corpo perché più prestante del loro. E proprio le corna del trofeo di un cervo saranno in qualche modo il deus ex machina della vicenda…