Una sitcom che non ha nulla da invidiare alle comedy più famose e che arriva a introdurre un concetto (quasi) completamente nuovo.
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_di Gianmaria Tononi
Prodotta da gente che ha creato e scritto show del calibro di Scrubs (e si vede, non una volta sola), Parks and Recreations and Friends, una sitcom che fonda la narrazione sulle esagerazioni stereotipate dei protagonisti: il 30enne bello e sicuro di se che evita le relazioni fisse, il coinquilino goffo e timido che canta in continuazione ed è alla ricerca dell’amore, il barista gay da poco dichiarato che vuole sfruttare tutta la sua libertà, l’amico afroamericano grassottello che ama Detroit e non può fare altro che tenerezza, l’amico con difficoltà sociali evidenti, la sorella single che affonda tutti i dispiaceri nell’alcool.
Tutto si svolge fondamentalmente nel bar di uno di loro, l’insicuro Justin, e nella casa sua e di quello che sicuramente conduce l’intera serie, Danny. Le situazioni sono lineari, semplici, difficile che ci si ponga davanti ai grandi problemi della vita. Come in tante altre sitcom ciò che devono risolvere riguarda relazioni, amorose e non, e capacità di affrontare il quotidiano in modo meno scontato del previsto.
La comicità scaturisce dai personaggi, non dalle situazioni: ogni attore è incredibile in ciò che si trova a rappresentare, riesce a portare al limite la semplicità del proprio ruolo senza mai stancare, senza cadere nei clichè che tante altre serie hanno purtroppo sperimentato col tempo.
Certo, probabilmente la cancellazione dopo la terza stagione (ferita che rimane aperta e che è arrivata forse non inattesa ma sicuramente con una durezza inaspettata) ha impedito che si raggiungesse la saturazione dei personaggi, questo va riconosciuto.
Però tutto il girato che ci è stato regalato dovrebbe essere accolto come oro colato: ci si appassiona a tutti i modi di dire, tutti i comportamenti, tutti gli atteggiamenti dei protagonisti. Certo, se poi mentre la guardate non ridete ai calci incredibilmente pericolosi di Danny o alla sua imitazione dello scimpanzè probabilmente non fa per voi (o voi non fate per le sitcom, difficile discernere), ma queste sono tendenze personali.
La terza (e ultima, sigh) stagione è girata interamente live, con due riprese diverse a breve distanza per rispettare gli orari di messa in onda sulla costa est e ovest degli Stati Uniti e con ospiti d’eccezione in studio per la sigla di apertura e chiusura anch’esse eseguite live.
È stata la grande novità che hanno scelto di implementare, senza soddisfazione, per provare a rilanciare il rinnovo per la stagione successiva e che riesce a farci apprezzare tante cose, dalle differenze tra i due girati a quei piccoli dettagli che traspirano dalla recitazione e sconfinano nella vita reale, complice il rapporto con i social media e il live tweeting su tutti.
È una sitcom “intelligente”, ben pensata, che ricorre a tanti stratagemmi per non risultare mai banale: le apparizioni del cast di Scrubs o di Scott Foley a rappresentare sé stesso ci ricordano che Undeateble vive nel nostro stesso mondo, i riferimenti alla carriera comica dei vari attori fanno lo stesso, i continui tentativi di sfondare la quarta parete e passare dalla parte del pubblico (compresa la rivelazione del numero di telefono di uno di loro).
La possibilità delle riprese live è ovviamente altissima e riesce a lasciare i protagonisti sempre “sul pezzo” della vita reale, anche nei momenti più bui dove un cast non riesce ad entrare in scena e ridere come se niente fosse il giorno successivo agli attentati di Parigi ed annulla la puntata.
È una serie che fa ridere, tanto e facilmente, e che nonostante premesse che potrebbero sembrare banali riesce a mantenere un’intelligenza tipica dei grandi lavori, riferimenti che faranno sentire lo spettatore felice di essere coinvolto e che si confermano puntata dopo puntata frutto di una capacità che è difficile riscontrare in modo diffuso.
Come quella volta che uno dei protagonisti di una serie tv stupenda ha iniziato l’ultima puntata di sempre cantando alla propria ragazza I Want It That Way dei Backstreet Boys (https://www.youtube.com/watch?v=4fndeDfaWCg) e loro sono arrivati e l’hanno accompagnato mentre tutto era registrato live, fermandosi anche per cantare la sigla iniziale e finale?
Proprio come quella volta lì.