In occasione dell’imminente live ad Apolide festival, abbiamo fatto una chiacchierata con il songwriter napoletano di casa a Milano, ex Abulico e ora fresco di pubblicazione dell’album “Our life will be made of simple things”, uscito per Sangue Disken/Ghost Records: un concentrato di alt-folk che mescola pathos partneopeo e spleen nordico.
Old Fashioned Lover Boy si esibirà ad Apolide Festival (dal 27 al 30 luglio), sul Boobs Stage inaugurato quest’anno. Oggi sono ufficialmente usciti i tickets: , sceglia la formula che preferisci e #prendiferie.
Disco registrato in Italia, ma dal mood “nordico”, ora arrivi ad un festival “apolide”: quanto il luogo in cui ti trovi influenza il tuo live?
La location, il contesto, il feeling fanno sempre la differenza. All’inizio intendevo il live con più distanza, mi chiudevo in un mio mondo parallelo in cui contavano solo la mia chitarra e le mie canzoni. Con il tempo ho imparato ad apprezzare quanto lo scambio di sguardi, di emozioni, e la condivisione siano parte essenziale di un buon live. Sono cose che impari con il tempo… soprattutto quando suoni tanto da solo in giro.
A proposito di Apolide, che vuol essere una sorta di “intervallo into the wild dalla quotidianità”: che rapporto hai con la natura? Componi spesso en plein air? Più in generale: come nasce di solito una tua canzone?
Ho sempre composto a casa mia. Non dedico molto tempo alla scrittura, ma cerco di sfruttarlo nel modo giusto. Ci sono momenti in cui – per cose che accadono, per cose che ascolto, per esperienze che vivo – capisco di avere qualcosa dentro da poter tirare fuori in una canzone e allora mi chiudo a casa e magari in una sera ne tiro fuori 3 o 4, per questo credo siano più le esperienze, le sensazioni magari legate ad un luogo ad influenzarmi. Ma poi il luogo vero e proprio della scrittura resta sempre quello domestico, quello dove mi sento al sicuro.
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Ti chiami Old Fashioned Lover Boy e ti inserisci in un po’ in quel filone dream-folk che non passerà mai di moda: ti senti di appartenere a questa epoca o sei un nostalgico a oltranza?
Mi sento figlio di questa epoca nel senso che tutto quello che la musica ci ha regalato fino ad oggi lo considero un bagaglio, una continua ispirazione da provare a rielaborare con una chiave personale, senza dover per forza stravolgere.
Amo la semplicità ed amo la melodia. Viviamo in un’epoca in cui tutto diventa più veloce e sfuggente, e nelle mie canzoni cerco di “rallentare” il flusso. Sembra una dichiarazione di chi rifiuta la sua epoca, ma invece è proprio figlia di questa, della nostra condizione attuale.
Tornando al festival, sarai uno degli artisti che si esibiranno nel Boobs Stage. Nonostante il nome potrebbe evocare categorie di Youporn, deriva invece dalla location che lo ospita, una bocciofila. Si tratta diciamo del “lato intimo di Apolide” e si sposa perfettamente con l’intimità sognante della tua musica. Credi che il palco sia importante a dare la giusta dimensione alle tue canzoni o ti ci vedi – chessò – a suonare in uno stadio?
In questi ultimi 2 anni non mi sono mai fermato, mi è capitato di suonare ovunque… da tabaccherie a grandi teatri, passando per piazze, cinema abbandonati, club del circuito indie e club commerciali. Mi è capitato di trovarmi davanti 2 o 2mila persone. Credo che sia tutta una questione di feeling, il rapporto che riesci ad instaurare con il pubblico che hai davanti. Magari sei in uno stadio ma ono tutti lì per quello che c’è dopo di te e nessuno ti ascolta sul serio… a quel punto tanto meglio suonare davanti a 20 fan realmente interessati. In ogni caso sticazzi – ci andrei di corsa a suonare in uno stadio!
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Foto di copertina: credits Barnaba Ponchielli