Dopo Sisifo, uscito nel 2016, Gaia Ginevra Giorgi pubblica con Interno Poesia (tramite una campagna di crowdfunding) la nuova raccolta Manovre Segrete e ci racconta il suo percorso di giovane poetessa.
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_di Giorgia Bollati
Dalla filosofia agli studi teatrali, Gaia Ginevra Giorgi ha esplorato diverse forme d’arte e ha plasmato su di esse le sue parole, creando piccoli frammenti di tempo sospeso, anelanti e ansanti, fatti di odori, di terra e di fango. Grazie al finanziamento collaborativo, Manovre segrete viene dapprima distribuito in prevendita su richiesta e poi passa a riempire le vetrine delle librerie: ne parliamo direttamente con l’autrice.
Quando hai scritto la tua prima poesia? Ricordi cos’hai provato in quel momento? Ora provi le stesse sensazioni quando scrivi?
Ho iniziato a scrivere quando ho imparato a leggere. Già da bambina maturava in me questa specie di ossessione memorialista, un’esigenza di fissare le sensazioni che scoprivo, le immagini e le intuizioni che mi si manifestavano. Dare loro un corpo – una forma, era qualcosa che mi tranquillizzava. Attestava la mia esistenza e in un certo senso la legittimava. Durante il liceo iniziai a scrivere racconti; amavo la distanza che si creava tra la mia vita e quello che potevo far succedere, scrivendo. Allo stesso tempo, in segreto, anche da me stessa per certi versi, scrivevo a notte fonda (condannata da un’insonnia che mi avrebbe accompagnata per anni) delle piccole prose d’arte. A posteriori, e con un po’ di stupore, posso dire che quelle sono state le mie prime poesie. Ai tempi era una specie di attività illecita, che nascondevo e occultavo. Una fuga, certamente un rifugio. Qualcosa che aveva a che fare con il buio.
Oggi ho un rapporto molto più carnale con le parole, quando scrivo so che sto donando.
Cosa pensi della forma metrica chiusa al giorno d’oggi?
Io non l’ho mai adottata, forse perché vengo dalla filosofia, forse perché ho un approccio molto prosaico ai versi, non lo so. Mi è più congeniale il verso libero. Posso stare mesi e mesi sulla scelta di una parola, cercando la musicalità più nel suono che nella metrica del verso. Penso molto alla musica quando scrivo. Sono arti gemelle, dopotutto, e il fatto che porti il testo alla dimensione performativa non fa che esasperare questo aspetto. Tuttavia conosco e ammiro sinceramente certi lavori in metrica chiusa di alcuni poeti italiani contemporanei.

«Penso che la mia non sia una vera e propria malinconia, ma più che altro saudade»
Quanto c’è di autobiografico nei componimenti dedicati ad un “tu amoroso”?
Come scrive Paul Celan in una lettera ad un amico: “Solo mani vere scrivono poesie vere”. Io non m’invento nulla, cerco di rendere la mia esperienza per quanto possibile universale, ma tutto quello che scrivo è passato, in qualche modo, attraverso me. Spesso attraverso il mio stesso corpo. Non mi fanno paura i segni, mi piace sporcarmi ed esserci, dedicarmi.
Che ruolo ha il passato per te e nella tua scrittura?
Come ha ribadito Claudio Pozzani nella prefazione di “Manovre segrete”, la memoria, come rielaborazione del ricordo, sempre in chiave sensibile, spesso sinestetica, è un tema fondamentale della mia poetica. Ho una forte memoria fisica per cui vengo spesso indotta e ricondotta a luoghi e sensazioni del passato. Forse sono un po’ malinconica, ma non mi va di definirmi tale. Questa sorta di legame con un passato sempre presente che ritorna credo abbia a che fare con la mia storia familiare, legata alla dimensione dell’abbandono. Per questo motivo penso che la mia non sia una vera e propria malinconia, ma più che altro “saudade”.
Quali riconosceresti come parole chiave della tua poetica?
C’è nei miei versi una componente sensuale legata a parole come terra, luce, ombra, sale, pietra, donna e una più intima, quasi del tutto domestica, legata al nome di certi oggetti che interagiscono con me quotidianamente come letto, finestra, soffitto, pavimento. Altre parole che ritornano inevitabilmente sono attesa, abbandono, azzurro, madre, figlia.
Quando pensi al tuo luogo-rifugio, dove ti proietti?
La collina piemontese è un luogo della mia infanzia a cui ripenso sempre, e per cui provo un viscerale sentimento di appartenenza. La collina per me è pace e insieme ferocia primitiva. Poi c’è il mare. Il Mediterraneo come stanza mentale, legata al momento meridiano, che suscita un’impressione del tutto panica.
Che immagine hai di te stessa quando ti specchi in Sisifo? E, al confronto, quale quando ti specchi in Manovre Segrete?
Sono due lavori molto vicini tra di loro. Sisifo apriva le questioni che in Manovre segrete sarebbero poi state approfondite. Le risposte non sono venute, ma non sono state nemmeno cercate. Le tematiche sono sempre le stesse: il selvaggio, il sesso, la natura, la morte. Manovre segrete le sviluppa in modo più raffinato, e soprattutto mette un punto.
La pubblicazione della seconda raccolta Manovre Segrete avverrà tramite crowdfunding: ci racconteresti la genesi di questo progetto? Raggiunta la quota necessaria, come procederà il vostro programma?
Il progetto è nato dal mio incontro con Interno Poesia, seguivo con interesse la pagina e Andrea Cati, dopo aver letto un mio inedito, mi ha chiesto se avessi altro materiale da mostrargli. Ce l’avevo e così è nata l’opportunità di pubblicare il mio secondo libro, con la prefazione di Claudio Pozzani e la postfazione di Valentina Colonna.
Terminata la campagna di prevendita del volume in corso di edizione, una vera e propria anteprima editoriale, la raccolta sarà distribuita nelle librerie fisiche e online tramite DirectBook, il distributore nazionale di IP. Il libro seguirà l’iter promozionale che prevede la proposta della raccolta alle principali testate giornalistiche e letterarie, l’organizzazione inoltre di presentazioni e ulteriori progetti di videopoesia. Insieme all’editore individueremo poi i festival e i premi letterari a cui proporre Manovre segrete. Certamente continuerò a lavorare sulla performance poetica sonorizzata e saranno in arrivo novità che riporterò sulla mia pagina Facebook.