[INTERVISTA] Dutch Nazari: l’amore ha il ritmo di un treno anzi di una stazione

Uscito da qualche giorno, “Amore Povero” di Dutch Nazari, si sta già imponendo come uno dei dischi più interessanti dell’anno, per la sua strana e suggestiva unione tra dimensione rap e suggestioni cantautorali, tra velleità di storyteller e attitudine teatrale.

_di Mattia Nesto

Ci siamo fatti raccontare da Duccio, in partenza per la stazione di Lambrate per un nuovo mini-live, qualcosa di più sul suo nuovo disco.

Partiamo dal titolo del tuo nuovo album, “Amore povero”: che cosa ci stai dicendo? Che oggigiorno anche il sentimento principe è, se non in svendita, quanto meno in liquidazione?

“Le cose sono andate così. Un mio caro amico, Francesco Bassi, che ha una cultura musicale praticamente infinita, qualche tempo fa mi ha fatto ascoltare un rapper tedesco, tale Cro. Questo Cro, molto popolare in Germania, è famoso perché ha coniato un termine per descrivere la sua musica, ovvero raop, come a dire una perfetta commistione tra musica rap e musica pop. Prendendo spunto da una sua canzone nella quale, sostanzialmente, diceva “Amore non ti preoccupare/ ho tutti i soldi di cui hai bisogno” e poi facevo un elenco infinito di cose da comprare, io ho preso lo spunto e ho scritto la canzone “Amore povero” a cui poi è legato l’intero album.”

Un po’ al contrario di quella famosa poesia di Saffo, quella che fa “Un esercito di cavalieri, dicono alcuni, altri di fanti, altri di navi, sia sulla terra nera la cosa più bella: io dico, ciò che si ama”…

“Beh, in effetti è così anche se poi non voglio passare per quello dotto a tutti i costi.”

Però già che ci siamo non posso non chiedertelo: quanto conta per te la letteratura?

“Guarda la risposta è piuttosto semplice. Una volta un giornalista mi aveva detto che io ero uno colto perché avevo intitolato la prima canzone dell’album “Proemio” e quindi uno non colto non avrebbe mai potuto dare un nome così. In realtà io non mi si sento tale, cioè ho letto dei libri ma ne mancano molti però ho fatto le medie e alle medie mi hanno fatto imparare a memoria il proemio dell’Iliade. Ecco da qui viene l’idea del proemio perché, alla moda degli antichi, anche io mi sono votato ad una certa Musa, gli ho donato le mie corde vocali, per fare qualcosa di bello. Quindi niente intellettualismi ma solo… medie!”

Ma ti senti, per così dire, “il rapper che dice no al rap”, se mi consenti la forzatura dialettica?

“Io penso che le definizioni servano per riconoscerci, per conoscerci. Poi uno va oltre, passa avanti e cerca di comprendere fino in fondo l’essenza vera di quel dato artista. Al di là del fatto che l’originalità, come concetto sempre e comunque positivo, è nato con l’Illuminismo, prima rifarsi agli Antichi non era un peccato ma anzi era vista come una cosa da farsi, io credo che abbia detto bene Dargen D’Amico. Dargen si definisce un “cantautorapper” e io mi sento tale. Cioè io ho iniziato ad ascoltare rap a scuola e non ho smesso ma poi, quando andavo in vacanza con i miei, si ascoltava in macchina De Gregori, Dalla, Battisti e Guccini.
Questi ascolti, non posso negarlo, mi hanno formato e ultimamente li sto riscoprendo. Poi è chiaro, sempre per il discorso di capirsi, comprendo come quello che faccio possa essere etichettato come “rap indie”, dato che in Italia, ma solo qui, indie è un genere. E quindi io sono un po’ il corrispettivo nel rap di Motta o Calcutta nel pop
mainstream.”

Quanto hai impiegato a registrare “Amore povero”?

“Le canzoni le ho scritte in un arco di tempo di un anno e qualche mese. Alcune suonavano bene assieme altre erano più solitarie, avevano un mood diverso. Per questo prima è uscito un ep e poi un album. L’album l’ho registrato nel corso di una settimana a Padova, con l’aiuto dello stesso Dargen, persona che apprezzo e stimo immensamente anche dal punto di vista dei suggerimenti musicali.”

In una intervista di qualche tempo, ti chiedevano come si stesse a Trento ed a Padova, rispettivamente la città in cui hai studiato e la tua città natale. Ora vivi a Milano: come ti trovi? Quali sono le differenze, sia quelle positive come quelle negative?

“In realtà mi sono trasferito da poco a Torino ma io dico sempre che sono le persone che fanno i luoghi. Ecco perché ora sono a Torino: perché qui c’è il mio amico Willie Peyote e tutta una serie di persone che amo frequentare. Detto questo Padova è una città piccola e Trento ancora di più, ma sono due belle città, molto tranquille in cui non è che ci sia tutto questo granché da fare. Milano è caotica, c’è tutto e il contrario di tutto. Per il mio gusto personale preferisco qualcosa di più intimo e piccolo.”

Ti abbiamo seguito, sia dal vivo come sul web, nei tuoi live improvvisati in stazioni della metro o del treno: come mai hai scelto questi scenari piuttosto bizzarri come scenari per dei mini-live?

“Era una cosa che avevo in programma di fare da una vita. Anzi volevo proprio pagarmi una vacanza suonando in strada, dove capitava, con un animo un po’ da busker. Alla fine, vista l’uscita del disco, ho deciso di combinare le due cose e buskerizzare le presentazioni dell’album. Quindi live nelle stazioni, seguendo l’omonima canzone “Nelle stazioni”, era la soluzione giusta. Anzi non è un caso che ci siamo visti alla Stazione delle Corriere di Milano: sono in partenza per Lugano, per il prossimo live.”

Praticamente tutti chiedono della tua ascendenza/amicizia/rassomiglianza con Dargen D’Amico: invece ti domandiamo a quale artista, non necessariamente della scena rap, tu sia legato in modo particolare, volendo anche del passato.

“Oddio, bella domanda. Ho un’esplosione di nomi in testa… facciamo che te ne dico due, uno per il mondo del rap e uno per il mondo cantautorale. Quello cantautorale è Giorgio Poi, un artista che ho iniziato a conoscere con “Niente di strano” e che, tutte le volte che faceva uscire una nuova canzone, diventava in automatico la mia canzone preferita. L’altro nome, del mondo del rap, è invece il giovane milanese Rkomi. Ha fatto uscire un ep che è una bomba, letteralmente una bomba. Ci sono andato proprio sotto con “Dasein Sollen”.”