Titolo forse non troppo incoraggiante per lanciarsi nella lettura di una intervista. Ma Giorgio Poi si riferisce al suo rapporto col palco, alla sua dimensione live. Di questo e di molto altro (il passaggio da una scrittura in inglese ai nuovi testi in italiano ma anche l’ingresso nel roster di Bomba Dischi) abbiamo riflettuto direttamente con lui in una chiacchierata durante la quale si è dimostrato affabile e decisamente meno laconico che on stage…
Dal 2014, oltre alla temperatura mite con la fine di marzo arriva a Torino l’appuntamento con il festival “Maledetta Primavera”, che tra venerdì 24 e sabato 25 marzo 2017 si è snodato tra il Cap10100 e le Officine Corsare portando in città alcuni degli artisti più interessanti del panorama indie italiano.
Tra questi spicca Giorgio Poi che, dopo essere vissuto tra Londra e Berlino ed aver lungamente suonato con i suoi Cairobi (ex Vadoinmessico) torna in Italia con “Fa Niente“, un bellissimo album pop da solista nella sua madrelingua, pubblicato da una delle label italiane più influenti degli ultimi anni, Bomba Dischi.
Lo abbiamo incontrato durante il soundcheck del suo concerto nel Cubo delle Officine Corsare, per scambiare quattro chiacchiere e parlare di tutti i cambiamenti, artistici e non, da lui vissuti nel giro di pochi mesi.
Io, insieme ai più distratti che purtroppo si sono persi per strada i Vadoinmessico/Cairobi negli scorsi anni, ti ho conosciuto nell’autunno del 2016 grazie ai programmi di Radio 2 come Babylon di Carlo Pastore in cui passava regolarmente la tua cover de “Il mare d’inverno”, canzone che ha preannunciato l’inizio della tua carriera solista.
Com’è cambiata la tua vita dall’ottobre dello scorso anno?
“A ottobre/novembre ero fisso a Berlino ed andavo in studio tutti i giorni a scrivere pezzi per il mio disco, e lì tuttora pago l’affitto. Invece adesso sono ospite dei miei genitori a Roma in attesa di trasferirmi in Italia perché in questo periodo ho bisogno di essere qui, dovendo suonare praticamente ogni settimana.”
Ecco, come sta andando questo tour?
“Sta andando molto bene, ieri [venerdì 24] ho suonato al Quirinetta di Roma, un posto stupendo che dopo un periodo di chiusura ha riaperto proprio con il mio concerto. Non so se abbiamo fatto sold out, dovrò chiedere, ma c’era moltissima gente. Sono anche molto contento per essere stato inserito nella line up del prossimo Mi Ami.”
Recentemente ho visto Motta al Monk di Roma, e durante il concerto ha scherzato sul fatto che non godesse di molta considerazione da parte del pubblico nel periodo in cui suonava con i Criminal Jokers, mentre invece ora ha molto successo da solista. Tu hai fatto lo stesso percorso, suonando sempre con una band fino a questo momento.
Qual è la differenza tra stare da solo e vivere in un gruppo?
“Ovviamente stando da solo hai libertà di fare tutto quello che vuoi, nei tempi in cui lo vuoi fare, senza dover aspettare ed essere dipendente da qualcuno. Questo è quello che mi ha spinto a fare una cosa da solo. Le dinamiche di gruppo sono sempre complicate, perchè si tratta di 4-5 individui adulti, ognuno con le sue idee e ognuno con la sua vita che lo impegna, soprattutto se non si vive solo di profitti del gruppo e bisogna lavorare. Non avendo una band tutti questi problemi non ci sono ed ora il disco l’ho registrato e suonato da solo nei tempi che volevo, mettendoci sette mesi.”
Ma non è anche più difficile star da soli, senza nessuno che ti faccia riflettere sulle tue decisioni e che per esempio ti faccia pensare cose come “Effettivamente ha ragione il mio batterista, quella mia idea era proprio una cazzata”?
“Con gli altri membri del gruppo costruivamo la parte live ma per il resto ho sempre scritto da solo. Le decisioni legate alla scrittura le ho sempre prese io anche nei Vadoinmessico /Cairobi, quindi non è cambiato tantissimo in questo senso.”
Una cosa che però è cambiata tanto è che per la prima volta scrivi in italiano. Come cambia il cervello nell’elaborazione di un testo tra italiano ed inglese?
“Sono onesto, pensavo che sarebbe cambiato di più. In realtà scrivo nella stessa maniera: ho un’immagine in testa e cerco di dirla con le parole che mi sembrano più giuste. L’italiano ovviamente mi da la possibilità di usare più parole, immagini che appartengono già a tutti, ed utilizzarle nel mio modo. In italiano poi ho un vocabolario più vasto rispetto all’inglese, perché è la lingua che parlo da quando sono nato, e c’è da dire che ogni parola italiana porta con sè tutto un carico emotivo di cose inconsce e sotterrate dietro di essa (come Patatrac, titolo di una traccia del disco, ndr). Non ho problemi con l’inglese: ho vissuto a Londra 7 anni apposta per imparare la lingua, desiderando di cantare in inglese e così ho fatto finora. Ma mentre ero lì mi è nato questo mito dell’italiano, un’ammirazione per la lingua ed ho voluto provare a “prenderne parte”.
Che rapporto hai con lo staff della Bomba Dischi (nel cui roster figurano anche Calcutta, Pop_X, Adriano Viterbini… ndr) ?
“Mi trovo benissimo con loro, sono quattro ragazzi d’oro che mi fanno anche da ufficio stampa e sono stati importantissimi in questo periodo. Con loro è stato un incontro felice, ovviamente se una cosa arriva al pubblico o no dipende da altro, ma lavorano bene e fanno tutto quello che c’è da fare.”
Una domanda marzulliana: Il disco “Fa Niente” è solo uno strumento per portare più gente ai live o i live sono solo un strumento per vendere più copie del disco? Insomma qual è la tua dimensione ideale?
“Per me sono importantissimi entrambi gli aspetti e forse questa è la cosa che mi piace di più del lavoro che faccio: ci sono dei momenti distinti in cui la mia vita è diversissima. Nel momento in cui sto scrivendo ho una vita regolare, mi alzo la mattina, vado in studio, mi diverto e sto lì da solo fino alla sera. Poi questo momento finisce e si entra in una fase completamente diversa in cui si sta sempre in compagnia, sempre in viaggio, per suonare per le persone per cui hai scritto quel disco. Mi piace moltissimo suonare e stare in tour, ma è un momento talmente diverso [dallo stare in studio] che sicuramente ad altri musicisti può piacere una cosa e non l’altra.”
Un botto di persone ti vedranno per la prima volta questa sera alle Officine Corsare ed ancora di più nel corso di questo tour da qui fino alle ultime date di maggio. Cosa dobbiamo aspettarci da te sul palco?
“Parlo poco, suono tanto. In realtà mi piacerebbe parlare di più ed intrattenere anche con le parole, ma è una cosa che non mi viene spesso e quindi il live non prevede grossi intermezzi. Poi magari a volte mi piglia bene ed ho voglia di parlare, dipende dalla situazione.”
Sicuramente ci aspettano dei grandi musicisti alle tue spalle, da quel che si sente e si vede da Youtube.
“Sì! Li ho conosciuti quando con la loro band, i Boxerin Club, hanno aperto un concerto dei Vadoinmessico un po’ di anni fa e poi ci siamo rivisti a New York perché suonavamo nello stesso posto. Ho conosciuto loro e Davide Gaucci di Bomba Dischi contemporaneamente, sono stato molto fortunato.”
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E siamo stati fortunati anche noi a trovare spazio in un Cubo stracolmo e praticamente sold out, anche grazie al fatto che prima dell’headliner ci fossero sul palco l’emergente torinese Liede e soprattutto i Canova, band che sta vivendo un momento particolarmente positivo, tanto da diventare il nome di punta insieme a Gazzelle della giovane Maciste Dischi.
Come preannunciato nell’intervista Giorgio Poi effettivamente parla poco, praticamente solo quando deve annunciare che il prossimo pezzo previsto in scaletta è una canzone scritta da “il signor Niccolò Contessa“, ovvero “Aurora” de I Cani. Ma questo silenzio è anche funzionale alla musica: dopo aver iniziato il concerto con una “Paracadute” suonata in solitaria, già dalla coda del secondo brano, ovvero “L’Abbronzatura“, la band si lancia in una jam psichedelica (con tanto di flauto) che culmina poi nell’intro della canzone successiva senza concedere un attimo di pausa, in una situazione che si ripeterà spesso nel live. Viene passata in rassegna quasi tutta la tracklist di “Fa Niente”, oltre la già citata cover dei Cani e l’obbligatoria “Il mare d’inverno” di Loredana Bertè.
Per la libertà d’esecuzione e le deviazioni in cui deragliano i pezzi, il live sembra un’estensione sensoriale del disco, come se il momento del concerto fosse per Giorgio Poi un’occasione per liberare i suoi brani dalla gabbia in cui sono costretti tra packaging e libretti vari e farli volteggiare nell’aria. Si sente l’esperienza accumulata negli anni di Vadoinmessico, si sentono gli anni di studio in chitarra jazz di cui si è accennato in altre interviste, ma ciò non rende il concerto pesante o borioso anzi va tutto a favore delle belle e complicate canzoni dream pop di questo artista. Il sound del disco di Giorgio Poi è sicuramente curato e ricercato, sebbene si poggi su una lunga tradizione italiana che parte da Battisti in avanti; ed è nella sua versione live che viene messo in mostra il reale valore di questo atipico cantautore.
Di fronte all’ispirato “songwriting psichedelico” di Giorgio Poi ci viene da dire che, più che al “nuovo Calcutta” (come qualcuno lo ha definito), siamo di fronte al Kevin Parker italiano.