Tre anni senza Pino

Il docu-film “Il Tempo Resterà”, diretto da Giorgio Verdelli e nelle sale fino al 30 marzo, rende omaggio a Pino Daniele a due anni dalla sua scomparsa.

_di Edoardo D’Amato

I viaggi in autobus possono avere una durata molto variabile: alcuni minuti se devi fare poche fermate, al contrario molti se bisogna tagliare un’intera città. Tuttavia il mezzo con cui James Senese, Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo e Tony Esposito attraversano Napoli durante il docu-film “Il tempo resterà” si chiama Vai mò e compie un viaggio lungo quarant’anni. Da Piazza del Plebiscito a Piazza del Plebiscito, dal 1981 al 2015, dalle 200mila persone del super concerto ai funerali in cui una città dalle mille contraddizioni si è ritrovata insieme in unico grande momento.

La storia di Pino Daniele inizia ufficialmente nel 1977, quando la EMI pubblica il disco d’esordio “Terra mia”, ma è due anni prima che accade un fatto straordinario, senza il quale probabilmente non ci sarebbe stata quell’evoluzione di lì a poco. Nel 1975 esce infatti il primo omonimo album dei Napoli Centrale: una bomba clamorosa, sia musicalmente (il meglio del meglio del prog inglese e jazz americano) che a livello di testi (emigrazione, povertà, sfruttamento e l’inesorabile passaggio dalla società agricola a quella industriale). Ebbene, Pinotto (come si faceva chiamare all’epoca) rimase letteralmente stregato dal sound e dall’attitudine di Senese e compari, tanto che un giorno si presentò dal sassofonista italo-napoli-americano: “Gli piaceva la mia band, Napoli Centrale, si presentò da me: sembava un indiano, e questo già mi pareva promettente. Gli dissi: “A noi manca un bassista”. E lui: “Ma io suono la chitarra”. E io: “Accattate ‘o basso e vieni a suonare con noi“. Fu così che tutto ebbe inizio.

Pinotto l’indiano

Gli sguardi dei componenti di quello che di lì a poco divenne il super gruppo per antonomasia si perdono nei vicoli di Napoli, mentre l’autobus attraversa una città che Pino ha saputo raccontare in tutta Italia (e non solo) attraverso il suo dialetto: come racconta Daniele Sanzone nei primi minuti del docu-film, “la musica di Pino è stata l’unica probabilmente ad unire le due anime di Napoli, e lo ha fatto attraverso il dialetto delle mille città che sono dentro Napoli, sdoganandolo e portandolo nelle classifiche di tutto il paese. Negli anni ’80 lui nella musica e Massimo Troisi nel cinema hanno fatto diventare Napoli e il dialetto napoletano cool. Ma lo hanno fatto senza mai piangersi addosso, hanno denunciato i mali di questa città sempre però a testa alta. E’ questa la vera rivoluzione di Pino, che gli ha permesso di arrivare ai ragazzi del Vomero così come a quelli di Scampia”. Una cosa che forse adesso riesce soltanto all’hip hop. L’utilizzo della lingua partenopea, dell’inglese e dell’italiano all’interno di pezzi dal sound USA creò un mix davvero rivoluzionario se pensiamo a cosa stazionava nelle chart nostrane. In particolare alcuni pezzi erano davvero sconvolgenti per l’epoca.

“Appocundria me scoppia, ogne minuto ‘mpietto, peccè passanno forte, haje sconcecato ‘o lietto. Appocundria ‘e chi è sazio e dice ca è diuno, appocundria ‘e nisciun”. Appocundria, da “Nero a metà”, vocabolo inserito nell’enciclopedia Treccani.

In un paese abituato a canzoni d’amore e ritornelli faciloni irrompe un ragazzotto con i capelli lunghi ricci e la tipica cazzimma di chi arriva dalla strada: nel 1976 per le strade di Napoli si beve e si sente “Na tazzulella ‘e cafè”. Una canzone di protesta a cui Massimo Ranieri inizialmente non diede troppo peso: “Pensavo fosse uno dei tanti guaglioni con la chitarra in mano, però mi affascinava molto quello che diceva. Era un cazzotto nello stomaco. Ci chiedevamo tutti chi fosse e cosa volesse. Mi incuriosiva molto, e speravo facesse un altro pezzo per vedere se era uno che voleva davvero portare avanti un suo discorso“.

Chi tene ‘o mare

Certo, Pino il suo discorso lo ha portato avanti. E in diverse forme: con l’arrivo degli anni ’80 e ’90 divenne sempre più un artista pop a tutto tondo. L’urgenza comunicativa degli anni d’oro lasciava spazio all’esplorazione di altri mondi, una fase ben spiegata nel docu-film con materiale inedito: è il periodo delle grandi collaborazioni internazionali (Chick Corea, Pat Metheny, Phil Manzanera, Al di Meola e ovviamente Eric Clapton), dei tormentoni nazionali (“Io per lei” nel 1995 gli permise di vincere il premio “Artista dell’anno” al Festivalbar) e dei tropicalismi di “Medina”. Ma questo ventennio è anche quello del sodalizio con Massimo Troisi: “Il tempo resterà” ci regala una chicca in tal senso, ovvero non il bellissimo ma inflazionatissimo video con cui Pino fa ascoltare per la prima volta “Quando” a Troisi, ma un inedito filmato in cui con alcuni passaggi il musicista tra una canzone e l’altra “infila” parti del suo capolavoro. Pino era un tipo umile, discreto: non avrebbe mai imposto qualcosa a nessuno, tanto meno ad un mostro sacro come il suo amico regista. Voleva che Massimo si innamorasse di “Quando” spontaneamente. E così è stato.

Una cosa che mi ha sempre fatto sorridere è stato il rapporto tra Pino Daniele e il Napoli: nel periodo di massimo splendore di entrambi, poche volte le due parti si sono incontrate semplicemente perchè lui non era un grosso tifoso di calcio. C’è però un video che riprende una serata a casa Ferrara: Pino sta suonando “Je so’ pazzo”, tutta la squadra sta cantando attorno a lui tranne Maradona, che è un po’ in disparte. Come mai? L’esilarante versione dei fatti la dà lo stesso Ferrara nel docu-film, e vi assicuriamo che questo è sicuramente un altro motivo per gustarvelo.

“Il tempo è una cosa che già esiste e nella quale noi ci inseriamo. Noi andremo via e il tempo resterà”

L’autobus arriva così al capolinea: in mezzo ancora molti altri contributi (molto toccante quello di Ezio Bosso) e una serie di chicche che Verdelli ha selezionato attraverso una lunga e paziente ricerca, che ha permesso allo stesso Pino Daniele di essere voce narrante, supportato da tutti gli ospiti e da Claudio Amendola in particolare. La visione de “Il tempo resterà” è consigliata dunque sia ai fan più navigati che a quelli che vogliono scoprire chi è stato e cosa ha rappresentato questo meraviglioso artista, che non ha mai smesso in tutta la sua vita di essere sè stesso.

“Il tempo resterà”, diretto da Giorgio Verdelli, è una produzione Sudovest con Rai Cinema e sarà distribuito in esclusiva da Nexo Digital fino a giovedì 30 marzo. Per tutte le info sulla programmazione clicca qui.