Nella prima delle tre Indie Night(s) al Circolo dei lettori, tutta la tenacia, l’arguzia e la solitudine della vulcanica scrittrice catanese divisa tra letteratura, cinema e tormento esistenziale.
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_di Carla Paolo
Una luce al neon blu elettrico e la voce inconfondibile di Davide Ferraris regalano alla sala principale del Circolo dei Lettori un’atmosfera insolita e davvero molto indie: è così che si presenta il primo speciale appuntamento della rassegna Indie Night(s) organizzata da Libreria Therese e per la prima volta ospitata nei bellissimi saloni del Circolo dei Lettori di Torino.
Le Indie Night(s) sono un appuntamento fisso della Libreria Therese che va ormai avanti da diverso tempo, ma questa volta, i curatori della rassegna – Davide Ferraris, Sara Lanfranco e Francesca Marson – hanno osato di più, approdando al Circolo dei Lettori e dando vita ad un ciclo di tre incontri dedicato a tre importanti donne del panorama culturale italiano del novecento (qui il programma completo). Il 24 febbraio ha avuto luogo il primo di questa speciale serie di appuntamenti, dedicato alla particolare figura di Goliarda Sapienza. Davide Ferraris presenta la scrittrice al pubblico attento parlando, innanzitutto, dei genitori e della famiglia da cui Goliarda proviene.
La figura più importante della famiglia è la madre, Maria Giudice, una delle poche donne più importanti del novecento italiano. Inizia la sua carriera come maestra, a Voghera, e subito entra a far parte del partito socialista. Diventa, nel 1916, la prima presidente donna della camera del lavoro di Torino. Goliarda nasce a Catania il 10 maggio del 1924: cresce in una famiglia molto grande, è costantemente circondata da fratelli e sorelle, viene accudita nella sua infanzia dal fratello maggiore perchè la madre si occupa a tempo pieno di politica, mentre il padre è spesso fuori casa.
Della sua strana famiglia, Goliarda ne parla in Lettere aperte, il suo primo romanzo uscito nel 1967, ora introvabile. In questa casa sempre piena di gente Goliarda è perfettamente a suo agio ed esercita quotidianamente i suoi talenti: canta, balla, recita, tanto che la madre decide di trasferirsi a Roma con lei nel 1943 per iscriverla ad una scuola di arte drammatica. Prima che come scrittrice, infatti, Goliarda si affaccia alla notorietà come attrice e regista. Finita la guerra, lascia la scuola e fonda una propria compagnia teatrale e, soprattutto, fa cinema. In questi anni fa un incontro che le cambia la vita: conosce Citto Maselli, importante regista del neo realismo italiano, e a lui si lega sentimentalmente per ben diciotto anni. Con lui realizza molti film, tra i quali, il più famoso è Gli sbandati, del 1955.
«L’arte della gioia, però, prima di essere pubblicato, attraversa un lungo periodo di continui rifiuti editoriali da parte di tutte le case editrici italiane a causa della sua mole e della sua complessità»
Goliarda è ormai un’attrice affermata, ma è lo stesso Citto, compagno di una vita, che praticamente la costringe a dedicarsi alla scrittura: la donna resta così profondamente turbata dalla morte della madre, Maria, che riversa tutta il suo dolore in una sofferta poesia. Da questo momento, da questo primo approccio doloroso, Goliarda si dedicherà con sempre più passione alla scrittura. La poesia scritta per la mamma defunta, “A mia madre”, viene letta durante la serata, in un momento di intensa commozione, da Rossella Milone, scrittrice italiana, mentre il momento del cambiamento da attrice a scrittrice viene raccontato dalla stessa Goliarda, grazie alla proiezione di un file video.
Come spiega Davide Ferraris, la scelta di diventare una scrittrice non è così immediata, ma passa attraverso una profonda crisi che la porterà ad una forte depressione e a due tentativi di suicidio. Goliarda, sopravvissuta, decide che il cambiamento è necessario e si abbandona al mondo delle parole. Come accennato, il primo libro che scrive è Lettera aperta, del 1967, mentre il secondo racconta il periodo nero della sua vita, intitolato Il filo di mezzogiorno. In questo stesso periodo inizia a scrivere quello che è considerato il suo più grande capolavoro: L’arte della gioia.
Elena Varvello, poetessa e scrittrice italiana, parla al pubblico del Circolo di questo meraviglioso ed affascinante romanzo e ne legge alcuni estratti, quelli che meglio rappresentano la scrittrice. L’arte della gioia, però, prima di essere pubblicato, attraversa un lungo periodo di continui rifiuti editoriali da parte di tutte le case editrici italiane a causa della sua mole e della sua complessità: Goliarda, come ultima chance, decide di chiedere aiuto ad un vecchio amico di famiglia: Sandro Pertini, che nel frattempo è diventato Presidente della Repubblica. La lettera in cui la scrittrice chiede, in ultimo appello, un aiuto concreto e sofferto, viene letta al pubblico da Elena Varvello.
Goliarda, all’epoca dei rifiuti editoriali, non era una scrittrice sconosciuta e nemmeno una donna lontana dai riflettori: di recente, infatti, e precisamente nel 1980 si era resa partecipe in prima persona di un evento di cronaca assai particolare: un furto di gioielli in casa di alcune amiche. Per giustificare il suo atto, Goliarda afferma di aver agito per rabbia, rabbia nei confronti della ricchezza sprezzante della sua amica, cieca ai suoi bisogni dettati da una povertà incalzante. La scrittrice viene arrestata e la sua storia finisce su molti giornali, ma questa esperienza, piuttosto che spegnere la fiamma di Goliarda, la rinnova e la fa risplendere di nuova luce e nuova vita: prende subito coscienza di cosa voglia dire vivere secondo abitudini borghesi, senza sforzarsi troppo di nascondere le proprie origini, cercando semplicemente accettare ciò che è. Anche questa volta è lei stessa a raccontare questa nuova esperienza nel suo romanzo-memoire L’università di Rebibbia.
Goliarda continua a scrivere nonostante pubblichi poco: scrive ovunque, febbrilmente, su qualsiasi pezzetto di carta disponibile. Tutta questa parte in cui racconta di sé stessa oggi è divisa in due raccolte sotto il nome di Taccuini – Il vizio di parlare a me stessa (1976-1989) e La mia parte di gioia (1989-1992) – che vengono spiegati e raccontati da Rossella Milone. In questi scritti si svela al lettore la parte più intima e più profonda della scrittrice siciliana. Scriveva di tutto: testamenti, ricette, liste di titoli futuri per i suoi libri, esperienze. Dai Taccuini emergono tutte le sfumature e tutti i volti di Goliarda, e questo accade perchè la scrittura è l’unica cosa in grado di aiutarla a rivelarsi per ciò che è intimamente nella sua pienezza di donna.
La sua esperienza di scrittrice si trasforma in esperienza morale ed anche politica. Goliarda Sapienza vive in solitudine gli ultimi momenti della sua vita, e allo stesso modo, in solitudine muore il 30 agosto del 1996 nella sua casa di Gaeta. Dalla sua morte, però, nascerà e si propagherà qualcosa di nuovo e luminoso: il mito della vita irrefrenabile di Goliarda Sapienza.